Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Carlo Musilli 

Il primato era già loro, ora festeggiano il compleanno. Nei giorni scorsi il Belgio senza governo ha compiuto un anno di vita. Un record assoluto in tempo di pace, che ha consentito al Paese di conquistarsi un posto nell'almanacco della Guinness. Addirittura surclassati gli iracheni, i precedenti detentori del titolo, che dopo l'invasione americana ci avevano messo solo 249 giorni a formare un nuovo esecutivo. Dilettanti.

A ben vedere, quello che sta accadendo a Bruxelles e dintorni sembra basato su una sceneggiatura di Franz Kafka. Tutto è cominciato il 14 giugno 2010, data delle ultime consultazioni politiche. Nelle Fiandre, a nord, vinsero con il 27,8% dei voti i separatisti-nazionalisti della Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va), guidati da Bart De Wever.

Tutt'altra storia nel sud vallone e francofono, dove a spuntarla con il 37,6% furono i socialisti dell'italico Elio Di Rupo. Da allora si susseguono negoziati sempre più esasperanti per tentare di mettere in piedi un governo qualsiasi. Niente da fare. Fino ad oggi, solo fumate nere.

L'assurdità sta nel fatto che già un anno fa si era trattato di elezioni anticipate. L'obiettivo, quanto mai paradossale con il senno di poi, era di garantire stabilità a un Paese che aveva visto avvicendarsi tre diversi premier in soli quattro anni. E invece siamo ancora allo stesso punto. Più di dodici mesi con le mani nei capelli.

Durante questo lungo purgatorio, a tenere in mano le redini del Belgio è stato il povero primo ministro uscente, il cristiano-democratico fiammingo Yves Leterme, costretto a rimanere attaccato con le unghie a quella stessa poltrona da cui aveva cercato di scappare. Si era dimesso a soli cinque mesi dall'inizio del suo mandato, dopo una frattura fra i partiti fiamminghi e valloni sulla definizione della circoscrizione elettorale di Bruxelles. Naturalmente, non essendo legittimato dal voto popolare ma solo dall'imbarazzante stallo causato dai suoi colleghi, oggi Leterme non svolge le funzioni di un vero premier, limitandosi all'ordinaria amministrazione.

E in verità non se la cava affatto male: non solo è stato senza problemi presidente di turno dell'Unione europea per sei mesi, ma si è anche assunto la responsabilità di decisioni dal peso specifico rilevante. Ad esempio, la partecipazione attiva alla missione militare in Libia affianco della Nato. Per non parlare dell'economia, che negli ultimi mesi ha fatto segnare dei tassi di crescita sorprendentemente alti (nonostante il deficit sia il terzo più alto di tutta l'Ue, pari al 100% del Pil).

Ma ormai Leterme non ne può più: "Sono costretto a governare il Paese - ha detto sconsolato - mentre gli altri si riposano sugli allori. Questo non è il normale corso delle cose". Secondo lui, invece di puntare al pragmatismo per salvare la faccia, i partiti si lasciano guidare dai sondaggi. Così facendo, il compromesso si allontana sempre di più.

A risolvere la situazione potrebbe essere Di Rupo, che a fine maggio ha ricevuto per la seconda volta un mandato esplorativo da re Alberto II. In teoria, dovrebbe formare un nuovo esecutivo entro fine mese (e se ci riuscisse diventerebbe il primo presidente vallone negli ultimi trent'anni). Certo, i precedenti non incoraggiano: già sette mandati esplorativi, affidati di volta in volta al politico meno improponibile, si sono risolti in altrettanti buchi nell'acqua. A complicare ulteriormente le cose ci si sono messi anche i problemi di salute del socialista, che si è dovuto operare alle corde vocali. Secondo alcuni gli avrebbero fatto male le troppe parole al vento.

Intanto il Belgio è sempre più spaccato a metà, non solo dal punto di vista linguistico. I fiamminghi separatisti delle Fiandre (il 60% della popolazione) guardano con disprezzo al sud vallone e francofono, molto più arretrato e quindi considerato alla stregua di una zavorra, un ostacolo sulla strada dello sviluppo. Se dal nord premono per ottenere una maggiore autonomia federale, i meridionali si oppongono, terrorizzati all'idea che questo sia il primo passo verso la definitiva secessione del Paese. Insomma, il salotto buono dell'Unione europea è un Paese diviso.

Difficile prevedere come si risolverà la crisi. Secondo diverse testate di lingua francese, la prospettiva più probabile è quella di nuove elezioni all'inizio dell'autunno. Il problema è che, secondo i sondaggi, dalle urne uscirebbe un risultato pressoché identico a quello ottenuto nella primavera 2010. E la giostra belga ricomincerebbe a girare.

 

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