Assange, le “non garanzie” USA

di Michele Paris

Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per...
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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle...
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di Mario Lombardo

Il Congresso uscente degli Stati Uniti ha consegnato alla Casa Bianca un nuovo provocatorio pacchetto di sanzioni contro la Russia che il presidente Obama ha annunciato di voler ratificare entro questo fine settimana. Il più recente provvedimento, ridicolmente chiamato “Legge a Sostegno della Libertà in Ucraina” (UFSA), contiene in realtà misure che vanno ben al di là delle sanzioni in risposta alla presunta aggressione di Mosca ai danni di Kiev e rappresenta di fatto poco meno che una dichiarazione di guerra nei confronti del Cremlino.

Le nuove sanzioni sono state però relativamente ammorbidite in seguito a pressioni sui leader del Congresso da parte dell’amministrazione Obama, nel timore che un’eccessiva accelerazione dello scontro con la Russia in questo momento avrebbe potuto provocare non solo una pericolosa escalation della crisi ma anche ulteriori frizioni con gli alleati europei, più cauti nel provocare Mosca per via degli interessi economici in gioco.

Camera e Senato hanno così approvato un pacchetto che prevede sì la possibilità di misure punitive molto pesanti ma assegna in pratica la totale discrezione al presidente per l’effettiva applicazione. Malgrado questa clausola il messaggio lanciato a Putin appare chiaro, mentre gli Stati Uniti avranno a disposizione una nuova arma economica e strategica formidabile per colpire la Russia al cuore dei propri interessi, non solo in relazione all’Ucraina.

Con l’UFSA, ad esempio, potranno essere decise sanzioni contro compagnie russe esportatrici di armi - a cominciare dalla più importante, l’azienda pubblica Rosoboronexport - se il governo di Mosca sarà ritenuto responsabile di attività di “destabilizzazione” in Ucraina, ma anche in Georgia, Moldavia e Siria.

Il presidente americano avrà poi facoltà di penalizzare le compagnie internazionali che intendono investire in progetti petroliferi in Russia, mentre saranno ancora più ristrette le norme che regolano l’export verso la Russia di equipaggiamenti utilizzabili in ambito energetico.

Il gigante pubblico del gas Gazprom, inoltre, continua a essere nel mirino di Washington, vista l’ampiezza dei suoi “asset”, il cui eventuale smembramento suscita gli appetiti dei vertici delle aziende energetiche occidentali. La Casa Bianca, cioè, potrebbe vietare investimenti o prestiti a favore di Gazprom se diminuirà il flusso di gas destinato a Ucraina, Georgia e Moldavia.

Dalle implicazioni preoccupanti è poi il meccanismo previsto per autorizzare il presidente ad applicare le cosiddette “sanzioni secondarie”, e dalla più che dubbia legalità, cioè penalizzazioni ai danni di compagnie di paesi terzi che contravvengono alle sanzioni di Washington.

L’altro punto principale del pacchetto sul tavolo di Obama autorizza il governo USA a fornire armamenti “letali” al regime golpista ucraino per 350 milioni di dollari, inclusi missili anti-carro, droni e radar. Il presidente americano e il suo entourage avevano sempre respinto l’ipotesi di trasferire armi offensive a Kiev, visto che ufficialmente gli USA sostengono di voler promuovere una soluzione pacifica della crisi nelle province orientali “ribelli”.

Infine, il Congresso ha stanziato quasi 100 milioni di dollari nei prossimi tre anni per alimentare la macchina della propaganda a stelle e strisce in Ucraina, Georgia e Moldavia, come sempre dietro il paravento della promozione della “democrazia”, della creazione di una “stampa indipendente” e della “lotta alla corruzione”.

