Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Mario Lombardo

Lo smascheramento e l’arresto di una spia tedesca, che per qualche anno avrebbe consegnato documenti segreti al governo americano, hanno innescato un nuovo scontro diplomatico tra Washington e Berlino con dure prese di posizione nei confronti degli Stati Uniti da parte di svariati esponenti di spicco del gabinetto di Angela Merkel. I toni accesi del governo della cancelliera, a fronte di una vicenda dall’importanza relativamente trascurabile, sembrano suggerire la presenza di crescenti tensioni tra i due paesi alleati, già emerse nella gestione della crisi ucraina e delle iniziative da intraprendere contro la Russia di Putin.

Come ampiamente riportato dai media nei giorni scorsi, qualche giorno fa l’ufficio del procuratore federale di Karlsruhe, in Germania, aveva rivelato il fermo di un 31enne impiegato del BND (Bundesnachrichtendienst) - il servizio segreto estero tedesco - che avrebbe confessato di avere contattato l’ambasciata americana a Berlino sul finire del 2012 per offrire la propria collaborazione.

L’uomo ricopriva un incarico di basso livello in un ufficio del BND nei pressi di Monaco e avrebbe passato alla CIA circa 200 documenti “confidenziali” e “top secret” ricevendo un compenso di 25 mila euro. A fine maggio, il sospettato aveva però preso contatti anche con il consolato russo nella città della Baviera, proponendo i suoi servizi a Mosca.

Questa mossa è stata intercettata dai servizi segreti interni che hanno messo l’uomo sotto controllo per alcune settimane per poi arrestarlo giovedì scorso. Inizialmente, i sospetti si erano concentrati su una sua possibile collaborazione con la Russia ma è stato poi egli stesso a confessare di avere lavorato soltanto per gli americani.

Ai servizi segreti USA, l’agente tedesco avrebbe fornito, tra l’altro, documenti concernenti l’attività della commissione parlamentare tedesca che sta investigando sulle operazioni di intercettazione condotte dall’intelligence a stelle e strisce sul territorio della Germania e rivelate nei mesi scorsi da Edward Snowden.

All’indomani della diffusione della notizia dell’arresto della spia tedesca al servizio degli Stati Uniti, la classe dirigente tedesca e i principali media hanno iniziare a puntare il dito contro l’amministrazione Obama e a chiedere spiegazioni sull’imbarazzante vicenda. Addirittura, il 4 luglio scorso, giorno dell’indipendenza americana, il governo di Berlino ha convocato al ministero degli Esteri l’ambasciatore USA in Germania, John Emerson, per fare luce sui fatti.

Giornali come il Süddeutsche Zeitung o la Bild, intanto, hanno pubblicato accesi editoriali - firmati anche da commentatori considerati filo-americani - nei quali è stata sottolineata la gravità dell’episodio e si è fatto appello al governo per mettere fine alla tradizionale sottomissione agli Stati Uniti.

Secondo quanto riportato dalla stessa Bild, inoltre, il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maizière, sarebbe intenzionato a dare indicazioni all’intelligence del suo paese per monitorare le comunicazioni di paesi alleati come Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. In precedenza, la cancelleria tedesca aveva al contrario raccomandato alle proprie agenzie spionistiche di escludere dalle loro attività di raccolta informazioni i paesi membri della NATO.

Sull’intrigo sono poi intervenuti in rapida successione quasi tutti gli esponenti più importanti dello Stato. Il presidente Joachim Gauck, ad esempio, ha affermato che l’operazione americana ai danni dell’alleato tedesco mette a rischio la stretta alleanza tra i due paesi. Il ministro degli Esteri, il socialdemocratico Franz-Walter Steinmeier, nel corso di una visita in Mongolia ha escluso che la vicenda ammonti a “una cosa da nulla”, chiedendo al governo USA di fornire al più presto chiarimenti.

Lunedì, infine, la stessa Merkel ha fatto riferimento alla storia come a un “fatto molto serio”, accusando gli Stati Uniti di avere compromesso il rapporto di fiducia con la Germania. Significativamente, la cancelliera tedesca ha rilasciato le proprie dichiarazioni dalla Cina, paese con il quale la Germania ha stabilito da tempo solidi rapporti commerciali e che è invece il bersaglio di un’escalation di provocazioni diplomatiche e militari da parte americana.

Da Washington, le reazioni sono state contenute e per lo più improntate a rassicurare che i due paesi stanno lavorando congiuntamente per chiarire la vicenda. Sempre lunedì, però, l’agenzia di stampa Reuters ha citato fonti anonime all’interno della CIA che hanno confermato come l’agenzia di Langely fosse coinvolta nell’operazione che aveva portato al reclutamento del 31enne dipendente dei servizi segreti tedeschi.

