USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Carlo Musilli

"Questa riforma non s'ha da fare", dicono le banche di Wall Street. E ancora una volta sono loro a spuntarla. L'applicazione delle nuove norme sul mercato dei derivati made in Usa è stata ufficialmente rinviata di due anni: se ne riparlerà nel luglio del 2015. Al centro del contendere, una serie di regole contenute nella Dodd-Frank, la legge che dovrebbe mettere un freno all'anarchia della finanza americana. Il testo è stato approvato ormai tre anni fa, ma ad oggi è entrato in vigore solo il 38% delle misure previste, stando allo studio legale Davis Polk, che segue l'applicazione della riforma.

A chiedere più tempo per l'applicazione delle norme è stato un manipolo di colossi (JP Morgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Hsbc, Morgan Stanley e US Bancorp), sette sorelle che molto probabilmente saranno imitate a breve da altri istituti. Il via libera al rinvio è arrivato dall'Office of the Comproller of the Currency (Occ), l'ufficio di vigilanza del Dipartimento del Tesoro che insieme alla Federal Reserve ha la responsabilità di supervisionare le banche. La stessa Fed, inoltre, aveva già chiarito nei giorni scorsi che un'eventuale proroga avrebbe interessato anche gli istituti stranieri attivi negli Usa.

In particolare, la controffensiva della lobby di Wall Street si è scatenata contro una norma che punta a ridurre il potenziale distruttivo dei derivati più rischiosi (come i Cds, titoli con i quali è possibile guadagnare dal fallimento altrui). Si tratta della "Swap push-out Rule", che prevede l'obbligo di concentrare alcune operazioni finanziarie in società distinte da quelle che raccolgono le attività meno pericolose.

L'obiettivo fondamentale è circoscrivere il perimetro delle potenziali bombe finanziarie per evitare effetti sistemici in caso di esplosione e limitare al contempo il costo di eventuali salvataggi (pagati come sempre dai contribuenti). Insomma, si tratterebbe di fare in modo che una valanga come quella innescata nel 2008 dal fallimento di Lehman Brothers non possa ripetersi.

All'epoca furono proprio i derivati - in particolare quelli legati ai mutui subprime - a mettere in ginocchio l'intero sistema finanziario americano, scatenando un effetto domino che ebbe ripercussioni a livello globale e accese la miccia della crisi dei debiti sovrani europei. E' probabile che al momento non siano in vista nuovi tsunami finanziari di quella portata, ma il punto è un altro: un minimo barlume di raziocinio suggerisce di prevenire oggi quello che potrebbe finire di distruggerci domani.

Peccato che non siano dello stesso avviso a Wall Street, dove negli ultimi anni gli indici azionari si sono ampiamente risollevati, tornando di recente a far segnare record storici. Da sole, le cinque maggiori banche americane (JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs) controllano il 90% dei derivati, in un mercato che vale qualcosa come 700 mila miliardi di dollari.

Purtroppo la politica americana, su entrambe le sponde del Congresso, è evidentemente troppo compromessa con questi grandi poteri finanziari. Non c'è quindi da stupirsi se nemmeno la democratica amministrazione Obama ha la forza, gli strumenti o anche semplicemente l'intenzione di cambiare veramente le regole del gioco fra i giganti di Borsa.

Le pressioni della lobby bancaria hanno la meglio sempre e comunque. Il triste destino della Dodd-Frank lo dimostra in modo pressoché inequivocabile. Quella degli istituti di credito è una lenta opera d'erosione che punta ad ammorbidire, dilazionare, smontare pezzo a pezzo e depotenziare l'unico strumento concepito negli Stati Uniti per correggere le storture del sistema finanziario.

Fra i moltissimi ritardi nell'applicazione delle regole, un altro esempio clamoroso è quello della cosiddetta "Volcker Rule", relativa alla separazione tra banche d'affari e istituti d'investimento. L'uomo che dà il nome alla norma, Paul Volcker - già governatore della Federal Reserve - ha fondato un'istituzione autonoma, la Volcker Alliance, che si contrappone esplicitamente alla lobby finanziaria per cercare di piegare le banche alle nuove regole. Non rimane da sperare che un ultraottantenne abbia successo dove le varie agenzie federali hanno fallito.

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