Stampa

Il rapporto condotto negli ultimi tre mesi dall’intelligence degli Stati Uniti sull’origine del COVID-19 non è stato prevedibilmente in grado di trovare una sola prova concreta che supporti la teoria complottista della fuga del virus dal laboratorio cinese di Wuhan. L’indagine era stata commissionata a sorpresa dal presidente Biden nel mese di maggio, con l’obiettivo di alimentare un clima internazionale ostile al governo di Pechino, nonostante l’origine naturale del virus fosse stata in larghissima misura appoggiata dalla comunità scientifica e da una ricerca della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

 

La Casa Bianca ha potuto leggere il rapporto segreto in questi giorni, ma alcuni giornali americani hanno avuto notizia in anticipo della natura “inconcludente” delle conclusioni. A breve, l’amministrazione democratica dovrebbe rendere pubblica una versione non classificata del rapporto. Fin dall’inizio era apparso chiarissimo il carattere politico dell’iniziativa, per la quale, oltretutto, non erano stati incaricati medici e scienziati ma agenzie di intelligence, impegnate a cercare l’origine del virus senza la collaborazione del paese da dove sarebbe partita la pandemia.

La teoria del laboratorio era stata inizialmente abbracciata dall’amministrazione Trump, così come dagli ambienti di estrema destra e da quelli degli espatriati cinesi che si dedicano regolarmente alla propaganda contro la Repubblica Popolare. Nella sua forma più estrema, questa tesi vuole che il virus sia stato rilasciato deliberatamente dall’Istituto di Virologia di Wuhan, mentre altri ritengono che sia sfuggito per errore. La teoria è stata in seguito riesumata da Joe Biden e dal Partito Democratico fondamentalmente perché utile agli obiettivi geo-strategici degli Stati Uniti nel quadro della rivalità sempre più accesa con Pechino.

Attribuire alla Cina la responsabilità della pandemia serve inoltre a distogliere l’attenzione del pubblico dalle colpe della classe dirigente americana, che ha presieduto a un’autentica catastrofe sanitaria negli ultimi due anni. Sul carro della propaganda sono saliti in fretta anche i media “liberal”, a cominciare da New York Times e Washington Post, i quali stanno già cercando anche di manipolare l’esito del rapporto commissionato da Biden per evitare che le pressioni sulla Cina su questo fronte possano venir meno.

I giornali stanno parlando così in questi giorni di dubbi ancora aperti sull’origine del COVID-19 e soprattutto riconducono alla mancata apertura e collaborazione cinese l’impossibilità di reperire prove definitive. In realtà la ragione risiede nel fatto che non esistono evidenze a sostegno della tesi della fuga dal laboratorio di Wuhan. Ciò è confermato anche da un altro elemento che i media americani hanno per lo più taciuto, ma che era stato riportato ad esempio dalla CNN.

A inizio agosto, il network aveva spiegato come l’intelligence USA avesse operato uno sforzo enorme esaminando una mole gigantesca di informazioni provenienti dal laboratorio di Wuhan, grazie anche al contributo di “supercomputer” e alla collaborazione di ben “17 istituti di ricerca governativi di élite”. La stessa CNN aveva inoltre suggerito che questi dati erano stati probabilmente ottenuti attraverso operazioni di hackeraggio. Malgrado l’impegno, i risultati sono apparsi però inconsistenti.

L’indagine americana non aggiunge dunque nulla alla comprensione dell’origine del virus, né poteva ottenere questo scopo viste le premesse. Il lavoro commissionato da Biden crea invece un clima generale ancora più tossico, col risultato di rendere ormai improbabile una ricerca scientificamente seria che faccia chiarezza su una questione fondamentale per comprendere la natura del COVID-19.

Proprio questa settimana il gruppo di scienziati che aveva partecipato all’indagine in Cina dell’OMS nel mese di marzo ha pubblicato un articolo sulla rivista Nature per ribadire la validità delle loro conclusioni, cioè l’estrema probabilità dell’origine naturale del virus. Allo stesso tempo hanno messo in guardia dal pericolo che la finestra di tempo per fare luce sulla questione si possa chiudere in fretta. La virologa olandese Marion Koopmans ha rivelato la propria preoccupazione in un’intervista al New York Times, spiegando che l’insistenza di governi come quello americano sulla tesi della fuga dal laboratorio sottrae attenzione, tempo e risorse a una ricerca scientificamente autorevole sulle cause naturali della malattia.

La presa di posizione sostanzialmente complottista del governo di Washington ha generato pressioni fortissime anche su organismi teoricamente imparziali e personalità autorevoli, che a loro volta hanno finito per legittimare il dibattito su una teoria fino a poco tempo fa relegata ai margini della comunità (pseudo-)scientifica e alla galassia cospirazionista di estrema destra. A sollevare dubbi a livello pubblico erano stati ad esempio il virologo americano Anthony Fauci e il direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus.

Quest’ultimo, dopo la pubblicazione del rapporto della sua stessa agenzia, aveva definito i risultati “insufficienti”, alimentando di fatto confusione e ambiguità su un’indagine che era da considerarsi come il primo passo per una comprensione più approfondita delle origini del virus. Sempre per ragioni politiche, dopo la diffusione delle anticipazioni sul rapporto dell’intelligence americana, l’OMS è tornata a proporre un atteggiamento di questo genere.

Il numero uno del programma per le emergenze sanitarie, Michael Ryan, ha ribadito infatti che tutte le teorie “restano sul tavolo”, inclusa quella del laboratorio di Wuhan. Il persistere di questo atteggiamento anti-scientifico, come già spiegato, non fa che avvelenare le relazioni internazionali e scoraggiare una collaborazione su basi razionali.

Non solo, l’insistenza nel garantire attendibilità a queste tesi finisce per giustificare ulteriori ipotesi più o meno complottiste. A questo proposito, martedì il governo cinese ha chiesto per la prima volta in forma ufficiale all’OMS di indagare sulla possibile origine del virus dal laboratorio militare americano di Fort Detrick, dove ha sede un programma di studio sulle armi biologiche. Secondo questa teoria, da qui la malattia sarebbe stata portata in Cina dagli atleti americani che avevano partecipato ai giochi mondiali militari, organizzati a Wuhan nell’ottobre del 2019.