Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Carlo Musilli

Scalata ostile o mossa strategica? L’operazione di Vivendi nel capitale di Mediaset ha generato un fiume di sospetti, accuse e dietrologie. L’impressione è che a Piazza Affari stia andando in scena una partita a scacchi dai contorni ancora poco chiari, ma è proprio questo alone di mistero a suscitare interesse intorno al caso, capace di oscurare per qualche giorno perfino il dossier Mps.

Partiamo dai fatti. In pochi giorni il colosso francese delle telecomunicazioni guidato da Vincent Bolloré ha acquisito il 20% del Biscione. Fininvest, azionista di maggioranza di Mediaset, ha risposto aumentando la propria quota fino alle soglie del 40%, cui va aggiunto il 3,79% di azioni proprie in pancia al gruppo televisivo, che in teoria potrebbe salire fino al 10%.

Vivendi sostiene ufficialmente che l’operazione non sia un atto ostile: dice di voler rafforzare la propria posizione nell’Europa meridionale, un’area che considera strategica. Fininvest però ha denunciato il gruppo francese, accusandolo di aver speculato sul titolo Mediaset per tentare una scalata, e la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per manipolazione di mercato.

Ora, considerati i valori in campo, sembra quantomeno improbabile che in futuro Vivendi possa davvero acquisire il controllo del Biscione. Ma allora come si spiega tanta irruenza? Per avere le idee più chiare bisogna tenere presente l’affaire Premium. Lo scorso 8 aprile i francesi avevano sottoscritto un accordo vincolante per acquisire la pay-tv di Mediaset. A luglio però ci hanno ripensato, affermando di aver trovato nei conti di Premium “significative differenze” rispetto alla valutazione iniziale.

Il mese successivo Mediaset e Fininvest hanno fatto causa al gruppo di Bolloré, chiedendo l’esecuzione forzata del contratto, oltre a un risarcimento monstre. Nel frattempo il titolo in Borsa del Biscione è caduto a picco, perciò ora il gruppo di Cologno Monzese accusa Vivendi di aver ordito fin dall’inizio un piano machiavellico, facendo crollare di proposito il valore delle azioni Mediaset in preparazione al tentativo di scalata.

E adesso? Secondo il mercato, lo scenario più verosimile è quello della pax armata. Gli analisti di Icbpi fanno notare che, dopo gli ultimi acquisti, “la società francese si approssima a rappresentare una minoranza di blocco in assemblea straordinaria e quindi ad avere maggior potere negoziale con Fininvest”. In questo modo potrebbe avviare una nuova trattativa per creare un gruppo media dominante nel Sud Europa. Del resto, Vivendi è già azionista di maggioranza di Telecom Italia, mentre Mediaset controlla il 55% del mercato pubblicitario televisivo in Italia e il 40% in Spagna.

Ma a prescindere dall’esito della partita, lo scontro Bolloré-Berlusconi ha già prodotto un effetto culturale, restituendo attualità al vecchio dibattito sulla colonizzazione estera delle imprese italiane. La dottrina vuole che si possano cedere senza troppi patemi gli asset non strategici, mentre si debba tutelare l’italianità di quelli strategici (cioè fondamentali per l’economia e non replicabili).

In linea con questo principio, un esercito di realtà del made in taly ha già attraversato le Alpi: oltre a Telecom anche Parmalat, Edison, Bulgari, Gucci, Loro Piana, Fendi, Bottega Veneta, Bnl e Cariparma sono oggi controllate da gruppi francesi. Nessuna di loro si può definire strategica e, onestamente, non lo è nemmeno Mediaset. Lo stesso discorso vale per l’ultima della lista, Pioneer, che di recente Amundi ha acquistato da Unicredit.

Già, Unicredit. Pochi giorni fa la seconda banca del Paese ha annunciato un aumento di capitale titanico (13 miliardi) che potrebbe cambiare radicalmente il suo azionariato. Viene da chiedersi chi saranno i nuovi padroni a operazione conclusa, visto che l’istituto in questione finanzia l’economia reale, ha in pancia un oceano di titoli di Stato e custodisce i risparmi di milioni di italiani. In altri termini, forse stiamo indirizzando le nostre angosce sull’obiettivo sbagliato: Mediaset non è strategica, ma Unicredit sì.

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