USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

Barack Obama ha inaugurato una delicata trasferta in Asia che sarà caratterizzata dai tentativi di rassicurare i principali alleati di Washington circa l’impegno americano nel continente di fronte ad una Cina sempre più intraprendente. Il tono della visita del presidente degli Stati Uniti è stato fissato in un’intervista ad un quotidiano giapponese alla vigilia del suo arrivo a Tokyo, nella quale le minacce verso Pechino sono state a malapena celate dagli appelli a risolvere diplomaticamente le controversie che stanno agitando l’Estremo Oriente.

Dopo il Giappone, il presidente americano si recherà in Corea del Sud e successivamente in Malaysia e nelle Filippine. Il viaggio in corso è stato deciso dall’amministrazione democratica per rimediare a quello cancellato lo scorso ottobre nel pieno della crisi interna seguita alla mancata approvazione del bilancio federale USA.

La presenza in Asia e le parole di Obama sono state accolte con estrema diffidenza in Cina, dove l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha definito ad esempio la politica USA nel continente “uno schema calcolato per ingabbiare il gigante asiatico in rapida crescita”. Ancora, l’editoriale apparso mercoledì ha invitato Washington a “riconsiderare il proprio anacronistico sistema di alleanze” e a smettere di “assecondare gli alleati, come Giappone e Filippine, i quali hanno riacceso le tensioni nella regione con azioni provocatorie”.

Una chiara provocazione è invece quella che è apparsa sulle pagine della testata nipponica Yomiuri Shimbun poco prima dell’atterraggio di Obama in Giappone. Il presidente democratico ha ribadito quanto avevano sostenuto alcuni esponenti della sua amministrazione nelle precedenti trasferte asiatiche, a cominciare dal numero uno del Pentagono Chuck Hagel lo scorso novembre, e cioè che gli Stati Uniti sono sostanzialmente pronti a dichiarare guerra alla Cina.

Ciò avverrebbe nel caso dovessero scoppiare le ostilità tra Pechino e Tokyo attorno alla sovranità sulle isole Senkaku (Diaoyu in cinese), la cui difesa rientrerebbe appunto nel dettato dell’articolo 5 del trattato di mutua cooperazione tra USA e Giappone, il quale prevede l’intervento militare in caso di aggressione ai danni di quest’ultimo. Queste isole nel Mar Cinese Orientale sono controllate da Tokyo ma rivendicate dalla Cina e negli ultimi anni sono state al centro di un’accesa disputa tra i due paesi soprattutto a causa di iniziative provocatorie da parte giapponese, come la nazionalizzazione decisa dal precedente governo Democratico nel settembre del 2012.

L’arrivo di Obama, inoltre, era stato anticipato da un’altra provocazione giapponese. Lunedì il primo ministro, Shinzo Abe, aveva inviato un’offerta votiva al tempio shintoista Yasukuni, considerato una sorta di simbolo del militarismo del Giappone e dedicato ai caduti nei conflitti del passato, tra cui figurano svariati criminali di guerra. Abe aveva visitato di persona lo stesso tempio lo scorso dicembre, suscitando come di consueto le proteste di Cina e Corea del Sud.

Come se non bastasse, il giorno successivo il ministro dell’Interno di Tokyo, Yoshitaka Shindo, e circa 150 membri del P
arlamento si sono recati a Yasukuni, provocando nuovamente le reazioni di Pechino e Seoul proprio alla vigilia della visita di Obama.

Scopo dell’incontro con Abe dovrebbe essere anche quello di promuovere la firma della cosiddetta Partnership Trans-Pacifica (TPP), il mega-trattato di libero scambio in fase di negoziazione tra dodici paesi asiatici e del continente americano, di cui USA e Giappone sono i membri più importanti.

Se in molti soprattutto a Washington si aspettavano un annuncio sul raggiungimento di un accordo definitivo in concomitanza con la visita di Obama a Tokyo, le aspettative sono diminuite nelle ultime settimana, visto che permangono alcuni disaccordi tra la prima e la terza potenza economica del pianeta, in particolare attorno alle questione delle tariffe doganali sui prodotti agricoli.

Le divergenze sul TPP sono fortmente rivelatrici delle tensioni latenti tra USA e Giappone, conseguenza indesiderata della “svolta” asiatica dell’amministrazione Obama, la quale al contrario aveva come obiettivo l’allineamento strategico totale con Tokyo in un frangente storico caratterizzato dalla crescente rivalità con la Cina.

In definitiva, il riorientamento strategico verso l’Asia degli Stati Uniti ha come obiettivo l’affermazione dell’egemonia americana assoluta nel continente, finendo per causare frizioni con un governo di estrema destra come quello giapponese, intenzionato a ritrovare un proprio spazio indipendente nel continente attraverso il riarmo e la promozione di sentimenti nazionalistici.

Quest’ultima evoluzione con il gabinetto Abe e in concomitanza con il peggioramento dell’economia ha fatto emergere gli interessi talvolta divergenti tra Tokyo e Washington, resi evindenti non solo dalla questione del TPP ma anche dal persistente gelo tra Giappone e Corea del Sud, la cui partnership in funzione anti-cinese dovrebbe essere invece uno dei capisaldi della strategia americana in Asia orientale.

Le stesse complicazioni Obama le incontrerà anche durante la seconda tappa del suo tour asiatico, a Seoul. Qui, il presidente americano giunge inoltre nel pieno di un nuovo scontro tra Nord e Sud, con accuse nei confronti di Pyongyang per un ulteriore presunto test nucleare che il regime stalinista potrebbe mettere in atto nel prossimo futuro.

Importante sarà infine anche la sosta nelle Filippine, il cui governo del presidente Benigno Aquino ha anch’esso assunto negli ultimi anni un atteggiamento di sfida nei confronti di Pechino fino a sfiorare in più occasioni lo scontro aperto a causa di alcune isole contese nel Mar Cinese Meridionale.

Manila rappresenta d’altra parte un altro alleato cruciale per gli Stati Uniti nel tentativo di accerchiamento della Cina, in questo caso sul fianco meridionale. Nelle Filippine, infatti, Obama discuterà gli ultimi dettagli di un accordo bilaterale che dovrebbe garantire una presenza fissa di un contingente militare americano nelle basi del paese del sud-est asiatico.

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