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di Sara Nicoli

Il fato, il caso, incide nella vita in modo straordinario. E’ l’eccezionalità di un evento rispetto al quotidiano a renderlo degno di nota e di attenzione. Morire sul posto di lavoro, in Italia, è diventato il quotidiano, non il caso, la fatalità. Malgrado il Capo dello Stato prosegua nella propria opera di sensibilizzazione contro questa emergenza nazionale, le cronache snocciolano numeri sempre più pesanti che trovano, tuttavia, sempre minor spazio tra le notizie principali: anche alla morte gratis, ormai, si è fatto il callo. E’ come se, nell’opinione pubblica, la morte sul lavoro fosse ormai diventata un fatto inevitabile, la norma più che il caso. E nessuno, nonostante l’aumento di queste “morti bianche” si sofferma più a riflettere sul perché vengono ipocritamente chiamate così e non con il loro vero nome: omicidio del lavoratore da parte di un datore di lavoro inadempiente sulle norme di sicurezza. L’altro giorno sono morti due operai ad Avellino e sono andati ad aggiungersi agli altri quattro che sono morti nell’esplosione dell’oleificio vicino Perugia due giorni prima. Se proprio bisogna ricorrere ai numeri per far capire la gravità di questi avvenimenti, allora sfoderiamo la statistica: dall’inizio dell’anno sono 240 le persone che hanno perso la vita sul posto di lavoro. L’anno scorso erano stati 191.
ubito sotto questa cifra, ce n’è però un’altra, non meno pesante, che è quella degli infortuni invalidanti. I dati dell’Inail riferiscono che dal ’98 ad oggi sono morte 2 milioni di persone sul posto di lavoro (per lo più nei cantieri), ma gli invalidi permanenti sono stati 5 mila l’anno a partire dalla stessa data. Una strage continua che continuiamo a chiamare “bianca” perché la consideriamo ineluttabile. Ma così non è.

L’emozione ed il cordoglio per le ultime vittime sul lavoro ha avuto se non altro il pregio di accelerare una presa di posizione del governo concreta e non solo propagandistica. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare di Alleanza Nazionale, il vicepremier D’Alema ha annunciato che entro la fine dell’anno sarà presentato un disegno di legge di riordino dell’intera disciplina sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori che andrà di pari passo con il già varato “pacchetto sicurezza” Visco Bersani e la revisione dei codici degli appalti firmata dai ministri Di Pietro e Damiano. Ma l’attenzione di tutto il mondo del lavoro, in special modo quello sindacale, è concentrata su questo Testo Unico annunciato dal governo e al quale sta lavorando una commissione speciale, anche se i tempi di approvazione non saranno certo brevi. Ecco perché, da parte del Commissione Lavoro della Camera, è arrivata la sollecitazione al governo di istituire, per far fronte all’immediato, una task force di ispettori del ministero e della Asl da inviare nei cantieri, anche se è chiaro che si tratta solo di misure per tamponare un'emergenza; per sradicare il problema è necessario ben altro.

Quella che si deve cambiare è la cultura del lavoro, dove oggi la regola del profitto imposta da padroni sempre più scaltri obbliga a tagli di tempi, di straordinari; fa prosperare i subappalti, il cottimo e altre forme di lavoro micidiali. Come in quel caso di un cantiere autostradale dove un'indagine dell'ispettorato del lavoro ha fatto saltare fuori lavoratori dipendenti di oltre 200 ditte diverse e dove i turni che venivano effettivamente coperti dagli operai superavano le dieci ore quotidiane. Produrre risparmiando tempo e trascurando le norme di sicurezza è sempre più l'imperativo categorico di un'imprenditoria italiana che prospera facendo leva sulla massiccia precarizzazione del lavoro e sulla pedissequa violazione delle norme. A farne le spese più di altri sono i lavoratori immigrati, meglio se clandestini, sempre più ricattati e pagati sempre di meno. Più di un quinto di chi è morto nei cantieri quest'anno era immigrato. Cinicamente si potrebbe dire che la morte sul posto di lavoro è davvero l'unica forma di uguaglianza davvero praticata, ma il sarcasmo non risolve certo i problemi anche se forse aiuta a vederli nella loro concretezza.

Il governo sembra aver finalmente capito, specie dopo la rapida successione degli ultimi incidenti mortali, che nessuna norma, anche la più innovativa, regge se non ci sono controlli severi che ne impongono il rispetto. Visto il punto di non ritorno a cui si è giunti dopo anni di disinteresse di una classe politica che trovava proprio negli imprenditori senza scrupoli lo zoccolo duro del proprio elettorato di riferimento, oggi non si possono che invocare misure punitive draconiane per quegli imprenditori che vengono scoperti in piena violazione delle norme di sicurezza. Nessuna deroga, nessuno sconto, nessuna pietà; solo l'immediata chiusura del cantiere unita alla diffida di proseguire, anche in altri ambiti e persino con diverse modalità, quello stesso mestiere. D'altra parte, per chi commette un omicidio volontario è previsto l'ergastolo. Perchè, allora, per questi caporali senza scrupoli dovrebbe valere una pena diversa?