Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Carlo Musilli

Due mostri si aggirano per il sistema finanziario europeo: gli Npl (non performing loans) e i derivati. I primi, meglio noti come crediti deteriorati, sono attività in cui i debitori non riescono più a ripagare i creditori (oggi rappresentano il principale problema delle banche italiane). I secondi, molto diffusi in nord Europa, sono essenzialmente rischi: a ogni titolo corrisponde un sottostante che, a seconda della struttura del derivato stesso, produrrà un guadagno o una perdita.

Npl e derivati sono perciò questioni molto diverse, eppure sono già aperte le scommesse su quale delle due sarà all’origine della prossima crisi finanziaria. L’Economist, come sempre, punta il dito contro le banche italiane, mentre il Fondo Monetario Internazionale ha scritto in un recente report sugli istituti tedeschi che Deutsche Bank è “una delle banche importanti a livello globale che più di tutte contribuisce ai rischi sistemici, seguita da Hsbc e da Credit Suisse”.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla malattia degli Npl. Il nostro Paese è il primo in Europa per la mole dei crediti deteriorati, che dal 2008 a oggi è lievitata arrivando a circa 360 miliardi di euro. Secondo la European Banking Authority, per gli istituti italiani la percentuale di mancato recupero sul totale dei crediti è del 16,7%. La media europea è pari al 5,8%, mentre lo stesso dato relativo alle banche tedesche è al 3,1%, ma soltanto perché in Germania l'intervento statale sugli Npl è avvenuto già nelle prime fasi della crisi finanziaria (2009-2010), molto prima che l’Europa varasse le regole severe del bail-in. Le nuove norme, infatti, proibiscono gli aiuti di Stato e impongono il salvataggio delle banche dall’interno, ovvero con il contributo degli azionisti, degli obbligazionisti e in alcuni casi anche dei correntisti con depositi superiori ai 100mila euro.

In questo contesto, la gravità della situazione italiana è stata rilevata dalla Bce con l’ultima tornata di stress test, che peraltro saranno ripetuti a fine luglio e potrebbero rivelare nuovi buchi di bilancio cui far fronte. Le strade percorribili sono due: aumentare il patrimonio delle banche o ridurre l’ammontare dei crediti deteriorati. Il governo Renzi - appoggiato da Bankitalia, Abi, Confindustria e dallo stesso Fmi - vorrebbe agire su entrambi i fronti utilizzando soldi pubblici e, per riuscirci, punta a ottenere una deroga al bail in.

Ma attenzione: non è richiesto alcun cambiamento delle regole. L’articolo 45 della comunicazione sugli aiuti di stato alle banche, pur confermando la necessità di un contributo degli azionisti e degli obbligazionisti, prevede che si possa intervenire con soldi pubblici nel caso in cui l’applicazione pedissequa del bail-in metta a rischio la stabilità del sistema finanziario. Il governo italiano si appella a questo principio in primo luogo per salvare il Monte dei Paschi di Siena e la Commissione Ue sembra propensa a trovare un compromesso esentando dal contributo gli investitori non istituzionali (ma non quelli istituzionali, tra i quali vi sono le banche stesse).

Stavolta in gioco non c’è una qualche banchetta di provincia, ma il terzo istituto di credito italiano. Matteo Renzi sa benissimo che non può permettersi di lasciare che a pagare per la mala gestione di Mps siano investitori retail e risparmiatori, perché le ripercussioni sarebbero pesantissime a livello tanto finanziario quanto politico. Un disastro del genere nel cuore della sua Toscana, peraltro in una Banca la cui storia recente è legata a filo doppio al Partito Democratico, e con il referendum costituzionale alle porte? No, è decisamente una prospettiva inaccettabile per il Premier.

Ecco perché si sta pensando a un piano in almeno due fasi. L’obiettivo primario è alleggerire il peso dei crediti deteriorati che gravano sul Monte, pari a 47 miliardi di euro. Una parte di questi Npl potrebbero essere ceduti a un nuovo fondo (Giasone?) capitalizzato con 5-6 miliardi da Atlante (che ha ancora 1,7 miliardi a disposizione), insieme alla Sga (bad bank dell'ex Banco di Napoli) e alla Cassa depositi e prestiti, oltre che alle altre banche e casse previdenziali che volessero entrare nella partita. A quel punto scatterà la fase due: poiché la cessione degli Npl dovrà avvenire a prezzi scontati, nel bilancio di Mps si apriranno nuove perdite che dovranno essere colmate con un nuovo aumento di capitale. La Banca potrebbe anche emettere bond convertendi garantiti dallo Stato con parte dello scudo da 150 miliardi che Bruxelles ha recentemente approvato.

Insomma, la posta in gioco è altissima, eppure Renzi afferma che nel panorama del credito europeo “non c'è un problema italiano”: la vera fonte di preoccupazione, semmai, sono “i derivati della banche tedesche”.

Su questo secondo fronte la posizione degli istituti italiani è molto diversa. Secondo uno studio pubblicato la settimana scorsa dalla Cgia di Mestre sulla base di dati Eba relativi allo scorso marzo, le banche di Finlandia, Regno Unito e Germania hanno più del 20% del loro attivo in derivati, contro il 12,9% della media europea e il 5,3% di quella italiana. L’analisi, inoltre, stima che l'ammontare dei derivati in capo alle banche tedesche sia di almeno 813 miliardi di euro, contro i 123 di quelle italiane.

“Non è da escludere che i derivati possano rappresentare un rischio sistemico - scrive il centro studi - specie in questa fase di turbolenza dei mercati finanziari; non è forse un caso che nel corso dell'ultimo anno le banche stesse hanno cercato di ridurre l'incidenza di questi prodotti nei loro bilanci”.

A livello europeo, in effetti, prevale la tendenza a ridimensionare il peso di questi prodotti, tanto che tra il marzo del 2015 e il marzo del 2016 l’incidenza dei derivati sull'attivo delle banche è scesa dal 15,2% al 12,9%. Un calo importante, ma ancora non sufficiente.


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