USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

In uno dei vari procedimenti legali in atto negli Stati Uniti contro l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA), nello scorso fine settimana un giudice federale di New York ha giudicato perfettamente legali e costituzionali i programmi di sorveglianza telefonica di massa rivelati a partire dalla scorsa estate da Edward Snowden.

La più recente sentenza è giunta in risposta ad una causa intentata contro l’agenzia di Fort Meade, nel Maryland, dall’American Civil Liberties Union (ACLU) e a poco più di una settimana da un altro verdetto di un tribunale federale di Washington che aveva invece bollato come “orwelliane” le attività da stato di polizia dell’NSA.

Il giudice distrettuale di Manhattan William Pauley ha dunque accettato in pieno il punto di vista del governo americano, sostenendo che i programmi di intercettazione indiscriminata delle comunicazioni telefoniche negli USA e all’estero “funzionano perché consentono di raccogliere qualsiasi cosa” e sono necessari per evitare un altro 11 settembre. L’attacco al World Trade Center, secondo Pauley, sarebbe stato infatti dovuto all’impossibilità di collegare le informazioni a disposizione su al-Qaeda attraverso i tradizionali sistemi di intelligence.

Questa versione corrisponde in sostanza a quella ufficiale del governo americano circa la propria impossibilità di impedire gli attacchi del 2001 e tralascia completamente di evidenziare come in realtà molti degli attentatori fossero da tempo sotto sorveglianza dell’intelligence stessa.

La denuncia dell’ACLU qualche mese fa era stata inizialmente respinta perché non vi era alcuna prova che l’organizzazione a difesa dei diritti civili fosse sotto sorveglianza dell’NSA, i cui programmi erano tenuti segreti. In seguito alle rivelazioni di Snowden e all’ammissione da parte del governo circa l’esistenza dei programmi di monitoraggio dei cittadini, però, l’ACLU ha ripresentato la propria istanza e anche il giudice Pauley ha acconsentito al proseguimento della causa.

Alla richiesta di dichiarare gli stessi programmi illegali e incostituzionali, quest’ultimo si è invece opposto, riproponendo le assurde pretese del governo sul controllo esercitato su di essi sia dal Congresso che dal potere giudiziario attraverso il cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC) che autorizza in segreto le richieste di intercettazione delle agenzie governative.

Il giudice Pauley, in ogni caso, è stato costretto ad ammettere che il programma di sorveglianza di massa dell’NSA, “se lasciato senza controlli, minaccia le libertà civili di ogni cittadino”, per poi proseguire nelle 53 pagine del suo verdetto a smontare qualsiasi ipotesi di porre un qualsiasi freno all’attività del governo in violazione della privacy.

Inoltre, la sentenza di venerdì ha lasciato trasparire il rancore nutrito dalla classe dirigente d’oltreoceano nei confronti di Snowden per avere rese pubbliche le fondamenta da stato di polizia gettate negli Stati Uniti. Pauley ha infatti scritto che “l’ACLU non avrebbe mai saputo della sezione 215 [del Patriot Act ] che autorizza la raccolta di metadati telefonici se non fosse stato per le rivelazioni non autorizzate di Edward Snowden”.

Per chiarire ancora meglio il punto, il giudice nominato da Bill Clinton nel 1998 ha delineato il profilo di una vera e propria cospirazione orchestrata dietro le spalle degli americani, spiegando che “il Congresso aveva previsto che gli individui colpiti dagli ordini [di sorveglianza] secondo la sezione 215 non ne sarebbero mai venuti a conoscenza”. Non solo, “il Congresso intendeva precludere qualsiasi causa legale” da parte degli intercettati anche se questi ultimi fossero venuti a conoscenza delle ordinanze emesse segretamente nei loro confronti.

Perciò, “non è possibile che un atto contro la legge da parte di un contractor del governo per rivelare segreti di stato - inclusi i metodi di raccolta dei dati di intelligence - possa frustrare le intenzioni del Congresso”.

Il giudice Pauley ha poi affrontato la costituzionalità dei programmi dell’NSA, giudicando legittimo il riferimento del governo ad una sentenza della Corte Suprema del 1979 (“Smith contro Maryland”), nella quale i numeri di telefono digitati da un sospettato di rapina venivano “legittimamente” controllati dalla polizia. Il caso stabilì che i sottoscrittori di un contratto telefonico non potevano aspettarsi garanzie di privacy in relazione ai propri metadati, poiché essi vengono comunque raccolti e conservati dalle compagnie private.

La sentenza della Corte Suprema di oltre tre decenni fa, già di per sé anti-democratica, oltre a non poter considerare una realtà tecnologica infinitamente più sofisticata come quella odierna, riguardava però il caso specifico di una sola persona, mentre viene oggi sfruttata per giustificare la raccolta indiscriminata di miliardi di dati ai danni di centinaia di milioni di persone che non sono sospettate di alcun crimine.

In maniera nuovamente assurda, Pauley ha infine ribadito la sua totale fiducia nel governo, sostenendo che “non esiste prova che esso abbia usato una sola informazione telefonica intercettata per ragioni diverse dalle indagini su attacchi terroristici”. La presunta mancanza di prove di questo genere, in realtà, è dovuta esclusivamente alla completa segretezza in cui l’intero processo di sorveglianza di massa è avvolto e, in ogni caso, lo stesso governo non è stato praticamente in grado di indicare una sola chiara situazione critica sventata grazie all’attività dell’NSA.

Tutte le conclusioni del giudice Pauley risultano quindi opposte a quanto stabilito solo il 16 dicembre scorso dal suo collega del tribunale federale del District of Columbia a Washington, Richard Leon. Per quest’ultimo, cioè, quello che fa l’NSA è chiaramente illegale e anti-costituzionale, non potendosi “immaginare un’invasione [della privacy] più indiscriminata e arbitraria di questa sistematica raccolta e archiviazione di informazioni personali riguardanti virtualmente ogni singolo cittadino… senza una preventiva autorizzazione giudiziaria”.

Sia la sentenza di Washington che quella più recente di New York finiranno ora in appello e, se le differenti interpretazioni dovessero persistere, è estremamente probabile che sulla questione della legittimità dei programmi di sorveglianza dell’NSA finirà per esprimersi la Corte Suprema.

Vista la sua composizione, il più alto tribunale degli Stati Uniti potrebbe così legittimare definitivamente uno dei principali strumenti da stato di polizia consegnato dalle amministrazioni Bush e Obama nelle mani dell’apparato della sicurezza nazionale americano.

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