Questo denaro finirà in un già ricco capitolo di spesa degli Stati Uniti per la propaganda nei paesi dell’ex blocco sovietico, come aveva confermato mesi fa la stessa assistente al Segretario di Stato, Victoria Nuland. Quest’ultima, in una conversazione telefonica intercettata e pubblicata dalla stampa aveva ammesso che il suo governo aveva “investito” più di 5 miliardi di dollari a partire dal 1991 in Ucraina, così da favorire la crescita della “società civile” e lo sviluppo delle “istituzioni democratiche”, ovvero per sottrarre questo paese all’influenza di Mosca.

Le misure punitive ai danni della Russia contenute nell’UFSA possono in ogni caso non essere applicate oppure sospese se il presidente reputa che ciò sia nell’interesse della sicurezza nazionale americana.

Per comprendere le ragioni dello scontro in atto tra Occidente e Russia - provocato interamente dalle manovre di Washington e, in seconda battuta, di Berlino - gli articoli più significativi del nuovo pacchetto di sanzioni sembrano essere quelli relativi alle misure previste nel caso Mosca dovesse fornire armi a entità ritenute “destabilizzatrici” in Ucraina, Georgia e Moldavia “senza il consenso dei rispettivi governi”.

Come ha spiegato un’analisi apparsa questa settimana sul sito web dell’agenzia di stampa governativa russa Ria Novosti, il riferimento a Georgia e Moldavia in una legge che riguarda l’Ucraina conferma come gli Stati Uniti intendano condurre un attacco a tutto campo contro Mosca, allargando il “terreno di battaglia” all’intera area ex sovietica strategicamente vitale per il Cremlino.

A ciò vanno poi aggiunte iniziative evidenti da tempo, come la possibile incorporazione dell’Ucraina o di altri paesi già parte dell’URSS in una sorta di partnership con la NATO e il posizionamento più e meno permanente di basi militari e soldati lungo i confini russi. Tutto questo contribuisce a rafforzare la tesi, condivisa pubblicamente in questi giorni anche dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov nel corso di un’intervista alla TV francese, che gli USA e i loro alleati stiano puntando in maniera sempre più decisa a un cambio di regime anche a Mosca.

Forse ancora più rilevante è poi il riferimento alla Siria, dove il ruolo costruttivo della Russia nella ricerca di una risoluzione negoziata del conflitto era stato spesso citato dal governo americano. Il cambio di rotta segnala ora invece un affilamento delle armi dell’imperialismo USA, già ben visibile dalle manovre con al centro l’Arabia Saudita che hanno contribuito al crollo del prezzo del greggio che, assieme alle sanzioni occidentali già applicate, stanno provocando il rapido deterioramento dell’economia russa.

Il desiderio di colpire Putin e il suo governo in un ambito totalmente estraeo alla crsi ucraina ha fatto passare in secondo piano anche le contraddizioni palesi del provvedimento da poco approvato dal Congresso. Mentre nel caso di Ucraina, Georgia e Moldavia le sanzioni sono minacciate in caso di forniture di armi a forze “destabilizzatrici” di questi governi, in Siria le compagnie russe sono diffidate dal vendere armi al governo di Damasco, peraltro di gran lunga più legittimo di quello al potere a Kiev.

Non solo: con un’ironia che deve essere sfuggita ai legislatori americani, nel caso della Siria sono proprio gli Stati Uniti a fornire armi in maniera diretta e indiretta ai gruppi di opposizione, in larga misura fondamentalisti, che hanno provocato la devastazione del paese mediorientale.

La nuova mossa di Washington è stata coordinata come previsto con gli alleati europei, le cui apprensioni per il possibile precipitare della crisi ucraina continuano a essere messe in secondo piano rispetto al dissennato appiattimento sulle posizioni americane in relazione alla Russia.

Ad ogni modo, anche l’Unione Europea ha annunciato questa settimana la propria nuova dose di sanzioni, sia pure “limitate” agli interessi di Mosca in ambito energetico nella penisola di Crimea, tornata con l’approvazione della maggioranza dei propri abitanti entro i confini russi lo scorso mese di marzo.

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