Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Michele Paris

Questa settimana, gli Stati Uniti hanno per la prima volta accusato in maniera esplicita la Cina di avere sistematicamente violato le reti informatiche del governo e delle maggiori corporation americane. L’innalzamento dei toni dello scontro con Pechino da parte di Washington appare del tutto ingiustificato, visti i precedenti degli stessi USA in questo ambito, ed aggiunge un altro tassello alla strategia portata avanti dall’amministrazione Obama per giustificare politiche militariste nell’ambito della “svolta” asiatica volta a contenere l’espansionismo cinese e, sul fronte domestico, misure che assegnano poteri sempre più ampi al governo federale.

L’accusa indirizzata sia al governo di Pechino che alle forze armate cinesi è contenuta nell’annuale rapporto del Pentagono sullo stato delle forze armate della seconda potenza economica del pianeta. Lo studio del Dipartimento della Difesa, il quale ha a disposizione ogni anno un budget quasi superiore a quello stanziato complessivamente per le spese militari dai governi di tutto il resto del mondo, attribuisce in sostanza alla Cina il comportamento tenuto in questi anni dagli stessi Stati Uniti sullo scacchiere internazionale.

Pechino, cioè, rappresenterebbe una minaccia alla stabilità del pianeta, in particolare alla sicurezza delle comunicazioni informatiche globali. Il governo americano, infatti, sarebbe continuamente “bersaglio di cyber-attacchi, alcuni dei quali sono riconducibili direttamente al governo e ai militari cinesi”. Secondo il Pentagono, queste operazioni di pirateria informatica, approvate o ordinate dai vertici dello stato, hanno lo scopo di “ricavare un quadro completo delle reti difensive americane, ma anche di quelle logistiche” e di valutare le “capacità militari così da sfruttare le relative informazioni nel corso di un’eventuale crisi”.

Per quanto riguarda invece lo spionaggio informatico, l’obiettivo di Pechino sarebbe quello di ottenere informazioni sulla tecnologia sviluppata in America per favorire la modernizzazione dell’industria e delle forze armate cinesi.

L’aperta accusa rivolta alla Cina rappresenta un salto qualitativo della retorica di Washington nell’ambito della guerra informatica. In precedenza, queste accuse erano state rivolte esclusivamente da enti privati o singole personalità pubbliche, come fece il New York Times nel mese di febbraio, quando pubblicò il risultato di un’analisi della compagnia di sicurezza informatica Mandiant, la quale accusava senza prove effettive un’unità segreta dell’Esercito del Popolo cinese di avere condotto una serie di cyber-attacchi ai danni di aziende, media e uffici governativi statunitensi.

Prevedibilmente, la notizia del rapporto del Dipartimento della Difesa USA ha provocato le immediate e dure reazioni di Pechino, affidate soprattutto ad alcuni editoriali pubblicati sui più importanti organi di stampa del regime. Il Quotidiano del Popolo mercoledì ha così respinto al mittente le accuse, definendo gli Stati Uniti “il vero impero degli hacker”, poiché responsabile di spionaggio informatico su vasta scala non solo ai danni della Cina ma anche “dei suoi stessi alleati”.

Secondo il giornale cinese, gli americani negli ultimi anni avrebbero inoltre intensificato i cyber-attacchi, utilizzandoli come strumento per rovesciare regimi sgraditi, potendo contare su “un cyber-esercito di oltre 50 mila persone e più di 2 mila cyber-armi” a disposizione.

Gli Stati Uniti, poi, sarebbero l’unico paese che si oppone alla creazione di un sistema di regolamentazione informatico globale, sottoposto alle Nazioni Unite nel 2011 da Russia e Cina. Infine, entro il 2014 la spesa complessiva del governo americano per la sicurezza informatica dovrebbe sfiorare la cifra record di 18 miliardi di dollari.

Lo stesso ministero degli Esteri di Pechino ha a sua volta rilasciato una dichiarazione ufficiale tramite una portavoce, la quale ha affermato che il rapporto del Pentagono include “commenti irresponsabili sul normale e legittimo sviluppo del sistema difensivo cinese, ingigantendo la presunta minaccia militare da esso rappresentata”. Per quanto riguarda le accuse di violazioni informatiche, invece, il ministero degli Esteri le ha definite “critiche senza fondamento”, nonché “propaganda che minaccia gli sforzi bilaterali di cooperazione e dialogo”.

Effettivamente, sono state numerose le analisi indipendenti in questi anni ad avere indicato la Cina come una vittima degli attacchi informatici, la maggior parte dei quali provenienti precisamente dagli Stati Uniti, anche se non necessariamente approvati dalle autorità governative. Per quanto riguarda invece le violazioni dei sistemi informatici di grandi compagnie multinazionali, l’evidenza suggerisce che il numero maggiore di attacchi abbiano origine negli USA e in Russia piuttosto che in Cina.

Come ha sostenuto il fondatore del Partito Pirata svedese, Rick Falkvinge, in un articolo pubblicato mercoledì dal sito web del network Russia Today, la strategia aggressiva degli Stati Uniti anche in ambito informatico è intimamente legata alla necessità di Washington di mantenere un’assoluta superiorità militare per continuare a promuovere gli interessi della propria classe dirigente nel mondo.

Per questa ragione, ha aggiunto il politico e imprenditore svedese, “è assolutamente vitale per gli USA che siano loro - e solo loro - a poter intercettare le comunicazioni del resto del mondo e a violare gli altri sistemi informatici, così da mantenere una superiorità militare che a sua volta serve ad assicurare un dominio globale e… una sorta di Pax Americana”. Se un altro paese dovesse sviluppare le stesse capacità di intercettare le comunicazioni o violare le reti informatiche, conclude Falkvinge, ciò diventerebbe una seria minaccia alla dominazione americana del pianeta.

Collegato alla conservazione della supremazia militare degli Stati Uniti e dei suoi più stretti alleati è infatti uno dei pochi attacchi informatici la cui responsabilità è attribuibile con certezza ad un governo, vale a dire la creazione del virus Stuxnet. Quest’ultimo malware - il quale rientra in un progetto più ampio di guerra informatica approvato dall’amministrazione Obama e denominato “Olympic Games” - ha causato nel 2010 la distruzione di numerose centrifughe iraniane presso la struttura di Natanz dedicata all’arricchimento dell’uranio ed è il risultato di un’operazione clandestina e illegale condotta dagli USA e da Israele.

La crescente importanza degli strumenti legati alla guerra informatica per l’imperialismo americano è testimoniata infine dall’incorporazione di essi nel quadro della “guerra al terrore” e dell’apparato pseudo-legale costruito per combatterla. Come ha rivelato un articolo del New York Times dello scorso febbraio, un parere legale segreto commissionato dall’amministrazione Obama avrebbe infatti già decretato l’assegnazione al presidente di “ampi poteri per lanciare un cyber-attacco preventivo nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero rilevare prove dell’esistenza di un’imminente aggressione informatica proveniente dall’estero”.

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