Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Michele Paris

Il 13 giugno scorso, la Casa Bianca ha dato l’annuncio ufficiale del proprio cambio di marcia in relazione al coinvolgimento nel conflitto in corso in Siria, rendendo nota la decisione di fornire armi direttamente ai “ribelli” in lotta contro il regime di Bashar al-Assad. Come giustificazione, l’amministrazione Obama ha indicato il possesso di presunte prove dell’uso di armi chimiche da parte delle forze armate di Damasco, prove che però non sembrano più consistenti di quelle sulle armi di distruzioni di massa impiegate un decennio fa dall’amministrazione Bush per invadere illegalmente l’Iraq di Saddam Hussein.

Il sospetto ampiamente diffuso che gli Stati Uniti, assieme a Francia e Gran Bretagna, abbiano ancora una volta gettato con l’inganno le basi per una rovinosa guerra in Medio Oriente è stato confermato nei giorni scorsi anche dai pareri di una serie di esperti indipendenti e delle stesse Nazioni Unite.

Un’indagine di qualche giorno fa del Washington Post, ad esempio, ha ricordato che i campioni di sangue, tessuti biologici e ambientali raccolti in Siria dagli USA, dalla Francia e dalla Gran Bretagna sono stati di “utilità limitata” per gli ispettori ONU incaricati di determinare i responsabili dell’uso di armi chimiche in Siria. La natura degli stessi campioni ottenuti tramite i “ribelli” e la segretezza delle modalità di raccolta hanno poi contribuito a rendere ancora più dubbie le accuse rivolte contro Assad.

Anche se in Siria è stato segnalato finora un numero esiguo di operazioni condotte con armi chimiche e i decessi per questo motivo sarebbero relativamente limitati, la questione della responsabilità è di fondamentale importanza. Infatti, nel tentativo di stabilire un pretesto per giustificare un maggiore coinvolgimento nel paese a fianco dell’opposizione, il presidente Obama la scorsa estate aveva minacciato il regime di Damasco a non oltrepassare la “linea rossa” dell’uso di armi chimiche per non incorrere nella reazione americana.

In concomitanza con lo svanire delle prospettive di vittoria sul campo dei “ribelli”, a partire dai primi mesi del 2013 i governi occidentali hanno così iniziato ad agitare lo spettro delle armi chimiche fino alla definitiva presa di posizione di Washington un paio di settimane fa che potrebbe a breve imprimere una svolta alle sorti del sanguinoso conflitto.

In seguito alle accuse di USA, Francia e Gran Bretagna, le Nazioni Unite avevano incaricato una speciale commissione di indagare sull’impiego di armi chimiche in Siria ma le ricerche non avevano portato a conclusioni definitive. Anzi, un membro della commissione stessa, l’ex giudice del Tribunale Penale Internazionale, Carla Del Ponte, aveva lasciato intendere che a utilizzare armi chimiche in maniera limitata erano stati probabilmente i “ribelli” e non le forze del regime.

Il sospetto espresso da Carla Del Ponte che le formazioni, in gran parte integraliste, che si battono contro Assad si siano impossessate di armi chimiche negli arsenali del regime, oppure le abbiano ricevute da altri paesi come la Libia, per poi utilizzarle in maniera limitata, così da scatenare una campagna internazionale contro Assad, è condiviso ormai anche da esperti autorevoli.

In un’intervista al Washington Post, lo scienziato e diplomatico svedese Rolf Ekéus, già a capo degli ispettori ONU in Iraq negli anni Novanta, ha affermato che, “se i gruppi di opposizione sentono affermare dalla Casa Bianca che l’uso di gas nervino è da considerarsi una linea rossa, è evidente che essi hanno tutto l’interesse nel dimostrare che qualche tipo di arma chimica è stata impiegata”.

L’opinione di Ekéus appare di primaria importanza vista la sua esperienza con i metodi manipolativi dei governi americani. Secondo quanto riportato dalla stampa britannica negli anni Novanta, infatti, il diplomatico svedese subì pesanti pressioni da parte del presidente Clinton per impedire la certificazione di paese privo di armi di distruzioni di massa dell’Iraq di Saddam Hussein, nonostante le indagini degli ispettori non avessero riscontrato alcuna presenza di questi ordigni.

