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“A Catania c’è un’area che, a prima vista, sembra essere una terra desolata di erba secca, erbacce e rifiuti. Si tratta di file di tombe non segnate, sotto le quali giacciono i resti di rifugiati e migranti che sono morti nel mar Mediterraneo, cercando di raggiungere l’Europa”, è scritto nel rapporto Viaggi disperati, redatto da UNHCR.

 

A quelli si aggiungono, solo nel 2018, circa mille e seicento persone - un decesso ogni diciotto - e dalla fine di agosto, gli ostacoli ai salvataggi in mare a opera delle Ong e i cambiamenti delle rotte per attraversare l’Europa hanno moltiplicato le morti: settantaquattro, rispetto alle quarantadue dell’anno precedente, quelle registrate nelle nuove rotte. Lungo quella del Mediterraneo occidentale (dal Nord Africa alla Spagna), il numero di decessi è aumentato da centotredici a trecentodiciotto.

 

Questi stravolgimenti, compreso quello relativo al fatto che i salvataggi e le intercettazioni, ormai, avvengono sempre più lontani dalle coste salvifiche, non solo hanno portato dei cambiamenti delle nazionalità che tentano di raggiungere l’Europa ma non hanno previsto alternative sicure per i migranti.

 

 

E se il numero degli arrivi dalla Libia è diminuito, ciò è imputabile, anche al fatto che, da febbraio di quest’anno, oltre il 40 per cento (ogni mese) di coloro che da lì sono partiti, sono stati intercettati dalla Guardia costiera libica e riportati alla base. Tra coloro, invece, che cercano di entrare dalla Turchia, la Guardia costiera turca ne ha intercettato quindicimila (rispetto ai novemila del 2012). Dall’inizio dell’anno, almeno otto persone sono morte intorno ai confini settentrionali, tra cui cinque alla frontiera tra Italia e Francia.

 

I nuovi arrivati in Italia quest’anno, secondo quanto riporta il dossier, sono stati venduti da un gruppo armato a un altro, torturati per il pagamento del riscatto che ammonta a migliaia di dollari per il rilascio e detenuti senza acqua né cibo. E lungo le tre rotte del Mediterraneo, nei primi mesi del 2018, sono arrivati più di tremila e cinquecento bambini soli; a fine luglio, quasi mille e duecento sono stati trasferiti in Libia (in detenzione).

 

L’auspicio è che, con quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea in aprile, i minori non accompagnati che raggiungono la maggiore età durante le procedure di richiesta d’asilo, mantengano ancora il diritto al ricongiungimento famigliare. Meccanismo fondamentale – ma ancora troppo ostacolato – per l’ingresso sicuro e legale in Europa.