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di Tania Careddu

E’ un circolo vizioso: la deprivazione materiale porta alla povertà educativa e viceversa. Con uno svantaggio che si trasmette di generazione in generazione e con effetti che possono durare tutta la vita. Cosicché i bambini provenienti da famiglie indigenti hanno meno (o per nulla) probabilità di conseguire risultati buoni nel percorso scolastico, di prendere parte ad attività culturali e sociali, di svilupparsi dal punto di vista emotivo ma anche di realizzare la propria identità.

Non è pregiudiziale: i dati, riportati nel dossier “Sconfiggere la povertà educativa. Fino all’ultimo bambino” redatto da Save the children, dimostrano la stretta correlazione tra gli scarsi risultati educativi dei bambini e il basso livello socio-economico (e d’istruzione) dei genitori.

In particolare - e tralasciando numeri, calcoli e conti - diversi studi hanno dimostrato il ruolo cruciale che l’occupazione delle madri, aumentandone l’autonomia e l’autostima, svolge nel favorire il benessere dei figli nei primi anni di vita e nel lungo termine. Limitando l’abbandono scolastico che, oltre a disegnare un futuro privo di opportunità professionali, comporta un enorme rischio di esclusione sociale e povertà di relazioni.

Già a tre anni è rilevabile uno svantaggio nello sviluppo cognitivo ed emotivo dei minori provenienti da famiglie più disagiate e, in assenza di interventi adeguati entro i cinque anni, il divario aumenta ulteriormente. Sono oltre un milione, cioè un bambino su dieci, quelli colpiti da povertà assoluta e, per quella educativa, il 20 per cento dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenza in lettura e il 25 per cento in matematica.

Una povertà che limita l’accesso al tempo pieno fruibile solo dal 30 per cento degli alunni delle classi della scuola primaria. Che priva moltissimi di loro delle possibilità di giocare in uno spazio pulito e li costringe ad aree urbane degradate e cementificate. Che produce eserciti di disconnessi culturali, ossia bambini tra i sei e i diciassette anni che non vanno mai al cinema, non sfogliano mai le pagine di un libro e non fanno sport.

Eppure, lo sanno anche loro che “la cultura è importante perché ti permette di scegliere cosa vuoi fare nella vita e di riuscire a farlo. E’ la base di tutto. La musica è importante perché ti apre la mente. Mi è piaciuto molto andare a un concerto con mamma. Mi sono sentito parte di qualcosa di importante e magico”, ha confessato un bambino italiano agli operatori di Save the children. E conoscono anche l’antidoto: “Quando diventerò un genitore voglio insegnare ai miei figli a sognare, perseverare, far in modo che le cose accadono”.

Perché non accada, invece, che “alcune persone si sentono escluse perché non partecipano a quello che succede. E’ importante che i compagni di classe non facciano distinzione tra chi è ricco e chi è povero”. Come a dire che l’uguaglianza parte dal basso.