Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di redazione

“Non credevi mica che sarebbe stato facile, vero?”, diceva Lucy Liu a Uma Thurman in Kill Bill Volume I. La Germania ha battuto l’Italia ai quarti degli Europei 2016, ma non ha avuto vita semplice. Dopo tante sconfitte contro gli azzurri, i tedeschi sono riusciti a prevalere soltanto al termine di una lunga e bruttissima serie di rigori. I campioni del mondo li hanno battuti male, noi malissimo. Questa è stata l’unica differenza.

Nel resto della gara, l’Italia è riuscita a tenere testa alla squadra più forte del pianeta per 120 minuti. Lo ha fatto peraltro con una formazione più che rimaneggiata: oltre alle assenze strutturali di Marchisio, Verratti e Montolivo, c’era da fronteggiare gli infortuni di De Rossi e Candreva, senza contare la sciagurata squalifica di Thiago Motta. Al centro della linea mediana giocavano perciò Sturaro e Parolo, due gregari non proprio abituati a simili palcoscenici. Eppure i nostri blasonati avversari non hanno trovato spazi.

La partita di Bordeaux è stata equilibratissima: la Germania è passata, ma sa di aver rischiato grosso, molto più di quanto avrebbe immaginato alla vigilia. Alla fine, il tema tattico principale è stato l’annullamento dell’avversario, prima ancora che l’imposizione di uno stile di gioco. Sono riusciti a passare solo al 65esimo con un gol di Ozil piuttosto casuale, frutto di uno sfortunato rimpallo su una chiusura di Bonucci. Lo stesso difensore centrale azzurro ha poi pareggiato i conti al 77esimo, trasformando un rigore sacrosanto per un ingenuo fallo di mano di Boateng in area di rigore.

Certo, il divario tecnico era evidente e lo strapotere fisico e di corsa dei tedeschi altrettanto; arrivavano sempre primi sul pallone e mostravano una aggressività a noi sconosciuta, visto che gli azzurri preferivano chiudere i corridoi dei passaggi ed obbligarli all’orizzontalità della manovra. Ma benché oltre l’80 per cento del match si sia disputato nella nostra porzione di campo, mai i tedeschi hanno dato impressione di poterci colpire agevolmente e, dopo il pareggio di Bonucci, è stato un difetto di ambizione ad impedire alla squadra di Conte di attaccare tentando il colpaccio.

Dal pareggio in avanti la partita ha avuto poco da dire fino ai rigori. È francamente inutile soffermarsi sulla cronistoria dei penalty: basti dire che per noi hanno sbagliato Bonucci, Pellè, Zaza e Darmian, mentre fra i tedeschi hanno fallito Ozil, Schweinsteiger e Muller. Insomma, per loro hanno sbagliato tre campioni, per noi tre giocatori su quattro (escludendo il centrale juventino) non abituati a questi livelli, né a questa pressione. Si può certamente recriminare sui rigori battuti con un atteggiamento poco congruo in termini di concentrazione soprattutto da Pellè e Zaza, ma visti i valori in campo, in fondo, è stato giusto così.

“Dispiace uscire in questo modo, ma non posso rimproverare nulla ai ragazzi - ha detto il CT Antonio Conte - che hanno dimostrato coraggio, orgoglio, passione e attaccamento alla maglia, hanno dato tutto quello che avevano e per questo non posso recriminare su nulla. Abbiamo superato ostacoli enormi e per poco non ci scappava un’impresa straordinaria”.

Quello che rimane è un Europeo di cui andare orgogliosi. Ci siamo presentati probabilmente con la formazione meno blasonata di sempre, eppure abbiamo battuto il Belgio e la Spagna, superando di gran lunga le aspettative della vigilia. Il merito, bisogna riconoscerlo, è dell’organizzazione tattica che Conte ha saputo imporre alla squadra, ma anche all’umiltà e allo spirito di sacrificio dei nostri giocatori. Purtroppo oltre al cuore e alla tattica nel calcio si gioc con i piedi e quella di questi europei è stata la nazionale meno tecnica degli ultimi 40 anni, ma quanto a grinta e solidità di gruppo non può che essere elogiata.

“Il mio non è un addio ma un arrivederci” ha detto ancora Conte. “Resta comunque il fatto che ho dovuto fare la guerra da solo, con me c’era solo il presidente Tavecchio, ma anche lui poteva arrivare fino a un certo punto. Avrei voluto rimanere ma non ho potuto soprassedere su alcuni fatti, ad ogni guidare l’Italia è stato un grandissimo onore, mi ha lasciato emozioni indelebili”.

Ai tifosi ha lasciato invece una sensazione strana, ma da tenere a mente nei prossimi anni (che non si preannunciano semplici): anche con una formazione mediocre, è possibile giocare da grande squadra.

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