Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Michele Paris

Il partito Liberale Democratico (LDP) conservatore del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha vinto come previsto in maniera molto netta le elezioni anticipate indette con una manovra estremamente dubbia a novembre dallo stesso premier e andate in scena nel paese dell’Estremo Oriente nella giornata di domenica. L’LDP ha perso appena 4 seggi rispetto al voto di due anni fa, scendendo da 295 a 291 sui 475 complessivi della camera bassa del Parlamento nipponico (Dieta). Il tradizionale partner di governo dei liberal-democratici, il partito conservatore Komeito di ispirazione buddista, ne ha guadagnati invece 4 (da 31 a 35), consentendo alla coalizione di mantenere una supermaggioranza di due terzi nella Camera dei Rappresentanti.

Quello che era stato propagandato come una sorta di referendum sulle politiche economiche del primo ministro non si è risolto però in un attestato di fiducia, nonostante i numeri. Per cominciare, è stata registrata un’autentica esplosione del tasso di astensione, salito di 7 punti percentuali rispetto al già basso livello del 2012 e attestatosi attorno al 52%, cioè il record negativo dal secondo dopoguerra a oggi.

Il numero enorme di elettori giapponesi che hanno preferito rimanere a casa piuttosto che avallare il colpo di mano di Abe o votare per uno qualsiasi dei partiti del deprimente panorama politico del paese indica sia la sfiducia nei confronti della gestione dell’economia da parte del governo sia la pressoché totale mancanza di alternative credibili all’LDP.

Significativo in questo senso è stato lo slogan della campagna elettorale del partito dello stesso premier, il quale ha cercato di convincere i giapponesi che le cosiddette “Abenomics” - le politiche economiche del governo basate principalmente su un’aggressiva politica monetaria, sull’aumento della spesa pubblica (a beneficio di banche e grandi aziende) e sulla “riforma” del mercato del lavoro - fossero “l’unica strada” possibile.

Anche se non esattamente come nelle intenzioni dei vertici dell’LDP, questo slogan ha fotografato la realtà giapponese prima del voto di domenica, caratterizzata da una clamorosa mancanza di soluzioni diverse dalle consuete ricette ultraliberiste promosse da Abe e che finora non hanno in nessun modo prodotto una ripresa consistente dell’economia reale né tantomeno il miglioramento generalizzato delle condizioni di vita promesso.

L’unica “strada” a disposizione dei giapponesi è apparsa evidente anche dallo stato comatoso del principale partito di opposizione giapponese, il Partito Democratico (DPJ) di centro-sinistra. Quest’ultimo appare agli occhi degli elettori giapponesi come una parodia di partito politico e non ha praticamente mostrato segni di vita dopo la batosta subita nelle elezioni del 2012, seguita a tre anni in cui aveva governato senza mantenere nessuno degli impegni con gli elettori.

Innumerevoli sondaggi e interviste apparse nelle scorse settimane su vari media nipponici e internazionali avevano messo in luce la profondissima avversione ancora diffusa nei confronti del DPJ, il cui trionfo di cinque anni fa sull’LDP era stato conquistato grazie alla promessa di politiche progressiste delle quali non si è mai vista nemmeno l’ombra.

Sulle condizioni dell’opposizione ha puntato così Abe per assicurarsi un secondo mandato proprio mentre il paese è scivolato in una nuova recessione. Dal momento che il DPJ o altre formazioni non avrebbero rappresentato alcuna minaccia, lo scioglimento anticipato della camera bassa della Dieta è stato deciso per prolungare la sua permanenza alla guida del governo prima che la piena attuazione di impopolari politiche economiche, ma anche di altre iniziative per la militarizzazione del Giappone, si facessero sentire sul gradimento dell’LDP.

Nel mese di novembre, i dati economici relativi al terzo trimestre dell’anno avevano mostrato come il Giappone fosse ripiombato in recessione a causa sia della congiuntura globale sia dell’entrata in vigore ad aprile di un aumento della tassa sui consumi, approvata dal precedente governo del DPJ e confermata da Abe.

Il primo ministro aveva allora deciso di rimandare all’aprile del 2017 il secondo aumento della tassa stessa, previsto per il 2015, sia pure di fronte all’opposizione degli ambienti finanziari internazionali e di sezioni della classe dirigente domestica, a cominciare dalla Banca Centrale giapponese. Contestualmente, il premier aveva imposto elezioni anticipate, in modo da ricevere un nuovo mandato e cercare anche di emarginare la fazione dei “falchi” nel suo partito contraria al rinvio dell’aumento della tassa, ritenuto necessario per contenere il debito pubblico nipponico, da tempo il più alto di tutti i paesi industrializzati in rapporto al PIL.

