USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Fabrizio Casari

Il derby di Milano, emotivamente bellissimo ma brutto assai dal punto di vista spettacolare, dice fondamentalmente una cosa: il percorso di ricostruzione delle due milanesi procede con ritmi e contenuti diversi. La stracittadina vede sì la vittoria di un Inter capace di soffrire, ma soprattutto l’insipienza di un Milan incapace di sfruttare la superiorità numerica e la maggior freschezza dell’avversario rientrato a Milano all’alba di venerdì dalla trasferta europea in Azerbajian. Le due squadre milanesi vivono in modo decisamente diverso la nuova fase post- grandi fasti di mercato e sperperi vari. Cominciamo dai nerazzurri.

L’Inter è squadra. A volte brillante e a volte meno ma sa giocare le due fasi - offensiva e difensiva - più che discretamente, dimostrando una capacità di adattamento agli avversari prima e allo svolgimento delle gare poi, tipica di un gruppo solido. Certo, l’esperienza e la sapienza tattica di alcuni dei suoi senatori e la freschezza atletica di giocatori ritrovati (Ranocchia) e felici sorprese (Juan Jesus) contribuiscono in modo determinante alle vittorie che solo la scarsa vena di Milito impediscono di essere rotonde e nette.

Il merito principale della trasformazione dei nerazzurri è certamente di Stramaccioni, che ha trovato una comunicazione interna fluida, una disponibilità al sacrificio anche da parte dei senatori dello spogliatoio e una intelligenza tattica che gli ha fatto capire quanto la sua prima Inter iperoffensiva e spettacolare pagasse pegno esagerato nelle ripartenze degli avversari. Ha quindi blindato la difesa portandola a tre in fase di possesso palla e a cinque in fase non possesso (come la Juve e il Napoli). La mancanza di un regista impedisce, del resto, una squadra vocata al dominio del centrocampo, ma la fase difensiva è molto efficace e non priva di una sua estetica. Adesso segnare all’Inter è un problema, mentre comunque il suo attacco garantisce che un gol o due in qualche modo li segna. Una panchina di tutto rispetto, ampia e di qualità, permette un buon turnover e consente di poter giocare anche sette partite in quattordici giorni. Concretezza da vendere.

Il Milan vive decisamente un’altra fase. In primo luogo la sua ricostruzione è vittima di una destrutturazione molto più pesante: se infatti dall’Inter sono andati via giocatori comunque incamminati verso il viale del tramonto, da Milanello sono partiti giocatori come Ibra e Thiago Silva che sono ancora lontanissimi dal mollare. Inoltre, dalle individualità dello svedese e del brasiliano dipendevano oltremodo le sorti delle partite: uno pensava a non prenderle, l’altro a darle. Complessivamente, dunque, vendere Thiago Silva, Ibrahimovic e Cassano ha significato stroncare il tasso di classe della squadra. Montolivo e Pazzini sono due buoni giocatori, ma non certo capaci di cambiare le fisionomie e i risultati di squadre condannate a lottare per vincere. Possono svolgere un ruolo straordinario a Genova, Firenze, Palermo, Udine, ma non a Milano o a Torino, o anche a Roma, dove il calcio è altra storia.

C’è poi il “fattore Allegri”. L’allenatore toscano ha due grandi responsabilità nel recente passato e una nel presente: quelle del passato  sono di aver voluto la cessione di Pirlo e di aver reso il Milan troppo dipendente da Ibra; quella del presente è di non aver saputo dare alla squadra una fisionomia, una identità, uno schema di gioco. Proprio perché Allegri si è fatto le ossa in piccole squadre prima di trovarsi catapultato nel Milan, avrebbe avuto le conoscenze adeguate per ripartire da zero e costruire una squadra che avesse le caratteristiche adatte agli uomini di cui dispone. Nello specifico del derby di ieri, non è poi semplice spiegare come si può privilegiare Bojan su Pazzini e lasciare Nocerino fuori.

