Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Carlo Musilli

Le elezioni sono finite, l'incertezza no. A una quarantina di giorni dalle ultime consultazioni che non avevano prodotto alcuna maggioranza parlamentare, la Grecia è tornata al voto. I conservatori di Nuova Democrazia (al 30%) si confermano primo partito del Paese, tallonati però da Syriza (26%), formazione di sinistra radicale guidata dal 37enne Alexis Tsipras. Molto distanti i socialisti del Pasok (12%), che si piazzano a terzo posto, seguiti con meno di 10 punti da Greci Indipendenti, Alba dorata, Sinistra Democratica (Dimar) e Partito Comunista (Kke).

In tutto, oltre 9 milioni di elettori (su una popolazione complessiva di poco superiore agli 11 milioni di persone) sono stati chiamati a scegliere fra 21 partiti e 4.815 candidati. Lo scorso 6 maggio l'astensionismo era arrivato al 35% e il 18% delle schede si era disperso fra una miriade di partitini che non era riuscita a superare la soglia di sbarramento, fissata al 3%. Alla vigilia del voto bis, tuttavia, il 40% dei greci (secondo un sondaggio della Metron Analysis) aveva intenzione di esprimersi in maniera differente.

In effetti, dopo il fallimento del mese scorso, stavolta il voto si è polarizzato in maniera più netta, come se invece di elezioni politiche si fosse trattato di un referendum a favore (Nd) o contro (Syriza) l'accordo d'austerity firmato da Atene con Ue e Fmi in cambio degli aiuti da 130 miliardi. Anche grazie alla generosità del sistema proporzionale greco, che prevede un premio di maggioranza particolarmente ampio (50 seggi sui 300 del Parlamento), oggi per creare una nuova maggioranza di governo è sufficiente l'alleanza fra Nd e Pasok. Gli stessi partiti che per anni hanno falsificato i conti pubblici portando il Paese allo sfacelo attuale.

Sull'insuccesso di Tsipras ha pesato un'impostazione manichea secondo cui Nuova democrazia voleva dire euro, mentre Syriza era sinonimo di dracma. In molti hanno fatto passare questa equazione, troppo lineare e semplice per convincere fino in fondo. La prima furbetta sulla lista è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, che sabato ha auspicato dalle urne greche "un risultato per cui quelli incaricati di formare il governo dicano sì al rispetto degli impegni". In altre parole: cari greci, votate Nuova Democrazia e finitela di seccarci.

Evidentemente nessuno ha spiegato a frau Merkel che per ora non gode di una grandissima popolarità in terra ellenica (come già in Francia, dove sostenne apertamente la ricandidatura di Sarkozy...). L'interferenza gratuita ha suscitato più sdegno che ossequio, e Tsipras si è permesso di ricordare alla cancelliera che nei Trattati Ue non c'è alcun articolo che prescriva l'adesione all'austerity per rimanere nell'Eurozona. Tanto meno a un Paese che in quattro anni ha visto il Pil crollare del 20% e la disoccupazione schizzare al 22%.

Certo, se le prossime tranche di aiuti internazionali non arrivassero, Atene non riuscirebbe più a pagare pensioni e stipendi pubblici già dal 20 luglio. Peccato che il successivo default sarebbe una mannaia sui conti delle banche di mezza Europa e gli istituti tedeschi ne risentirebbero più degli altri, esposti come sono sul debito greco. Ormai quindi non c'è bluff che tenga: la rinegoziazione del memorandum è data per certa.

Anche perché adesso non c'è più solo Syriza ad invocarla. Con un occhio ai sondaggi elettorali, anche Antonis Samaras, leader di Nd, si è convinto della necessità di chiedere a Bruxelles condizioni meno disumane per i cittadini greci. L'Europa sembra disponibile a qualche concessione: ridurre i tassi sul maxi-prestito, allungare di un paio d'anni i tempi per gli impegni di bilancio, garantire interventi infrastrutturali della Bei e rivedere gli 11 miliardi di nuovi tagli previsti entro fine giugno. Il resto dell'accordo però dovrà essere confermato in via definitiva.

Tsipras avrebbe voluto ben altro: dalla nazionalizzare del sistema bancario all'aumento dello stipendio minimo, passando per la cancellazione delle norme più pesanti in tema di lavoro, pensioni e fisco. Purtroppo per i greci, invece, a Samaras le condizioni di Bruxelles potrebbero bastare.   

 

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