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Tutto ebbe origine con la Finanziaria 2006 (ultima del Berlusconi III), quando il governo dispose un fondo per indennizzare le vittime delle frodi obbligazionarie e dei crack societari. Dopo anni di assoluta latitanza o tacita accondiscendenza di istituzioni politiche e bancarie (Banca d’Italia in primis), lo “Stato sociale” ha deciso di ergersi a paladino dei malconci truffati. Un piccolo passo per il risparmiatore, un grande passo per la credibilità economica, potremmo dire? Non era la risoluzione di tutti i problemi, anche perché l’Italia rimaneva e rimane il Paese dove, in controtendenza con il mondo, il falso in bilancio è depenalizzato e i condoni tombali lavano le coscienze prima ancora che i carichi pendenti. Per quanto poco, però qualcosa stava a significare.

A questo punto, come in tutti i provvedimenti di natura economica, scatta la domanda: da dove si prendono le risorse per il fondo? Ed ecco la trovata del solerte e intrepido governante/legislatore: “dall’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all’interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario”. In effetti a ben leggere i due commi centrali dell’articolo 42 della Costituzione si trova: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.

Strano a dirsi, ma seguendo per vie late il dettato costituzionale, veniva adottata dallo Stato una tecnica già in uso mutans mutandis - in forma truffaldina in quel caso - da Giampiero Fiorani che toglieva i soldi ai morti, per renderli produttivi nelle sue rampanti scalate.

Cosa cambia quindi per i clienti degli istituti di credito? Chiunque possedesse presso banche, assicurazioni, la Posta o altri enti analoghi un conto che non sia stato movimentato da dieci anni, a fronte della ricezione di una lettera raccomandata, nella quale si chiedeva di dare seguito entro il 16 agosto 2008, si doveva recare allo sportello e operare in modo da “risvegliare” il suo conto. In caso di più rapporti, la cessazione del letargo per uno, valeva come azione anche per tutti gli altri.

In caso contrario, il conto sarebbe stato chiuso e tutto il relativo denaro sarebbe stato destinato al fondo sociale gestito dal Tesoro e quindi a beneficio delle vittime dei crack e, in parte, dell’assunzione dei precari nel comparti del pubblico impiego. La data del 16 agosto è ormai passata, quindi tutto è perduto? Fortunatamente no e per i più sbadati c’è ancora una nuova scadenza, diremmo un’ultima spiaggia tanto per rimanere in tema vacanziero, per rientrare in possesso dei propri soldi, prima del definitivo “esproprio”: il 16 dicembre 2008, data in cui gli istituti verseranno alle casse pubbliche tutto il capitale non reclamato.

Secondo le stime, i conti passibili di devoluzione allo Stato sarebbero circa 500.000 con un utile di 10 miliardi di euro. Il provvedimento è, come sempre, oggetto di dibattito. Fioccano le critiche, i liberisti arricciano il naso. E’ strano però costatare come tanta parte del mondo massmediatico abbia dedicato così poco spazio a questo argomento, quando invece continua a inondare le scalette dei telegiornali di notizie sulle vacche magre della società, sulla crisi economica e sui rincari speculativi di zucchine e asparagi.