Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Carlo Musilli

Come ogni anno, Germania e Fondo monetario internazionale fanno ripartire la giostra dei ricatti alla Grecia. Lo schema è sempre lo stesso: per non collassare Atene ha bisogno di fondi internazionali, ma la Troika (Ue, Bce e Fmi) pretende l’ennesimo aggravio di austerità per sbloccare la nuova tranche di aiuti, che stavolta fa riferimento al piano di salvataggio da 86 miliardi concordato solo l’estate scorsa.

Il premier greco Alexis Tsipras aveva chiesto di convocare un vertice dei leader dell’Unione per uscire dal vicolo cieco, ma il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk si era detto scettico e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha chiuso la discussione con due parole: “Sono contrario”. L’Eurogruppo straordinario che doveva tenersi oggi, invece, è stato rinviato alla settimana prossima, “o al più tardi alla successiva”, ha fatto sapere ieri sera il presidente Jeroen Dijsselbloem.

La trattativa si annuncia ancora una volta estenuante e, se possibile, quest’anno l’ingiustizia di cui è vittima la Grecia risulta ancora più evidente che in passato. La nuova contesa è figlia dell’improvviso irrigidimento di Fmi e Germania, convinti che i nuovi tagli da 3 miliardi approvati dal governo ellenico con le riforme di fisco e pensioni non siano sufficienti a rispettare gli obiettivi contenuti nel piano di salvataggio, che impone ad Atene di ottenere un avanzo primario pari al 3,5% nel 2018.

Per questa ragione Washington e Berlino vogliono costringere la Grecia a varare nuove misure di austerità non previste dagli accordi della scorsa estate. In sintesi, si chiede ora al Parlamento ellenico di approvare interventi per altri 3 miliardi di euro (pari al 2% del Pil) che scatterebbero automaticamente nel caso in cui Atene mancasse l’obiettivo fissato per il 2018.

Peccato che la Costituzione greca impedisca di votare una clausola di salvaguardia di questo tipo. Lo ha fatto notare il ministro delle finanze Euclis Tsakalotos, che ha proposto in alternativa l’impegno del suo Paese a operare tagli automatici nel momento in cui l’Eurostat certificasse scostamenti significativi dagli obiettivi. I creditori hanno rifiutato ed ecco spiegato il nuovo stallo.

Il copione recitato dalla Troika è ben riassunto in un’intercettazione svelata da Wikileaks: “Bisogna portare la Grecia sull’orlo del baratro allungando i negoziati fino a luglio (quando Atene dovrà pagare 3,5 miliardi alla Bce, ndr), perché solo quando sono con le spalle al muro fanno concessioni”. Queste amenità sono uscite dalla bocca del danese Poul Thomsen, attuale responsabile europeo dell’Fmi ed ex capo della Troika in Grecia.

Quando ricopriva quest’ultimo incarico, Thomsen si produsse in una confessione che non viene mai ricordata abbastanza: “Scusate, - disse - i nostri calcoli erano sbagliati. Abbiamo usato moltiplicatori scorretti. Non avevamo previsto che l’austerità avrebbe abbattuto i consumi e mandato a picco il Pil. E avremmo dovuto ristrutturare i debiti molto prima”. Come premio per il gran lavoro svolto ottenne la nomina al vertice europeo del Fondo.

Eppure, in quel breve momento di sincerità, Thomsen rivelò il più grande segreto di Pulcinella che la storia economica dell’Ue ricordi. L’austerità non ha aiutato il Pil greco a ripartire: anzi, gli ha dato il colpo di grazia. Non ha nemmeno migliorato i conti pubblici ellenici: al contrario, li ha affossati. Ed è per questo che Atene non sarà mai in grado di produrre il surplus di bilancio che servirebbe a ripagare i debiti. In altre parole, la Grecia non si risolleva a causa dell’austerità, e siccome non si risolleva la Troika le impone nuova austerità.

La demenzialità di questo circolo vizioso è manifesta e finché si continua su questa strada è assurdo immaginare che un giorno Atene riuscirà a tornare sul mercato, finanziare da sola tutto il proprio debito pubblico e ripagare per intero i prestiti ricevuti.

In realtà - come lo stesso Fmi sostiene da tempo - l’unica soluzione concepibile è abbattere il debito pubblico ellenico. Lo sanno tutti, eppure la Germania e i suoi sherpa impongono di continuare con il perverso schema Ponzi che tiene artificialmente in vita i conti di Atene (e uccide il Paese): debiti nuovi per ripagare i debiti vecchi.

Come si spiega tanta ottusità? I problemi delle banche private sono ormai risolti: la loro esposizione in Grecia è stata scaricata sulle spalle dei contribuenti europei tramite i precedenti piani di salvataggio, i cui fondi sono stati usati in massima parte per ripagare i crediti degli istituti francesi e tedeschi, e non per aiutare l’economia ellenica. Ma adesso, perché continuare?

La risposta a questa domanda emerge in parte da uno studio del centro tedesco di ricerca economica Iwh. Secondo le simulazioni dell’istituto, pubblicate l’estate scorsa, da quando è iniziato il calvario ellenico sui mercati allo scorso agosto Berlino ha risparmiato circa 100 miliardi di euro in termini d'interessi sul debito pubblico, perché i tassi sui titoli di Stato tedeschi (considerati un bene rifugio) calano ogni volta che arriva una brutta notizia sulla Grecia. E ogni anno, per fortuna del Bund, riparte la giostra.

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