Nel caso della Siria, inoltre, l’inesistenza di prove della responsabilità di Assad è confermata dal fatto che gli Stati Uniti e i loro alleati continuano a sostenere di non essere intenzionati a rendere note nemmeno agli ispettori ONU le modalità con cui i campioni biologici sono stati ottenuti sul campo. La ragione ufficiale della segretezza sarebbe la necessità di non compromettere operazioni di intelligence sotto copertura ancora in corso.

Lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, dopo le dichiarazioni della Casa Bianca del 13 giugno scorso aveva rilasciato un prudente comunicato ufficiale nel quale sosteneva che “la validità delle informazioni diffuse non può essere garantita in assenza di prove convincenti sulla catena di persone o enti che hanno avuto in custodia i campioni”. “Per questa ragione”, proseguiva il segretario generale, continuava ad esserci “la necessità di un’indagine sul campo in Siria”, affinché anche gli ispettori dell’ONU “possano raccogliere i loro campioni”.

Sia i governi occidentali che il regime di Assad chiedono da mesi un’indagine in Siria da parte delle Nazioni Unite ma Damasco ha finora impedito l’accesso agli ispettori a causa del mancato accordo sul loro mandato, visto che per gli USA e i loro alleati essi dovrebbero avere accesso illimitato nel paese e non soltanto ai luoghi dove è stato segnalato l’uso di armi chimiche.

Senza un punto di incontro su questo aspetto, le presunte prove raccolte finora si sono basate su interviste con medici e vittime di agenti chimici in paesi come Turchia, Libano o Giordania, mentre i campioni ottenuti da Washington, Parigi e Londra, come già ricordato, sono stati raccolti dai gruppi “ribelli” che hanno tutto l’interesse a vedere Assad sul banco degli imputati.

Un altro contributo all’insegna dell’estremo scetticismo sulle responsabilità dell’uso di armi chimiche in Siria è stato infine quello di Jean Pascal Zanders, esperto nel settore e fino al mese scorso membro dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza dell’Unione Europea (EUISS). Il ricercatore belga, come ha riportato ancora il Washington Post, negli ultimi mesi ha infatti esaminato attentamente una serie di immagini, filmati e notizie reperite su internet in relazione agli attacchi con armi chimiche segnalati in Siria.

Secondo Zanders, il quale condusse un’indagine sui massacri condotti dal governo iracheno contro la minoranza curda a fine anni Ottanta, il materiale esaminato non mostra sulle vittime i tradizionali sintomi dell’uso di armi chimiche. Questo ricercatore conclude affermando che allo stato attuale delle informazioni presentate “è dunque impossibile raggiungere una conclusione definitiva” e che l’intero processo in corso appare di natura esclusivamente “politica”.

Dopo l’ennesimo tentativo di manipolare la realtà dei fatti per scatenare un’altra guerra imperialista in Medio Oriente, così, gli Stati Uniti e gli altri cosiddetti “Amici della Siria” si sono riuniti sabato in Qatar per dare il via libera a nuove massicce forniture di armi letali ai gruppi “ribelli” anti-Assad.

I destinatari degli equipaggiamenti militari saranno in primo luogo formazioni estremiste profondamente impopolari tra la popolazione siriana e già protagoniste di numerose operazioni di chiaro stampo terroristico in oltre due anni di conflitto. La pretesa occidentale di rafforzare i gruppi moderati e secolari continua d’altra parte ad essere smentita non solo dai fatti sul campo ma anche da una lunga serie di indagini giornalistiche, condotte anche da testate non esattamente allineate al regime di Damasco.

Tra le più recenti va segnalata almeno quella della scorsa settimana di due inviati della Reuters in Siria, dove hanno documentato il progressivo e inesorabile prevalere delle milizie jihadiste nella lotta per rovesciare Assad. I due gruppi più influenti che finiranno in qualche modo per beneficiare delle spedizioni di armi decise questo mese dal governo americano sono attualmente Ahrar al-Sham e l’ormai famigerato Fronte al-Nusra, apertamente affiliato ad Al-Qaeda e responsabile, tra l’alto, di una lunga serie di attentati suicidi che hanno causato centinaia di vittime civili.

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