Il Milan di ieri sera non aveva un’idea o uno schema: un giocatore inutile come De Jong che appoggia solo il pallone a dieci metri di distanza, è un lusso quando l’avversario gioca di rimessa. Proprio perché l’Inter sa chiudersi, un giocatore come Nocerino - che sa inserirsi pericolosamente - può risultare l’arma vincente e Pazzini è l’unico a poter gareggiare con i difensori dell’Inter sui cross, mentre Bojan è fuffa allo stato puro.  Ma invece di tentare il tiro da fuori area - comunque reso complicato da Cambiasso e Gargano - il Milan poteva tentare il gol con le verticalizzazioni in area palla a terra e gli inserimenti di Montolivo e Bojan, piuttosto che intestardirsi allargando il gioco sulle fasce quando non dispone di saltatori in attacco. E’ vero che se si gioca in superiorità numerica allargare il gioco capitalizza il vantaggio, ma se poi di cross non ne prendi uno a che serve?

Insomma Allegri potrà anche protestare per l’arbitraggio (anche se un buon arbitro l’avrebbe spedito negli spogliatoi dopo tre minuti) ma sostenere che il Milan ha fatto una buona gara, che c’era un rigore e un gol (segnato però con tutta l’Inter ferma dopo il fischio arbitrale) è indice di scarsa lucidità e serenità. Quella che impedisce di vedere i problemi e quindi non trova le risorse tecniche per farvi fronte proprio nel suo allenatore. Che ormai, forse, ha i giorni contati: sennò che faceva Delio Rossi in tribuna?

La Roma vince una partita casalinga con l’Atalanta pagando però un prezzo altissimo sul piano della situazione interna. Zeman ha infatti estromesso De Rossi e Osvaldo dalla formazione che è scesa in campo, ma lo ha fatto indicando responsabilità precise dei due giocatori nell’andamento fortemente negativo dei giallorossi. Poteva tacere Zeman, indicando una scelta tecnica o qualunque altra motivazione alla base dell’esclusione dei due pezzi pregiati della Roma, ma l’abituale franchezza al limite della brutalità che contraddistingue la comunicazione del tecnico boemo lo ha spinto a descrivere Osvaldo e De Rossi come due giocatori che giocano per se stessi e non per la squadra.

Si può facilmente prevedere che le cose non rimarranno così: l’ambiente della Roma è una polveriera e forse ora lo sarà anche lo spogliatoio. Si tratta di vedere se la proprietà e la dirigenza della squadra vorranno prendere le parti dell’allenatore o iniziare un lento ma inesorabile percorso di ripensamento sulla scelta di riportarlo a Roma. Ma sembrerebbe questo un cammino difficile da intraprendere, visto che la tifoseria è spaccata a metà e il boemo rappresenta comunque una scelta di primissimo livello. Certo Zeman non è persona che si lascia ordinare cosa dire e come dirlo e se non intervengono chiarimenti e ripensamenti, ma soprattutto un bagno di umiltà da parte di alcuni giocatori, i tre punti di ieri rischiano dunque di rivelarsi la classica vittoria di Pirro.

La Juventus, dal canto suo, continua a vincere. Magari con fatica, ma vince e questo è quello che conta. Soprattutto la Juventus sembra riuscire a cambiare schemi offensivi quasi come cambia gli allenatori: sono molti i giocatori bianconeri andati a segno e la squadra ha una media di circa due gol e mezzo a partita segnati. Non perdere è comunque fondamentale non solo per gli ovvi motivi di classifica, ma perché serve a capitalizzare autostima nella squadra e punti in cascina che torneranno utilissimi quando gli impegni di Champions e campionato subiranno anche la fatica della Coppa Italia, formando così un inverno difficile da affrontare senza riserve.

Il Napoli - fortissimo - resta incollato e la prossima gara di campionato li vedrà sfidare direttamente la squadra di Conte con la quale dividono la testa della classifica. La Lazio, vittoriosa ieri a Pescara - che dietro alla coppia di testa di Juve e Napoli divide il secondo posto con l’Inter - se la vedrà invece con il Milan post derby. Ma in mezzo c’è la sosta per le nazionali e chissà che i biancocelesti non trovino i rossoneri con l’ex Delio Rossi in panchina.

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