A conferma della delicatezza della situazione, la stessa Reuters ha poi scritto che il direttore della CIA, John Brennan, avrebbe chiesto di riferire ai leader del Congresso di Washington in merito alla questione.

Il polverone provocato dal doppio agente tedesco sembra apparentemente ingiustificato alla luce del numero esiguo di documenti che quest’ultimo avrebbe consegnato agli americani e dalla sua mansione tutt’altro che di rilievo nel BND, nonostante alcuni giornali abbiano scritto che l’uomo aveva contatti con il numero uno dell’intelligence esterna, Gerhard Schindler.

Soprattutto, le dure reazioni di politici e media in Germania appaiono decisamente eccessive se accostate a quelle relativamente deboli seguite alle rivelazioni ben più gravi di Edward Snowden. L’ex contractor della NSA aveva diffuso documenti nei quali emergeva come gli Stati Uniti avessero monitorato illegalmente le comunicazioni di decine di milioni di cittadini tedeschi, nonché tenuto sotto controllo il telefono personale della cancelliera Merkel.

In questo caso, di fronte all’ondata di indignazione nel paese, il governo di Berlino era stato costretto a lanciare un’indagine parlamentare ma a Snowden era stato impedito di viaggiare dalla Russia alla Germania per testimoniare di persona sulle attività della NSA. La Merkel aveva poi chiesto inutilmente all’amministrazione Obama di sottoscrivere un patto che impegnava i due paesi a non spiarsi a vicenda ma, sostanzialmente, l’impegno tedesco è stato rivolto a minimizzare l’impatto delle rivelazioni di Snowden.

Proprio queste ultime hanno d’altra parte mostrato le ragioni della prudenza di Berlino e, allo stesso tempo, sollevano ora più di un interrogativo sulle prese di posizione del governo seguite all’arresto della spia tedesca.

Rivelazioni e testimonianze nei mesi scorsi hanno infatti evidenziato la strettissima collaborazione tra la CIA e la NSA da una parte e l’intelligence tedesca dall’altra nella messa in atto di programmi illegali di sorveglianza ai danni dei cittadini in Germania. Questa partnership rende perciò estremamente improbabile che un impiegato qualunque della BND abbia potuto rivelare informazioni segrete di rilievo agli Stati Uniti.

Dietro allo scontro potrebbero esserci dunque altre motivazioni, probabilmente da ricercare nel crescente conflitto che caratterizza i rapporti bilaterali tra USA e Germania in concomitanza con l’intensificarsi della crisi economica globale e il conseguente riassetto degli obiettivi strategici di Berlino.

A questo proposito, è interessante ricordare come i giornali tedeschi da qualche tempo siano impegnati a propagandare la necessità di una più intraprendente politica estera del loro paese, resasi necessaria dal relativo disimpegno a livello internazionale degli Stati Uniti e dall’esplodere di continue crisi in varie parti del pianeta che mettono in pericolo i mercati o le fonti di approvvigionamento energetico della Germania.

Se il nuovo ruolo tedesco sulla scena globale non presuppone in nessun modo l’abbandono dell’alleanza con gli USA, è più che evidente che la difesa di alcuni interessi della Germania provochino scontri o conflitti con Washington. Ciò risulta chiaro non solo nel caso della Cina ma anche e soprattutto della Russia, con la quale Berlino vanta ugualmente rapporti commerciali molto solidi e, per questa ragione, ha finora assunto una posizione più cauta sulla crisi ucraina nonostante le pressioni di Washington per assumere una linea più dura verso il Cremlino.

Le critiche rivolte agli Stati Uniti nei giorni scorsi dalle élite tedesche sembrano in definitiva riflettere il desiderio di certe sezioni della classe dirigente indigena di prendere una qualche distanza dai tradizionali alleati, così da adottare una politica estera più equlibrata e adeguata ai propri interessi economici.

Anche solo l’ipotesi di una simile svolta strategica da parte di un paese così importante come la Germania non può essere comunque accettata pacificamente a Washington, come dimostra appunto l’attività di sorveglianza condotta dalla NSA contro i vertici dello stato tedesco.

Altri segnali, infine, vengono lanciati dal centro dell’impero agli alleati inquieti, come conferma la recentissima notizia dell’azione legale che sarebbe stata avviata negli Stati Uniti nei confronti della seconda banca tedesca, Commerzbank, di proprietà del governo di Berlino per il 17%.

Come già fatto con la francese BNP Paribas, le autorità americane hanno messo sotto accusa Commerzbank e, a breve, potrebbero fare lo stesso con Deutsche Bank con il pretesto che questi colossi finanziari hanno fatto affari con paesi sulla lista nera di Washington, sanzionati con misure punitive unilaterali del governo degli Stati Uniti.

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