USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

Confermando un’evoluzione in corso da qualche tempo e impensabile soltanto alcuni anni fa, la General Motors (GM) la settimana scorsa ha annunciato il trasferimento di una linea di produzione di un modello Cadillac da un impianto in Messico a uno negli Stati Uniti. La notizia è stata accolta con grande entusiasmo dai politici locali e, soprattutto, dal sindacato UAW (United Automobile Workers), protagonista delle contrattazioni collettive nel settore automobilistico che hanno portato alla creazione di condizioni ampiamente favorevoli al business a stelle e strisce per il ritorno in patria di alcune attività manifatturiere.

A partire dalla fine del 2015, GM sposterà dunque la produzione della nuova versione del “crossover” Cadillac SRX negli stabilimenti di Spring Hill, nel Tennessee, sottraendola all’impianto di Ramos Arizpe, nello stato di Coahuila, nel Messico settentrionale. Ciò consentirà la creazione e il mantenimento di circa 1.800 posti di lavoro negli Stati Uniti.

Non solo, GM ha anche promesso un investimento di 185 milioni di dollari per produrre a Spring Hill nuovi motori della famiglia “EcoTec” da 75 a 165 cavalli, più piccoli cioè di quelli simili che già escono dalla catena di montaggio del Tennessee per due modelli Chevrolet. I nuovi motori continueranno a garantire occupazione a 390 lavoratori.

Nello stesso comunicato stampa, i vertici GM hanno anche prospettato un investimento da 48,4 milioni di dollari nella fabbrica di Bedford, nell’Indiana, dove verranno creati 45 nuovi posti di lavoro sempre per la produzione di motori EcoTec che finiranno su 27 modelli entro il 2017.

Le conseguenze dello spostamento della produzione in territorio americano sui lavoratori messicani non sono state rese note né, com’era prevedibile, i sindacati USA si sono preoccupati di fare riferimento ai possibili licenziamenti a sud del confine. In Messico, GM ha già ridotto il personale alle proprie dipendenze nei mesi scorsi in seguito a un calo delle vendite, anche se la Reuters ha citato una fonte aziendale secondo la quale almeno una parte della produzione della Chevrolet Equinox potrebbe essere trasferita all’impianto di Ramos Arizpe.

Quest’ultimo modello viene costruito attualmente proprio a Spring Hill, dove era stato portato da GM dopo la sospensione nel 2009 della produzione in Tennessee del marchio Saturn a causa della bancarotta pilotata del gigante di Detroit.

A condensare in una sola frase le ragioni del rimpatrio di una linea di produzione GM dal Messico è stato il governatore del Tennessee, il repubblicano Bill Haslam, che ha ricordato come il suo stato possa oggi realizzare prodotti manifatturieri “in competizione con qualsiasi paese del mondo”.

Infatti, a convincere il management GM non sono state tanto, o non solo, le capacità degli operai di Spring Hill di produrre auto di qualità - come ha sostenuto un dirigente qualche giorno fa - bensì una realtà nella quale la differenza nei costi del personale tra gli Stati Uniti e paesi come il Messico si è notevolmente ridotta.

Questa evoluzione è stata possibile grazie al ruolo svolto dai sindacati, in grado di far digerire ai lavoratori pesantissime concessioni negli anni seguiti alla crisi del 2008 e oggi elogiati dai vertici GM per le buone relazioni istituite in fabbrica.

Come ha spiegato la vicepresidente di UAW, Cindy Estrada, la quale ha incassato compensi per un totale di 156 mila dollari nel 2013, il sindacato automobilistico ha infatti “lavorato con GM per realizzare questa storia di successo attraverso il processo di contrattazione collettiva”.

Ancora, la stessa dirigente del sindacato ha sottolineato la natura corporativa della sua associazione, respingendo la mentalità del “noi contro di loro” che impedirebbe il raggiungimento di “elevati standard lavorativi e di vita” per i propri affiliati.

Alle “storie di successo” dei sindacati americani, in realtà, possono brindare quasi esclusivamente le grandi aziende manifatturiere, i cui profitti sono aumentati sensibilmente negli ultimi anni grazie ai tagli delle spese di produzione. La sola General Motors, ad esempio, nel 2013 ha registrato utili pari a 3,8 miliardi di dollari, anche se nel 2014 sono crollati per le cause legali in corso relative a difetti di fabbricazione che in alcuni modelli avevano causato numerosi decessi nel decennio scorso.

Lo spostamento della produzione della Cadillac SRX in Tennessee, che dovrebbe essere seguita in futuro da un secondo modello, è in sostanza una ricompensa per un sindacato che, a partire dal 2009, ha permesso l’implementazione di praticamente tutte le modifiche contrattuali richieste dal management GM.

Punto cardine degli accordi tra proprietà e sindacato dopo la bancarotta, oltre alla riduzione dei benefici sanitari riservati ai lavoratori in pensione, era stato il ricorso su più ampia scala a un doppio livello di retribuzione, già concordato nel 2007. In base ad esso, GM può pagare circa 15 dollari l’ora i propri neo-assunti, vale a dire la metà della paga base precedente.

Questi livelli di retribuzione consentono di sopravvivere appena al di sopra della soglia ufficiale di povertà negli Stati Uniti e hanno rappresentato soprattutto il punto di riferimento per una corsa al ribasso nel resto dell’industria americana, dove coloro che hanno trovato un impiego in questi anni possono solo sognare gli stipendi che un tempo garantivano una vita dignitosa.

Il sostanziale processo di impoverimento della “working-class” americana ha avuto inoltre la totale approvazione dell’amministrazione Obama. Il presidente democratico aveva anzi lanciato subito dopo l’ingresso alla Casa Bianca una campagna per promuovere una sorta di “insourcing” dell’industria statunitense, così da convincere le grandi corporations a riportare in patria unità produttive trasferite negli anni in America Latina o in Asia orientale.

Questa politica, come già ricordato, ha favorito le grandi aziende, mentre i posti di lavoro creati nel settore manifatturiero - comunque ancora ben al di sotto dei livelli pre-crisi - risultano quasi sempre sotto-pagati, “flessibili” e con pochi o nessun benefit come l’assistenza sanitaria. Complessivamente, così, dal 2009 a oggi le retribuzioni in termini reali dei lavoratori in ambito manifatturiero negli USA sono calate di quasi il 2,5%, mentre la contrazione nel solo settore automobilistico ha toccato addirittura il 10%.

Per politici, sindacalisti e commentatori “liberal”, tuttavia, questa è l’unica realtà oggi a disposizione dei lavoratori, costretti a scegliere soltanto tra disoccupazione cronica e condizioni di impiego sempre più simili a quelle della prima metà del secolo scorso. Il capitalismo in crisi strutturale, insomma, non ha ormai nient’altro da offrire a decine di milioni di lavoratori se non povertà e un futuro di precariato.

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