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di Antonio Rei

Equitalia è morta, lunga vita a Equitalia. Dal primo luglio la vecchia agenzia di riscossione non esiste più come società autonoma: è stata fagocitata dall’Agenzia delle Entrate per dare vita all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Tanto basta a gonfiare un altro po’ l’ego di Renzi e dei renziani, che come sempre ci deliziano con il loro tronfio compiacimento basato sul nulla.

Smerciata come un passo avanti nel rapporto fra contribuenti e amministrazione fiscale, sbandierata con volgarità alla stregua del berlusconiano “meno tasse per tutti”, l’abolizione di Equitalia non è nulla di tutto questo. Si tratta dell’ennesimo specchietto renziano per le allodole italiane, una presa in giro che in realtà dice molto del copione politico seguito dal segretario del Pd. È l’illustrazione di un metodo: da una parte la promessa che solletica la pancia degli elettori ma in realtà non cambia nulla, dall’altra l’accentramento del potere nelle mani del grande capo.

Iniziamo dal primo punto. Domanda: dalla prospettiva dei contribuenti, cosa cambia con il passaggio da Equitalia all’Agenzia delle Entrate-Riscossione? Risposta: il nome, le insegne negli uffici, il logo della carta intestata e l’indirizzo del sito internet. Fine. Le norme che regolano la riscossione restano le stesse. Il nuovo soggetto non sarà né più né meno cattivo del precedente, ma avrà un nome diverso. E questo – sperano al Nazareno – basterà a rassicurare i milioni di italiani che dal profondo del cuore detestavano Equitalia, nata poco prima della grande crisi (era il 2007) e gestita in modo talmente dissennato da esasperare la crisi sociale italiana.

A ben vedere, l’unico vero cambiamento è nel campo del diritto. Equitalia era una Spa, mentre l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è un ente pubblico economico. La questione non è da poco, perché il 27 luglio il Consiglio di Stato si pronuncerà sul ricorso di un sindacato contro l’immissione nel nuovo ente di personale di Equitalia che aveva un contratto di diritto privato e non ha sostenuto alcun concorso. Lo statuto pubblicato in Gazzetta giovedì scorso cerca di metterci una pezza, ma in realtà combina un pastrocchio: “Il rapporto di lavoro del personale dipendente – si legge – è disciplinato dalle norme che regolano il rapporto di lavoro privato”. Cioè, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è un ente pubblico in cui però i dipendenti lavorano come nel privato e vengono assunti senza concorso.

E poi c’è l’altra grande questione, quella che riguarda le pedine del potere. A presiedere il nuovo ente sarà lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate, il quale, sempre statuto alla mano, “rappresenta e dirige l’Agenzia delle Entrate Riscossione esercitando i poteri di gestione: in particolare, presiede il Comitato di gestione; propone ed esegue le deliberazioni del Comitato; dirige le strutture organizzative dell’Agenzia e le relative attività; dispone gli impegni di spesa”.

Tutto questo potere sarà esercitato da Ernesto Maria Ruffini, renziano doc che ha da poco sostituito all’Agenzia delle Entrate Rosella Orlandi. Quest’ultima era sgradita al segretario del Pd per la sua contrarietà a molte scelte del precedente governo, a cominciare dall’aumento a 3mila euro della soglia per l’uso dei cotanti (una mossa che Renzi aveva venduto come incentivo ai consumi, ma che secondo Orlandi avrebbe favorito evasione e riciclaggio).

Ma intanto, nel mondo reale, che succede? Mentre gli addetti sostituiscono le insegne di Equitalia e staccano i loghi adesivi dalle porte a vetri, l’Istat ci fa sapere che nel primo trimestre di quest’anno la pressione fiscale ha raggiunto il 38,9%, segnando un aumento di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2016. Una notizia che, stranamente, non trova posto nelle autocelebrazioni di Renzi su Facebook.