Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Mario Lombardo

Le elezioni parlamentari andate in scena domenica in Svezia hanno decretato la sconfitta della coalizione di centro-destra al governo, assegnando un’esilissima e poco confortante vittoria al Partito Socialdemocratico (SAP) e ai suoi possibili alleati di centro-sinistra. A testimonianza dell’anemica prestazione del partito del probabile nuovo primo ministro, Stefan Löfven, il risultato fatto segnare nel fine settimana è stato solo di poco migliore rispetto a quello del 2010, quando il SAP fece segnare la peggiore performance alle urne negli ultimi cento anni della sua storia.

I Socialdemocratici hanno raccolto il 31,2% dei consensi, contro il 30,7% di quattro anni fa, mentre il Partito Moderato del premier uscente, Fredrik Reinfeldt, ha perso quasi sette punti percentuali, scendendo dal 30,1% al 23,2%. Il crollo della principale forza politica di centro-destra la dice lunga sul livello reale di popolarità di un governo responsabile della “trasformazione” del paese scandinavo, continuamente indicata come un modello e una storia di successo da politici e media occidentali.

Reinfeldt e il suo ministro delle Finanze, Anders Borg, vengono considerati tra i più accaniti sostenitori in Europa del rigore fiscale e delle politiche di libero mercato, teoricamente volte a migliorare la “competitività” dei sistemi economici del vecchio continente. A partire dal successo elettorale sui Socialdemocratici del 2006, il centro-destra svedese ha infatti accelerato una serie di “riforme” già impostate in precedenza e destinate a cambiare definitivamente il modello sociale scandinavo, basato su tasse elevate, servizi pubblici di prima qualità e relativo livellamento dei redditi.

La Svezia, sotto la guida di Reinfeldt, ha visto così attuati ben cinque round di tagli alle tasse, da quelle sulla ricchezza a quelle sul reddito e per le aziende. Allo stesso tempo, il governo ha perseguito la strada delle privatizzazioni, aprendo ai privati alcuni settori come quelli dell’educazione e della sanità, con risultati spesso nefasti.

I successi ottenuti da Reinfeldt in questi otto anni consisterebbero, tra l’altro, in una sostenuta crescita del PIL nonstante la crisi globale, nella riduzione dell’indebitamento e del livello di spesa pubblica, passato dal 68% del PIL due decenni fa al 50% odierno.

Di fronte ai sondaggi che annunciavano da tempo la sconfitta del centro-destra e al risultato del voto di domenica, in molti si sono chiesti le ragioni della sconfitta del governo, con l’Economist che qualche giorno fa ha addirittura bollato come “ingrati” gli elettori svedesi.

Al di là dei benefici assicurati ad una classe relativamente ristretta, ma molto ben rappresentata nella stampa ufficiale, gli otto anni del governo Reinfeldt si sono tradotti in un peggioramento delle condizioni di vita per la maggioranza degli svedesi.

Il nuovo modello scandinavo, infatti, ha portato con sé una crescita vertiginosa delle disparità di reddito - la più marcata tra i paesi dell’OCSE negli ultimi anni - assieme alla riduzione dei servizi e dei benefit sociali, a fronte di una disoccupazione attestata attorno all’8%, nonché al grave deterioramento della qualità della scuola e dell’assistenza pubblica.

Una serie di scandali che hanno interessato alcune compagnie operanti proprio in questi ultimi due settori ha infine messo in luce i rischi dell’affidamento di servizi essenziali ai privati, convincendo molti elettori a ritirare la fiducia al centro-destra svedese.

Come già anticipato, la débacle del partito di Reinfeldt e dei suoi alleati non si è tradotta in un chiaro successo dei Socialdemocratici. Anzi, anche alleandosi con i Verdi (MP) e il Partito della Sinistra (V), la possibile nuova coalizione di governo non raggiungerebbe la maggioranza assoluta in Parlamento, mancando di 17 seggi difficilmente reperibili altrove se non a prezzo di concessioni e instabilità.

Come i Socialdemocratici, anche il gradimento dei Verdi e del Partito della Sinistra è rimasto pressoché invariato rispetto al voto del 2010, attestandosi rispettivamente al 6,8% e al 5,7%. Le speranze di mettere assieme una coalizione numericamente più ampia di centro-sinistra sono state frustrate anche dal mancato raggiungimento della soglia di sbarramento del 4% del partito Iniziativa Femminista, fermatosi al 3,1%.

