Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Carlo Musilli 

Nel cuore dell'Europa unita, quello che una volta era un grande Paese sta scivolando verso l'autoritarismo. A Bruxelles si coprono gli occhi con entrambe le mani pur di non vedere. Ma siccome a volte la storia ha il senso dell'umorismo, il destino ha voluto che questo momento nero per l'Ungheria coincidesse con il suo turno di presidenza dell'Unione europea. Risultato: a presiedere il Parlamento comunitario (fortunatamente ancora per poco) c'è un losco figuro che ha esplicitamente dichiarato di fronte all'assemblea continentale di "non credere nell'Unione, ma soltanto nell'Ungheria".

Il suo nome è Viktor Orban, primo ministro di Budapest. Un anno fa il suo partito (Fidesz) ha stravinto le elezioni, riuscendo ad occupare i due terzi del Parlamento. Da allora la presa di potere è stata inesorabile e priva di qualsiasi senso del pudore.

L'ultima trovata di Viktor ha a che fare con una retriva campagna contro l'aborto. Le strade ungheresi sono tappezzate di cartelloni con l'immagine di un feto che implora pietà alla donna che lo porta in grembo: "Posso anche capire che non sei pronta per me, ma pensaci due volte, fammi adottare, fammi vivere".

L'aspetto vergognoso è che questo scempio è stato realizzato in parte con fondi comunitari. Di fronte a questo "abuso incompatibile con i valore dell'Ue", il commissario europeo alla Giustizia, Viviane Reding, è stata costretta ad aprir bocca e a chiedere l'immediato ritiro dei cartelli. Se gli ungheresi non dovessero obbedire, potrebbero scattare sanzioni pari a quelle che si usano in casi di guerra o di crimini contro l'umanità.

Peccato che l'indignazione di Bruxelles arrivi con colpevole ritardo, per di più legata a quella che è forse la meno grave (ma sicuramente la più mediatica) delle aberrazioni ungheresi.

Nei mesi precedenti l'Esecutivo di Budapest aveva già fatto abbastanza guai da meritarsi le sanzioni più pesanti che l'Ue possa infliggere a uno stato membro. Su tutti la riscrittura completa della Costituzione da parte del solo partito di maggioranza. Il nuovo testo - che entrerà in vigore dal 2012 - è l'apoteosi del trionfalismo nazionalista, xenofobo e totalitario: il vago sapore nazistoide è decisamente intercettabile, volendo vedere e ascoltare.

Lo Stato non è più definito nei termini di una repubblica, ma di una nazione politica con radici etniche e cristiane. Dio e l'appartenenza alla razza magiara sono i valori fondamentali, mentre i diritti delle minoranze non vengono nemmeno presi in considerazione. In alcuni passaggi s’intravede perfino la rivendicazione dei territori sottratti al Paese dopo la prima guerra mondiale, oggi divisi fra Serbia, Romania, Croazia e Slovacchia.

Come se non bastasse, il principio della separazione dei poteri è spazzato via: l'Esecutivo allarga le sue competenze in materia sociale e fiscale, mentre l'elezione di una serie di cariche istituzionali finora indipendenti (i membri della Corte Costituzionale, il presidente della Corte di Cassazione, il procuratore capo, etc.) viene subordinata alla nomina governativa. Le cariche, per di più, hanno una durata molto più lunga che in passato, in modo da permettere agli uomini di Orban di occupare il potere anche in caso di sconfitta alle prossime elezioni.

Ma nessun autoritarismo può dirsi tale finché non controlla l'informazione. Viktor lo sa. Per questo ha nazionalizzato una sfilza di testate e ha istituito una commissione speciale (nemmeno a dirlo, di nomina politica) per controllare e punire con multe fino a 89mila euro gli articoli "politicamente non equilibrati". I giornalisti, inoltre, sono obbligati a rivelare le proprie fonti se non vogliono essere perseguiti a livello penale.

La ciliegina sulla torta è la Mti, una nuova agenzia stampa finanziata dallo Stato che prenderà il posto di tutte le vecchie agenzie private, costrette a chiudere i battenti. Questi per sommi capi i principi di quella che da noi è conosciuta come "la legge bavaglio ungherese". Votata lo scorso dicembre, dal primo luglio è entrata in vigore.

Purtroppo nulla di tutto questo sembra sufficiente a smuovere Bruxelles dal suo torpore. Le uniche parole pronunciate negli ultimi mesi non hanno fatto altro che esprimere una blanda, ipocrita "preoccupazione". Nel frattempo, l'Ungheria continua a violare sistematicamente i principi cardine su cui l'Ue è stata fondata perché sa di poterlo fare. In questo momento nessuno ha interesse a inimicarsi Budapest.

Nonostante tutto, il Paese magiaro resta una piazza economica su cui indirizzare quote interessanti di esportazioni e le stesse banche, Unicredit in particolare, sono seriamente esposte in Ungheria. In un momento del genere, devono aver pensato a Bruxelles, non ci si può rinunciare, nemmeno in nome della democrazia. 

 

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