Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Mario Lombardo

Nonostante i festeggiamenti andati puntualmente in scena domenica a Zagabria alla presenza di decine di rappresentanti di governi stranieri, il sentimento della maggior parte della popolazione della Croazia nei confronti dell’ingresso del proprio paese nell’Unione Europea appare oggi in netto contrasto con il sostanziale entusiasmo mostrato all’inizio dei negoziati con Bruxelles otto anni fa.

La Croazia che alla mezzanotte tra domenica e lunedì è diventata il 28esimo paese dell’Unione è un paese in recessione da cinque anni che, a partire dall’esplosione della crisi finanziaria globale nel 2008, ha perso quasi l’11% del proprio PIL e visto svanire l’80% degli investimenti diretti dall’estero. La disoccupazione, inoltre, è ufficialmente al 20%, mentre quella giovanile sfiora ormai il 50%.

Di fronte ad un simile scenario, l’accesso all’Unione Europea è stato propagandato praticamente da tutte le forze politiche croate come un’occasione per invertire il declino del paese. In una recente intervista a Bloomberg News, il premier socialdemocratico della Croazia, Zoran Milanovic, aveva così prospettato “un’abbondanza di possibilità, un nuovo mercato, nuove occasioni… da prendere se si lavorerà duramente e se ci si preparerà adeguatamente”, ricordando poi però il rischio concreto di “finire tra i perdenti”.

E tra i perdenti finiranno con ogni probabilità ancora una volta quelle sezioni della società croata già penalizzate dalle pesanti misure di austerity messe in atto dal governo negli ultimi anni e che non cesseranno dopo l’ottenimento dello status di membro UE.

A confermare quale sarà la terapia d’urto che Bruxelles continuerà a riservare anche a Zagabria nel prossimo futuro è stato ancora il primo ministro Milanovic, il quale nella stessa intervista della scorsa settimana ha rivelato come il suo esecutivo sia già “sotto pressione… per intraprendere alcune misure coraggiose in modo da ridurre la spesa e spiegare alla popolazione che non esistono più diritti acquisiti per tutta la vita”.

Il deficit di bilancio croato risulta d’altra parte al di fuori dei limiti previsti dall’UE e, salvo interventi, secondo le previsioni di Bruxelles dovrebbe salire al 4,7% del PIL alla fine di quest’anno per poi impennarsi ulteriormente nel 2014, fino al 5,6%. Tutto ciò ha spinto recentemente le principali agenzie di rating a decidere il “downgrade” del debito croato, facendo del paese - secondo la definizione di un commissario del Fondo Monetario Internazionale - “un ostaggio dei mercati internazionali”.

Con l’evolversi della cosiddetta crisi del debito in Europa e alla luce della devastazione sociale imposta da Bruxelles e Berlino a Grecia, Irlanda, Portogallo e non solo, il relativo fascino esercitato dall’ingresso nell’Unione ha da tempo lasciato spazio tra le popolazioni dei paesi candidati ai timori più che giustificati di andare incontro ad un’autentica minaccia anche agli attuali standard di vita già non eccelsi.

Il cambiamento di opinione dei croati circa l’accesso all’UE appare perciò scontato ed è confermato dal dimezzarsi dei consensi registrati in circa un decennio. I più recenti sondaggi indicano infatti come appena il 45% della popolazione appoggi l’ingresso nell’Unione Europea, nonostante l’incessante campagna a favore orchestrata in questi anni da politici e media locali. Nello stesso referendum tenuto nel gennaio 2012, dopo la chiusura ufficiale dei negoziati tra Zagabria e Bruxelles nel giugno precedente, la vittoria dei “sì” con il 66% dei consensi fu offuscata da un’affluenza alle urne che non raggiunse nemmeno il 44%.

Se l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea sembra dunque avere poco senso dal punto di vista economico, è piuttosto nell’ambito politico e strategico che una qualche giustificazione può essere ricercata.

Di fronte a più di una resistenza nell’UE ad imbarcare altri paesi caratterizzati da economie in affanno o corruzione diffusa, la decisione di favorire il loro ingresso nell’Unione risponde cioè ad una più ampia necessità di cercare di stabilizzare la periferia del continente, facendo intravedere ai loro cittadini l’illusione di un processo di transizione verso un sistema di mercato integrato relativamente prospero.

In questo senso, l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea è la logica conseguenza di quello garantito nel 2004 alla Slovenia e, ancora, nel 2007 a Bulgaria e Romania, non a caso considerate da molti tutt’altro che pronte all’abbraccio con Bruxelles. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’area balcanica, sia pure tra difficoltà maggiori, dopo i presunti progressi sulla questione del Kosovo, la stessa Serbia inizierà i negoziati con l’UE a partire dal prossimo gennaio, così come in un futuro più lontano verranno valutate le possibilità di aderire di Bosnia, Macedonia e Montenegro.

A spiegare l’importanza di questo processo è stato il ministro degli Esteri di Zagabria, Vesna Pusic, in un’intervista rilasciata al Financial Times poco prima che il suo paese diventasse il 28esimo membro dell’UE. La numero uno della diplomazia croata ha spiegato che un’eventuale decisione di voltare le spalle a Zagabria da parte dell’Unione Europea non sarebbe stata solo ingiusta ma anche “rischiosa”, dal momento che “l’Europa sudorientale è la zona di transizione con il Medio Oriente e il fermento politico in Turchia e la guerra in Siria si trovano proprio al di là di essa”.

Per questo motivo, ha affermato il ministro Pusic, “se l’UE dovesse perdere il proprio ‘soft power’, perderebbe anche il potere di stabilizzare l’Europa sudorientale”. In tal caso, “il pericolo che l’instabilità si diffonda dall’Europa sudorientale, dal Mediterraneo meridionale e dal Medio Oriente al cuore dell’Europa diventerebbe molto più grande”.

Se, al di là dei criteri e dei rigidi parametri economici stabiliti per l’accesso all’Unione, quella di consentire l’ingresso di un nuovo paese rimane una decisione fondamentalmente politica, il tentativo dei burocrati di Bruxelles di stabilizzare il continente attorno ad un progetto basato sui principi dell’economia di mercato sembra essere però sul punto di naufragare a causa delle sue stesse contraddizioni.

Come hanno forse già compreso i cittadini della Croazia, infatti, gli eventi degli ultimi anni hanno smascherato la reale natura dell’Unione Europea, rivelatasi non tanto un mezzo per la promozione dei diritti democratici e del benessere generale quanto un vero e proprio strumento in mano alle élite economiche e finanziarie del continente per salvare un sistema in crisi irreversibile tramite l’impoverimento di massa dei propri cittadini.

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