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Rende più resilienti e indipendenti ma, per milioni di donne, l’istruzione rimane (solo) un’aspirazione. E’ la speranza ma anche l’ostacolo delle donne immigrate per le quali, più che per altre, visti i rischi associati agli spostamenti forzati, l’istruzione è particolarmente importante. E assume un senso che oltrepassa il sapere. Al di là del miglioramento della loro (futura) posizione sociale ed economica, l’istruzione rafforza la capacità di recupero di fronte alle vulnerabilità - prime fra tutte, lo sfruttamento e la violenza - che le sovrastano e svolge un ruolo protettivo e di prevenzione.

 

 

Tanto per avere una stima, stando a quanto riporta il dossier ‘Il suo turno’, redatto da Unhcr, se tutte le ragazze nel mondo completassero la scuola primaria, i matrimoni precoci si ridurrebbero del 14 per cento e se finissero il ciclo di studi secondari crollerebbero del 64 per cento. Di fronte a una maggiore consapevolezza, e con un bagaglio di conoscenze, anche le morti infantili diminuirebbero.

 

Ma se il tempo di ‘esilio’ di una ragazza rifugiata potrebbe essere un’opportunità per il suo investimento educativo, a ostacolarne l’impresa, spesso, sono le condizioni dei paesi ospitanti (per lo più, in via di sviluppo). Le tasse scolastiche, il prezzo delle uniformi, i libri e gli altri materiali didattici nonché il trasporto pesano sui (pochi) mezzi di sostentamento delle loro famiglie.

 

Pochi e destinati ai maschi - perché ritenuti più redditizi -, alle ragazze non resta che combattere con le convenzioni sociali e culturali che generano un sistema di autoperpetuazione degli stereotipi (e non solo). I posti a scuola, per loro, sono carenti, il percorso per arrivarci denso di insidie – dalle molestie sessuali ai rapimenti - e i servizi igienici insicuri e inadeguati.

 

Spesso sono demotivate per l’assenza di modelli femminili di riferimento nell’ambiente scolastico e di insegnanti donne che possano incoraggiarle a superare pregiudizi, promuovendo migliori pratiche e sostenendo la prevenzione di comportamenti che fungono da deterrente per le ragazze. Perché possano acquisire quella fiducia persa nella convinzione (di tanti) che i rifugiati, e le donne in particolare, hanno un diritto minore di esistere. E di quello all’istruzione, diritto umano fondamentale, nemmeno a parlarne.

 

“E’ tempo che la comunità internazionale riconosca l’ingiustizia insita nel negare alle ragazze e alle donne rifugiate un’istruzione”, dichiara, commentando il dossier, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi. Che continua: “Se continuiamo a trascurare l’istruzione delle ragazze rifugiate, le conseguenze avranno un grosso impatto su molte generazioni a venire. E’ ora di rendere l’istruzione delle ragazze rifugiate una priorità”.

 

Perseguendo l’obiettivo di renderla parte integrante della risposta umanitaria alle più gravi emergenze internazionali. Affinché le giovani donne non cadano nella spirale (perniciosa) dell’assistenzialismo.