Il voto di protesta e quello degli elettori delusi dal centro-destra è confluito così anche in Svezia in buona parte verso l’estrema destra xenofoba. I Democratici Svedesi (SD), anche grazie a una campagna per ripulire la propria immagine condotta dal loro leader, il 35enne Jimmie Åkesson, sono l’unico partito realmente soddisfatto dai risultati delle urne, essendo passato dal 5,7% e 20 seggi nel 2010 al 12,9% e ben 49 seggi.

Nei confronti dei Democratici Svedesi, gli altri partiti nazionali continuano però a mantenere almeno ufficialmente un netto distacco, anche se la nascita di un eventuale governo di minoranza a guida socialdemocratica garantirebbe di fatto al partito di estrema destra e all’alleanza di governo uscente un potere di veto sulle iniziative del centro-sinistra.

In Svezia come altrove, il successo di formazioni estreme come l’SD è dovuto in larga misura sia all’impopolarità dei partiti tradizionali sia alle politiche e ai proclami populisti e più o meno xenofobi dei leader di questi ultimi. Lo stesso premier uscente Reinfeldt, infatti, alla vigilia del voto aveva giocato questa carta, annunciando possibili nuove riduzioni della spesa pubblica non a causa dei tagli alle tasse decisi dal suo governo in questi anni, ma dell’arrivo nel paese di alcune migliaia di profughi, provenienti soprattutto dalla Siria.

Löfven, in ogni caso, ha già annunciato di volere cercare sostegno tra la coalizione di governo uscente, puntando in particolare sul Partito Popolare Liberale (FP) e sul Partito di Centro (C), prospettando dunque un possibile ulteriore annacquamento del programma di governo moderatamente progressista dei Socialdemocratici.

Questi ultimi, cavalcando l’insoddisfazione diffusa nei confronti del governo Reinfeldt, avevano condotto una campagna elettorale all’insegna delle promesse di ristabilire almeno parzialmente i livelli di spesa pubblica degli anni passati e di rilanciare l’inizativa pubblica nei settori dell’educazione e dell’assistenza sanitaria, pur continuando a garantire in entrambi un certo ruolo ai privati. I Socialdemocratici avevano promesso inoltre un qualche aumento del carico fiscale per tornare a finanziare in maniera adeguata il welfare svedese, anche se i livelli di tassazione rimarranno comunque inferiori a quelli precedenti il 2006.

Al di là dei proclami, tuttavia, vista l’aria che tira in tutta Europa e la necessità del nuovo governo di Stoccolma di contare con ogni probabilità su una o più stampelle nel centro-destra, i cambiamenti saranno tutt’altro che drastici rispetto agli ultimi otto anni.

Sempre l’Economist, poi, ha definito la candidata alla carica di ministro delle Finanze, l’economista Magdalena Andersson, come una “moderata” che intende aumentare “qualche tassa” ma non ai livelli dei decenni scorsi. Inoltre, la Andersson non avrebbe obiezioni riguardo l’attuale stato delle finanze svedesi e, anzi, vorrebbe raggiungere un surplus di bilancio in tempi più rapidi rispetto al ministro uscente Borg.

Lo scarso appeal dei Socialdemocratici e dell’ex saldatore e leader sindacale Löfven, che ha portato tra l’altro a sciupare un vantaggio sul centro-destra che fino a qualche mese fa sfiorava i 20 punti percentuali, è dovuto in definitiva al ruolo che questo partito ha giocato negli ultimi decenni in preparazione delle “riforme” operate dal governo Reinfeldt.

Come le altre socialdemocrazie nel resto dell’Occidente, infatti, anche quella svedese in concomitanza con i cambiamenti strutturali determinati dalla globalizzazione dell’economia è stata protagonista negli anni scorsi dell’avvio della liquidazione del welfare e delle conquiste dei lavoratori nei decenni precedenti.

Questa evoluzione, accelerata drammaticamente dopo la crisi finanziaria del 2008, ha determinato in Svezia l’allontanamento sempre più marcato dal modello scandinavo che per decenni – proprio sotto la guida socialdemocratica – aveva assicurato stabilità sociale e livelli di vita invidiabili grazie soprattutto a un welfare generoso e alla funzione regolatrice dello Stato nell’economia.

La fine di questo stesso modello ha pesato dunque come un macigno sulle fortune dei partiti che ne portano la responsabilità, a destra come a sinistra. Tuttavia, nonostante il parere espresso dagli elettori, in Svezia come altrove, questo processo non sarà invertito se non in maniera trascurabile, e soprattutto non da un nuovo governo debole e instabile come quello che si preannuncia a Stoccolma nell’immediato futuro.

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