Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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L'accordo raggiunto poteva essere firmato molto prima, risparmiando morti e distruzioni al Libano e alla stessa Israele. Solo la pervicacia a perdere della Casa Bianca ha impedito che il cessate il fuoco fosse raggiunto già in sede di Conferenza di Roma. L'obiettivo degli strateghi dell'Amministrazione Bush era quello di incitare Israele ad andare avanti, con lo scopo di distruggere Hezbollah e privare quindi l'Iran del suo primo livello di risposta e di difesa da una eventuale aggressione di Tel Aviv per procura Usa.

L'obiettivo è miseramente fallito. Quando una guerriglia affronta un esercito, se non viene distrutta ha vinto, mentre quando un esercito affronta una guerriglia, se non la distrugge ha perso. Hezbollah non solo non è stato sconfitto, ma ha anzi accresciuto notevolmente le sue capacità militari a spese dell'esercito israeliano e della popolazione dell'Alta Galilea.
Di più. Hezbollah è ancora radicato nel sud del Libano con grande parte del suo arsenale missilistico e della sua forza guerrigliera intatti e, cosa nuova rispetto all'inizio del conflitto, ha accresciuto le sue simpatie politiche nel resto del Paese e non solo tra gli sciiti. Invece di essere messo ai margini dall'esercito e dalle forze politiche libanesi, si è guadagnato il pubblico riconoscimento dello stesso premier Sinora (un tempo avversario deciso) per "la straordinaria resistenza all'invasore". Si è anche guadagnato il rispetto dell'esercito libanese, che ora sa che non gli sarà più possibile disarmarlo, visto che non è riuscito nemmeno a Israele. In ultimo - ma non da ultimo - Hezbollah gode ora del consenso generalizzato delle masse arabe che hanno visto nel Partito di Dio il primo esempio di resistenza vittoriosa degli arabi contro gli israeliani, dalla guerra dei sei giorni del 1967 o anche solo da quella del Kippur del 1973 ad oggi.

Insomma Hezbollah è oggi, agli occhi delle masse arabe, il simbolo della resistenza araba contro Israele, l'inizio di una nuova pagina della dottrina militare mediorientale che ha nella guerriglia organizzata e nell'insediamento popolare una forza prima sconosciuta. Che non vede più Tsahal, l'esercito israeliano, come dominatore incontrastato della regione, monito e minaccia per ogni rivendicazione politico-militare araba, deterrente internazionale contro la messa in discussione degli equilibri geopolitici di tutto il Medio Oriente e del Golfo Persico. Il Partito di Dio riscuote oggi di un credito politico e d'immagine presso tutto il mondo arabo che potrebbe dar luogo ad emulazioni in diverse realtà, quella palestinese innanzi tutto.
E anche i riflessi interni al Libano subiranno il portato di questa guerra, dal momento che Hezbollah non solo vede rafforzato il suo ruolo nel governo di coalizione, ma, come Hamas in Palestina, si candida ad un ruolo politico per peso elettorale ed influenza politica molto maggiore che in passato.

Lo stesso peso sciita all'interno del mondo musulmano è destinato ad aumentare e, con esso, quello dell'Iran, considerato a torto o ragione il nemico per eccellenza dell'Occidente. Il sostegno iraniano a Nasrallah si è rivelato vincente e l'influenza di Teheran sulla Mesopotamia è cresciuta a dismisura.

