Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Carlo Musilli

Che sia o meno il "processo del secolo", a Guantanamo si celebra prima di tutto una pesante sconfitta per Barack Obama. Dopo 10 anni e otto mesi dall'11 settembre, nel segretissimo "camp 7" del carcere Usa in territorio cubano, è iniziato il procedimento contro i cinque presunti organizzatori degli attentati che sterminarono quasi tremila americani.

Alla sbarra Khalid Shaikh Mohammed, autoproclamatosi "ideatore" degli attacchi, Aziz Ali, Walid Muhammad Salih Mubarak Bin Attash (ex responsabile di Al-Qaeda in Arabia Saudita), Ramzi Binalshibh (capo della cellula di Amburgo) e "il cassiere" Mustafa Ahmed Adam al-Hawsawi. Arrestati ben nove anni fa, dalla settimana scorsa siedono davanti a un tribunale militare. Sono accusati di aver addestrato e finanziato i 19 dirottatori responsabili degli attacchi aerei. E rischiano la pena di morte.

Si avvera così quello che il Presidente aveva giurato di evitare. Prima ancora di ricevere (sulla fiducia) il premio Nobel per la pace, nella fantasmagorica campagna elettorale del 2007 e poi ancora a inizio mandato, Obama aveva fatto due promesse: il trasferimento del caso alla giustizia civile in un tribunale di Manhattan e la chiusura di Guantanamo, vergognosa eredità del guerrafondaio Bush jr.

Il primo obiettivo è stato mancato anche per l'opposizione del sindaco di New York, Michael Bloomberg, che aveva calcolato in 400 milioni di dollari i costi che la città avrebbe dovuto sostenere solo per le misure di sicurezza. Il fallimento più grave è arrivato però in Congresso, dove il Presidente si è visto negare i fondi per la chiusura del carcere. A votargli contro non solo i Repubblicani, ma anche una minoranza dei suoi stessi democratici. Nell'ultima finanziaria è comparsa perfino una postilla che vieta al Pentagono di usare fondi propri per trasferire i detenuti da Guantanamo al continente. Come a dire che, negli Stati Uniti, nemmeno il Presidente del "Yes we can" può permettersi di remare troppo forte contro i vertici militari.

Quella che vorrebbe essere la prima democrazia del pianeta continuerà così a violare sistematicamente i diritti civili dei detenuti in una fortezza oltreconfine. Ma su questo punto a Obama è riuscito il colpo di coda. E non si tratta di un dettaglio, anzi, potrebbe perfino invertire le sorti del processo. In sostanza, grazie a una riforma del codice militare, è diventato illegale usare in sede giudiziaria "testimonianze estorte con la tortura".

Una vera disdetta per gli zelanti militari, che nel corso degli ultimi anni hanno sottoposto il solo Khalid Shaikh Mohammed (la "mente") a ben 183 sedute di "waterboarding". Il nome sembra quello di un'attrazione da parco acquatico, ed in effetti è uno dei passatempi più in voga fra i gendarmi di Guantanamo: si immobilizza il nemico da interrogare in modo che i piedi siano più in alto della testa, poi gli si versa in faccia un getto d'acqua continuo. Con questa pratica - detta anche "annegamento controllato" - gli americani hanno estorto ai detenuti montagne di informazioni. Una perdita di tempo oltre che di umanità, visto che ora nessuna di quelle rivelazioni può essere usata nel processo.

La limitazione giudiziaria è uno smacco per i militari, ma non mette fine al regime di tortura che domina a Guantanamo. L'opinione pubblica aveva chiesto a Obama di cancellare la violenza illegale del bushismo, ma dopo una lunga battaglia il Presidente democratico ha fallito. Secondo il Washington Post, la maggioranza degli americani non crede che agli attentatori dell'11 settembre sarà garantito un giusto processo.

In ogni caso, comunque vada il procedimento, la stampa non può darne conto liberamente. I giornalisti non sono ammessi in aula: in sessanta possono assistere al processo, ma solo attraverso i maxischermi allestiti in quattro diverse basi militari. Le immagini vengono trasmesse con una differita di 40 secondi, in modo da consentire la censura d'urgenza.

La scena più cruda di cui si abbia avuto notizia finora ha avuto come protagonista Ramzi Binalshibh. Presentandosi di fronte ai giudici, l'imputato yemenita è stato uno dei pochi ad aprire bocca: "Volete solo ucciderci", ha urlato. 


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