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La bellezza salverà il mondo, affermava il principe Miskin ne L’idiota di Dostoevskij. Quale bellezza? Quella delle donne che, a dieci anni dall’inizio della crisi economica mondiale e ai primi bagliori della ripresa, sono state determinanti nel restituire fiducia a un’economia (e a una società) rimasta, per lungo tempo, in difficoltà. Motori della speranza, dunque, moderne, tecnologiche, connesse alla rete, attente al proprio aspetto fisico tanto da salvaguardare la loro bellezza ricorrendo, se necessario, al bisturi.

 

“Facendo della bellezza esteriore un valore che supera l’importanza del proprio essere e delle proprie capacità”, si legge nel rapporto Italiane, 4 istantanee per un ritratto, redatto da Eurispes, è necessario chiedersi quale bellezza salverà il mondo.

 

Se l’Italia si classifica fra le dieci nazioni al mondo per il numero degli interventi plastici sia per i trattamenti estetici non chirurgici e tutti gli studi recenti confermano un progressivo abbassamento dell’età in cui si rivolgono alla medicina estetica, non si può non considerare la grande influenza dei condizionamenti sociali sulla dimensione dell’immagine che spingono alla costante ricerca di raggiungere un’idea di bellezza esteriore. E se prima era una sfera riservata a poche, adesso la chirurgia estetica è diventata (economicamente) accessibile a tutte.

 

In effetti, le donne di oggi stanno tracciando un futuro dei consumi differente in tutti i campi: sebbene i comportamenti di spesa siano ancora orientati a soddisfare bisogni essenziali, le spese voluttuarie hanno registrato un (seppur timido) incremento. Attente alle novità tecnologiche, le donne del 2018 sfruttano tutte le possibilità offerte dal web, nella direzione di un superamento dell’annoso gap tra loro e gli uomini in fatto di competenze tecnologiche. Soprattutto quelle utili nel quotidiano: dall’attualità al gioco, dal lavoro alla musica fino ai rapporti sociali, le donne italiane non posso fare a meno dell’indiscussa utilità dello smartphone.

 

Questa iperconnessione è, però, purtroppo ancora, veicolo privilegiato degli stalkers che, nel 72 per cento dei casi circa, con telefonate e messaggi ripetuti, agiscono indisturbati nella loro attività persecutoria. Facendo leva sui meccanismi di controllo che sottraggono alle donne la dignità personale, l’indipendenza e l’autodeterminazione, il fenomeno dello stalking – vera e propria violenza (di genere) – è un’istantanea sulle donne che, nostro malgrado, ancora, contribuisce a completarne il ritratto.

 

Si, perché, da una parte, i reati di violenza sulle donne sono in costante e forte aumento e dall’altra, la rottura del tabù che, per troppo tempo, ha impedito di affrontare il tema, ha permesso l’emersione del fenomeno. Che, di fatto, al netto dei toni sensazionalistici e morbosi con cui lo trattano i media, è percepito con grande intensità fra la popolazione femminile e continua, a ragione, a essere fonte di grande preoccupazione. Anche perché è convinzione diffusa che non vi siano strumenti sufficienti e sufficientemente adeguati a poter arginare il fenomeno, (indiscutibilmente) in rapida espansione.

 

E che l’intervento legislativo, con l’emanazione della legge numero 38 del 2009 che ha introdotto nell’ordinamento penale italiano le “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, nella prassi stenti a tutelare puntualmente le vittime. Alle risposte legislative sarebbe opportuno affiancare un cambio di passo culturale. E non solo.