Israele ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare. Un governo ansioso di farsi conoscere ha ceduto alle pressioni dei militari ed ha frettolosamente iniziato una campagna militare in violazione del diritto internazionale e del buon senso, che ha condotto al risultato di vedere per la prima volta la sua macchina bellica incapace di aver ragione del nemico, perdendo con ciò l'autorevolezza militare consolidatasi da quarant'anni. Israele si é dimostrata capacissima di assassinare bambini e distruggere infrastrutture, ma incapace di vincere la guerriglia di Hezbollah e di ottenere i due risultati che erano la ragione formale della sua campagna: la restituzione dei militari israeliani fatti prigionieri dal Partito di dio e la cessazione dei lanci di missili sull'Alta Galilea. I soldati israeliani non sono tornati e, per riscattarne due, ne sono morti cento; i lanci di missili non sono cessati e, invece dei katiusha, ne sono arrivati più pesanti e più in profondità nel cuore di Israele, che ha perso così anche l'inviolabilità delle sue frontiere di fronte agli attacchi provenienti dai territori limitrofi.
Sul piano strategico, se l'intenzione di Tel Aviv era quella di favorire una nuova guerra civile in Libano, l'errore è stato, anche qui, doppio: la guerra civile non c'è stata e la popolazione libanese è compattamente, insieme alle forze politiche, schierata contro l'invasione israeliana. Quindi in qualche modo con Hezbollah.

La mancata vittoria sul campo segna anche una sconfitta per i servizi segreti militari di Tel Aviv: i calcoli sulla consistenza dell'armamento di Hezbollah, sul suo insediamento e sul grado di efficienza operativa della sua struttura militare, si sono rivelati clamorosamente sbagliati, forse suggeriti dalla convinzione che l'uscita dei siriani dal Libano avrebbe rappresentato un oggettivo, definitivo indebolimento del Partito di Dio. E la stessa idea che la Siria avrebbe subito dei contraccolpi destabilizzanti dalla sconfitta di Hezbollah e dalla vittoria d'Israele si è rivelata previsione ottimistica quanto sbagliata. E con la sequela di errori inanellati, anche sul piano dell'individuazione dei ceppi di resistenza sciita, il mito dell'efficienza dello Shin Bet ha subito un colpo devastante.

Nello specifico contesto libanese, il capitale acquisito con la cosiddetta primavera di Beirut, con la mobilitazione antisiriana che aveva costretto Damasco a lasciare il paese dei cedri, è gia dilapidato. Con la forza d'interposizione Onu a guida francese, Israele non solo ridà sostegno al ruolo dell'Onu e dell'Europa (cosa che davvero non avrebbe gradito), ma ritrova Parigi, che non dimentica i legami storici con il Libano; Parigi, con cui i rapporti d'Israele sono tutt'altro che buoni, considerando che la Francia non può essere annoverata tra i paesi obbedienti alle scelte geostrategiche di Washington ed é certo priva di qualunque timore reverenziale verso Israele, mentre invece sono noti i suoi buoni rapporti con Teheran. Non sarà facile.

I riflessi di politica interna nella stessa Israele saranno pesanti. La sconfitta militare e politica, sancita sia dalla mancata vittoria sul campo che dall'accordo in sede Onu (che prevede forze europee a comando francese, cosa ben diversa dal contingente Nato a guida britannica che pretendeva Tel Aviv), oltre a conteggiare perdite gravi di vite umane e di superiorità militare, ha sancito la morte politica di Kadima, esperimento di genetica politica in funzione della fusione della destra laburista con l'ala moderata del Likud, ammesso che tra i due partiti vi siano fondamentali divergenze. E il consenso del movimento pacifista israeliano alle operazioni militari è davvero ben poca cosa, rispetto all'orrore internazionale per le modalità di conduzione della guerra. Il Premier Olmert somiglia già ad un ex premier; lo scontro con pezzi importanti del suo gabinetto e la dichiarata delusione di una parte dei media, nonché di settori importanti dei vertici militari, è solo l'annuncio della fine della breve quanto stupida carriera di un gregario inventatosi leader a spese della pace nella regione. Il letto d'ospedale di Sharon gli era sembrato un trampolino, ma la figura dell'ex premier lo schiaccia come un topolino sotto il tallone dei suoi errori. Israele non ha nel perdono la dote più diffusa. Sarà difficile salvare l'omino che ha ricondotto Tsahal dal mito dell'invincibilità alla realtà della sconfitta.

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