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di Lidia Campagnano

Nessuna banalità del Natale, quest’anno: lievita lo scontro ideologico sull’uso pubblico dei simboli (il presepio, che minaccia di diventare un’ingiunzione) e per giunta, proprio alla vigilia, una Chiesa, quella cattolica, che si considera l’unica erede legittima di Gesù di Nazareth, tiene fuori dalle sue porte un uomo che è morto scegliendo, per amore di altri, di pubblicizzare la sua volontà di interrompere una sopravvivenza per lui insensata. Simboli di vita e simboli di morte domandano a chiunque una severa interrogazione: succede quando i simboli si inaridiscono invocando urgentemente altra vitalità di pensiero, nuova creazione simbolica. Per una volta sarebbe giusto che tutti e tutte, indipendentemente dalla loro posizione religiosa o culturale o politica, festeggiassero questo Natale come segno di una necessità e di una speranza: quella di farsi creatori e creatrici responsabili della nascita di un’orizzonte umano più grande, grande quanto la Terra e insieme più intimo, più radicato nelle ragioni profonde e personali. Non c’è più bisogno, direi, di anticlericalismo: le Chiese, tutte, ma soprattutto l’arrogantissima erede presunta del grande ebreo palestinese di duemila anni fa, sono alle corde sui temi dei quali intendono avere il monopolio, l’inizio e la fine della vita. L’inizio ridotto a embrione, grumo di cellule isolato come in laboratorio, da sottrarre con la violenza del braccio secolare alla scelta materna, la fine ridotta alla sottomissione tecnologica: quando si arriva a simili esiti il rischio è la distruzione catastrofica di ogni rito e di ogni festa, è il nichilismo.

In particolare, esemplarmente, i funerali di Piergiorgio Welby davanti alla Chiesa che lo ha respinto parlano di questo rischio (la disperazione degli uomini di chiesa sta portando a un esito paradossale). Ma parlano anche della resistenza di chi tiene stretti i propri saperi sull’umana necessità di rendere esprimibili, comunicabili, socializzabili i sentimenti elementari; e perciò crea una sua propria inedita celebrazione, con timore e con coraggio, con stile e con goffaggine. Umanamente.

Il Natale, come tante altre feste religiose di ogni religione, è un momento favorevole alla meditazione, vale a dire di quel modo di pensare che richiede impegno individuale e rigoroso, ma anche capacità di farsi prendere e persino invadere da ritmi, immagini e sentimenti fluttuanti. La meditazione è una libertà di pensare ed è anche una scelta di comunicare col mondo come se il mondo fosse un’entità personale, come se avesse un’anima. “Come se”: in queste due parolette sta la religiosità potenzialmente comune tra atei e credenti, tra fedeli e agnostici, fonte irrinunciabile di razionalità e di sentimento, perché la razionalità sia umanizzante e il sentimento sia civile.

Una potenzialità sempre più attaccata dall’intolleranza: non per caso la Chiesa cattolica teme la libera meditazione e tenta sempre più di arginarla entro divieti, distinguo, tabù che sono indirizzati tanto all’interno delle proprie mura quanto, bellicosamente, all’esterno. Ma il risultato è di nuovo un immiserimento del pensiero e uno svuotamento delle parole tale da fare buona compagnia, quasi in parallelo, al vuoto della chiacchiera mediatica, della chiacchiera politica. Due giorni fa, in una celebre piazza romana, è stato “inaugurato”un presepio con due interventi perfettamente simili, quello del prete e quello dell’assessore, entrambi volti a polemizzare contro quelli che sono stati definiti come attacchi al presepio (!). Alla fine è stata impartita una benedizione “bi-partisan”.

Sembrava di assistere all’istallazione di un paesaggio di nanetti in qualche parco pubblico di nuova apertura. E’ giusto così, il presepio è infatti uno dei tanti Piccoli Mondi che l’eterna attività di gioco dell’umanità allestisce per offrirsi antiche e nuove possibilità di meditazione sulla convivenza, che è tema cruciale per la nostra specie. Convivenza sotto un tetto, convivenza tra uomo e donna, tra bambini e grandi, convivenza in dignitosa povertà, convivenza nel lavoro e tramite il lavoro e i suoi prodotti, convivenza tra diversi per abbigliamento e colore della pelle, convivenza con gli animali, con le montagne, con il cielo stellato. Basta tapparsi le orecchie di fronte alla chiacchiera e il Piccolo Mondo diventa il paesaggio di un pensiero migliore, perché prodotto dalla libertà e dalla socialità tra uguali.

Perciò niente paura: gli umili anonimi umani e umane che giocano seriamente con i simboli, con la meditazione, con i sentimenti, con le idee, erediteranno la Terra e tutti i suoi presepi e le sue feste e cerimonie. Le eredità implicano obblighi: la Terra va curata e resa migliore. Anche a Natale.