Per quanto riguarda il DPJ, anche se i risultati finali hanno evidenziato la conquista di 11 seggi in più rispetto agli attuali 62, la prestazione elettorale è stata dunque molto deludente, soprattutto alla luce della crescente ostilità nel paese alle politiche governative. Il leader del DPJ, Banri Kaieda, si avvia così verso le dimissioni dopo avere fallito anche nella corsa a un seggio in parlamento, essendo stato sconfitto nel distretto maggioritario di Tokyo in cui era in gara e non avendo nemmeno raccolto il numero di voti sufficienti per essere rispescato con la quota proporzionale.

Quel che è certo, ad ogni modo, è che Abe cercherà ora di sfruttare il successo di domenica per legittimare l’intensificazione del suo programma di “ristrutturazione” economica e i previsti piani di modifica alla costituzione pacifista del Giappone, così da consentire una piena militarizzazione del paese e alle proprie forze armate di partecipare a eventuali conflitti all’estero con compiti di combattimento.

La riuscita dei progetti del premier è comunque tutt’altro che certa, mentre all’interno del suo partito circolano inquietudini giustificate, evidenti anche dai toni non esattamente trionfali dopo la diffusione dei risultati del voto.

La certezza di un nuovo mandato di quattro anni contribuisce infatti ben poco a rendere popolari le misure economiche o le modifiche costituzionali che verrano discusse nel prossimo futuro, così come l’imminente riattivazione dei reattori nucleari dopo il disastro di Fukushima del 2011. Allo stesso modo, nessuna delle “frecce” previste dalle “Abenomics” sarà verosimilmente in grado di rilanciare la crescita del Giappone in modo che sia la maggior parte della popolazione a beneficiarne.

Abe in prima persona pare rendersi conto di questi ostacoli e sarà costretto a procedere in maniera prudente, tanto che vari osservatori dubitano che il governo possa realmente riuscire a portare a termine alcune “riforme”, a cominciare da quella del lavoro. Tanto più che il premier dovrà fare attenzione ai suoi livelli di gradimento in vista dell’appuntamento con il congresso del suo partito nel prossimo mese di settembre, quando verrà scelto il nuovo leader dell’LDP.

Per i giornali ufficiali, Abe dovrà combattere contro i cosiddetti “interessi consolidati” nei prossimi mesi, cioè in primo luogo con i lavoratori dipendenti contrari a miracolose “riforme” che prospettano un miglioramento della loro situazione economica attraverso la privazione di diritti e la più che probabile riduzione delle retribuzioni.

L’altra categoria sulla lista degli oppositori del cambiamento è poi quella degli agricoltori, tradizionale base elettorale dell’LDP e fortemente contraria allo smantellamento delle protezioni del loro settore per favorire la concorrenza dei prodotti stranieri. In questo caso, il riferimento è al trattato di libero scambio battezzato “Partnership Trans-Pacifica” (TPP) e promosso dagli Stati Uniti. Il TPP, oltre a essere visto con sospetto da vari paesi, è fermo da tempo anche a causa delle resistenze di Tokyo ad assecondare le richieste di Washington, da dove si spinge per l’abbattimento dei dazi doganali sui prodotti agricoli nipponici che manderebbe di fatto in rovina gli agricoltori indigeni.

Tornando al voto di domenica, le notizie relativamente buone per il partito di governo sono state offuscate in parte dai risultati sull’isola di Okinawa. Qui i quattro distretti che assegnavano altrettanti seggi con il sistema maggioritario hanno visto la sconfitta di tutti i candidati dell’LDP, in conseguenza della fortissima opposizione alla costruzione di una nuova base militare americana al posto di quella attuale che dalla fine della Seconda Guerra mondiale è situata in un’area urbana dell’isola. I quattro candidati del partito di Abe, favorevoli alla base, sono stati comunque eletti ma solo grazie alla quota proporzionale.

Proprio a Okinawa, infine, un candidato del Partito Comunista Giapponese (JCP) è stato eletto in un distretto maggioritario per la prima volta dal 1996. Complessivamente, il JCP ha quasi triplicato il proprio contingente di deputati al parlamento di Tokyo, passando dagli attuali 8 a 21, grazie a una campagna elettorale nella quale i propri candidati sono stati tra i pochi a criticare fermamente le politiche del governo di Shinzo Abe.

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