Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Carlo Musilli

La mancanza di politiche espansive, alla fine, ha arrugginito anche i binari della locomotiva tedesca. Dopo una serie di dati macro negativi, ieri Berlino ha tagliato le stime di crescita relative al 2014 da +1,8 a +1,2% e quelle sul 2015 da +2 a +1,3%. Non solo: poche ore prima la Germania aveva incassato anche un brutto colpo dall’indice Zew, il termometro che rileva la fiducia degli investitori nel Paese.

I mercati temevano il peggio, e avevano ragione: a ottobre l’indicatore è sceso in territorio negativo per la prima volta dal novembre 2012 (a -3,6 punti, dai 6,9 di settembre), mentre l'indice che misura le condizioni correnti è crollato a 3,2 punti dai 25,4 del mese scorso. Entrambe le rilevazioni sono inferiori alle attese degli analisti, rispettivamente a 1 e 18 punti.

L’indice Zew è ormai in calo costante dall’inizio dell’anno, rispecchiando una dinamica dell’economia assai peggiore del previsto. La recessione è a un passo anche per la Germania e il dato sul Pil del terzo trimestre (dopo il -0,2% del periodo aprile-giugno) potrebbe certificarla. Nel migliore dei casi sarà stagnazione.

La carrellata di dati poco incoraggianti è iniziata da due comparti in cui per tradizione la Germania non teme rivali: industria ed export, che hanno registrato le peggiori performance dal 2009. La settimana scorsa, infatti, erano arrivate notizie pessime sia sul fronte della produzione (ad agosto -4% su mese, contro il -1,5% atteso) sia su quello degli ordini industriali (un -5,7% mensile mitigato dal +4,9% di luglio, ma comunque molto superiore al -2,5% previsto dagli analisti). Quanto alle esportazioni, sempre ad agosto la caduta su mese è stata del 5,8%.

Numeri di questo tipo hanno fatto vacillare perfino un falco come Wolfgang Schaeuble. Nei giorni scorsi, mentre si trovava a Washington per i meeting di Fmi e Banca Mondiale, il ministro delle Finanze tedesco ha ammesso che la politica di bilancio “deve spostarsi verso gli investimenti” per rispondere ai colpi della stagnazione e tornare alla crescita.

Parole che in bocca al re dei falchi, alfiere del rigore e nemico della spesa pubblica, suonano come un’abiura al vangelo della disciplina di bilancio. In realtà così non è. Al contrario, pare che Schaeuble si riferisse solo agli investimenti privati, considerando che a stretto giro ha riattivato il pilota automatico, scagliandosi prima contro un eventuale quantitative easing della Bce, poi contro lo sforamento del deficit da parte della Francia.

Peccato che l’andamento dell’economia europea stia dando torto a Schaeuble. Il rispetto pedissequo del Patto di stabilità, finora, non solo ha mancato l’obiettivo di porre le basi per una crescita sana, ma ha anche strangolato sul nascere le potenzialità del rimbalzo al termine del ciclo più nero della crisi. In molti Paesi la ripresa non c’è mai stata e i pochi che ne hanno goduto ora sono tornati a rallentare. 

Di fronte a una realtà del genere, in molti chiedono alla Germania di avviare politiche fiscali espansive, soprattutto attraverso maggiori spese in investimenti infrastrutturali, con l’obiettivo di stimolare la domanda interna a beneficio dell’economia tedesca ed europea.

Si tratterebbe di aumentare i consumi e di conseguenza l’import, così da ridurre l’immenso surplus della bilancia commerciale made in Germany, che a luglio ha superato i 23 miliardi e da anni sfora il 6%, valore indicativo che il Six Pack indica come limite da non oltrepassare.

Purtroppo, nulla di tutto ciò è destinato ad accadere nel prossimo futuro. Secondo il ministro dell'economia tedesco Sigmar Gabriel (che è socialdemocratico), “non vi è alcuna ragione per cui il governo della Germania debba modificare la propria linea di politica economica, di bilancio e sociale. Non siamo in recessione, ma sempre su una traiettoria di crescita. Fare debiti in Germania non creerà crescita in Italia, in Francia, in Spagna o in Grecia”.

Ma non farne potrebbe soffocare tutti. E se “la traiettoria” di cui parla il ministro prima o poi cambierà verso, l’Italia sarà la prima vittima collaterale della miopia di Berlino, dal momento che il mercato tedesco è lo sbocco principale delle nostre imprese esportatrici. In termini economici, mal comune non è mai mezzo gaudio.













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