USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

Nonostante la variazione dei toni, il Fondo Monetario Internazionale non sembra aver cambiato di molto la propria politica nei confronti del sempre maggior numero di paesi in affanno, costretti a chiedere prestiti per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza economica in atto. Come ha messo in evidenza un recente rapporto di alcune ONG europee ed americane, l’organo uscito dagli accordi di Bretton Woods continua infatti a produrre effetti negativi in termini di protezione sociale e livelli di povertà in quegli stessi paesi che dovrebbe piuttosto aiutare ad uscire dalla crisi, stimolando una crescita sostenibile di lungo periodo.

Le reti di organizzazioni non governative SOLIDAR, Eurodad e Global Network hanno condotto uno studio prendendo in considerazione i danni causati a tre paesi campione - El Salvador, Etiopia e Lettonia - dalle condizioni imposte qualche mese fa dal FMI per elargire ad essi prestiti di emergenza. La pubblicazione del rapporto è giunta in concomitanza con il meeting annuale tenuto a Istanbul dal FMI e dalla Banca Mondiale e si concentra, appunto, sugli effetti dei tagli alla spesa pubblica e della politica fiscale restrittiva determinati dagli interventi di questi organismi internazionali.

Il presunto nuovo corso del FMI, inaugurato lo scorso mese di marzo con l’introduzione di una nuova Linea di Credito Flessibile, consentirebbe in realtà margini appena più ampi per una politica espansiva, anche se ciò sta riguardando paesi che vantano un reddito interno medio, come la Colombia, il Messico o la Polonia. Decisamente diversa è, al contrario, la situazione dei rapporti con i paesi più poveri destinatari di prestiti, gravati tuttora da imposizioni che in molti casi hanno finito con il peggiorare una situazione economica già molto precaria.

L’attenzione delle ONG autrici del rapporto si è rivolta principalmente all’analisi della misura in cui i programmi d’intervento del FMI nell’ambito della crisi planetaria hanno previsto misure  per incoraggiare una crescita equa ed autonoma dei paesi interessati, ma anche l’espansione della spesa per le protezioni sociali e l’implementazione dei principi della cosiddetta “Decent Work Agenda”, fissata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Malgrado un qualche allentamento dei tradizionali obiettivi di rigore fiscale del FMI siano stati riscontrati negli ultimi tempi, la concessione ai paesi interessati di margini di deficit di bilancio leggermente superiori rispetto al passato - almeno temporaneamente - non ha comunque permesso l’adozione di provvedimenti efficaci a lungo termine. In tutti e tre i paesi oggetto dello studio, l’agenda dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, volta a garantire il diritto all’assistenza sanitaria e la sicurezza di un posto di lavoro, è stata totalmente ignorata o comunque quasi mai al centro dell’interesse dei governi.

Quanto alla spesa pubblica, seppure in certi casi sia aumentata proprio dietro incoraggiamento del Fondo, ha finito per essere pressoché vanificata dai tagli al bilancio, che hanno impedito l’espansione delle protezioni sociali e l’approvazione di piani anti-crisi adeguati. Nel caso dell’Etiopia, la spesa sociale è risultata invariata dopo il prestito del FMI, mentre per quanto riguarda la Lettonia è stata invece drasticamente tagliata. Per entrambi i paesi, d’altra parte, la scadenza per riportare i loro deficit ai livelli precedenti la crisi è stata fissata già entro il 2011.

L’impegno richiesto dal Fondo appare sempre e principalmente quello di assicurare bilanci equilibrati sul piano macroeconomico e di creare riserve monetarie adeguate, così da irrobustire la condizione economica di questi paesi in caso di crisi future. L’attuazione di politiche economiche più flessibili, combinate con interventi specifici che prevedano investimenti nel sociale, facilitazione nell’accesso al credito per le piccole e le medie imprese e una tassazione progressiva, appare invece completamente esclusa.

Una delle ragioni dell’inflessibilità del FMI, secondo il rapporto, è la mancanza di coinvolgimento dei parlamenti, delle associazioni sindacali e in generale della società civile nelle negoziazioni dei prestiti da erogare ai vari paesi. La carenza di una visione a lungo termine di Ministri delle Finanze, interessati solo al pareggio di bilancio nell’immediato, fanno poi il resto. Il Fondo d’altronde lavora esclusivamente su un obiettivo di bilancio prefissato, senza curarsi di quali tagli i singoli governi vadano ad operare.

Alle critiche delle ONG si sono aggiunte poi quelle di un think tank di Washington, il Center for Economic and Policy Research, il quale ha fatto notare come 31 dei 42 prestiti erogati dal FMI durante la crisi, abbiano prodotto risultati dannosi per i paesi beneficiari. Le misure di austerità che vengono richieste in cambio del denaro concesso rappresenterebbero un clamoroso errore nella formulazione delle proprie politiche da parte del Fondo, tuttora immerso in una ortodossia economica che aveva già evidenziato tutti i suoi effetti negativi oltre un decennio fa con la crisi dei paesi asiatici.

La discrepanza nell’approccio verso i paesi ricchi e quelli più poveri è evidente. Mentre da un lato s’incoraggia la spesa pubblica, l’allargamento del deficit e le misure di stimolo all’economia, dall’altra si predica l’esatto contrario, con tagli alla uscite e aumento dei tassi di interesse. Con conseguenze spesso devastanti sul fronte dell’assistenza sanitaria pubblica, dell’educazione e dell’accesso al credito per le aziende. In piena recessione, così, i paesi già in difficoltà sono costretti a moltiplicare i loro sforzi per rispettare le condizioni dei prestiti internazionali.

In molti casi inoltre, il FMI ha fallito del tutto le proprie previsioni sull’andamento della situazione economica dei paesi finanziati, nonostante i segnali dell’esplosione della crisi fossero già evidenti ben prima del 2007. Negli ultimi mesi il Fondo ha così dovuto rivedere le clausole dei prestiti concessi a 26 paesi, per undici dei quali aveva sopravvalutato la crescita del PIL di ben tre punti percentuali. Per tre paesi, addirittura, la sovrastima del prodotto interno lordo era stata addirittura di sette punti percentuali. Una posizione difficilmente giustificabile per un organismo internazionale che dispone di uno dei centri di ricerca teoricamente più qualificati del pianeta.

Composto da 186 membri, con quote di voto diverse a seconda del peso di ogni paese (16,79% per gli USA, 32,07% per i 27 membri dell’UE), il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe essere oggetto in questo periodo di importanti trasformazioni. Ad esempio, nel corso del recente G20 di Pittsburgh è stato annunciato che al FMI sarebbe stato assegnato il ruolo precedentemente riservato al gruppo del G8, cioè quello di principale protagonista della pianificazione e del finanziamento delle iniziative economiche in tutto il pianeta. I leader dei paesi più ricchi hanno poi promesso nuovi fondi per un totale di 750 miliardi di dollari, destinati all’assistenza dei paesi più poveri e maggiormente colpiti dalla crisi.

Nonostante i proclami, quasi nessun cambiamento si è visto però finora nella gestione delle attività del Fondo, che rimane ancora ben lontano da quel ruolo prospettato per esso dal Segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, proprio nel corso del recentissimo meeting di Istanbul: “Una rinnovata attenzione al multilateralismo nella distribuzione dell’assistenza per lo sviluppo, così da garantire sufficienti risorse e consentire adeguate politiche economiche per venire incontro ai bisogni dello sviluppo di lungo termine di ogni singolo paese”.

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