Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Michele Paris

Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Tunisia ha assegnato come previsto il successo definitivo all’ex esponente del deposto regime di Ben Ali, Béji Caïd Essebsi, contribuendo al consolidamento del potere da parte del suo partito, Nidaa Tounes, grazie principalmente al fallimento politico delle forze che avevano cavalcato la rivoluzione popolare del 2011.

Subito dopo la chisura dei seggi nella giornata di domenica, il team dell’88enne Essebsi aveva dichiarato vittoria basandosi sui dati diffusi da almeno tre exit poll che gli assegnavano un vantaggio incolmabile sul suo rivale, il presidente ad interim Moncef Marzouki, inizialmente non disposto a riconoscere la sconfitta.

I risultati definitivi hanno alla fine sostanzialmente confermato i numeri provvisori, con Essebsi che si è aggiudicato il 55,7% dei consensi espressi e Marzouki il 44,3%. Al primo turno nel mese di novembre, il primo aveva ottenuto il 39,5% dei voti contro il 33,4% di Marzouki.

L’epilogo del voto per la carica di presidente è stato salutato dai media internazionali come il coronamento del processo di transizione democratica seguito alla fine del regime e che aveva avuto le sue tappe più significative nella stesura di una nuova costituzione e nelle elezioni legislative dell’ottobre scorso.

Il modello tunisino, in particolare, è stato promosso come valida alternativa al percorso accidentato sulla strada della “democrazia” di altri paesi nordafricani e mediorientali attraversati dalle rivolte contro i precedenti regimi, a cominciare dai vicini Egitto e Libia, sfociate rispettivamente in una nuova dittatura militare e nella totale devastazione del tessuto sociale a causa dell’intervento “umanitario” delle forze armate della NATO.

L’evoluzione del quadro politico tunisino, però, ha appunto finito col riportare al potere i membri del regime di Ben Ali e, a ben vedere, è stata anch’essa estremamente travagliata, sia pure senza la violenza estrema registrata altrove. Soprattutto, la Tunisia convidide con gli altri paesi interessati dalla “Primavera Araba” la mancata soddisfazione delle legittime aspirazioni della popolazione scesa nelle piazze.

Il voto per la creazione di un’Assemblea Costituente nell’ottobre 2011 aveva visto prevalere il partito islamista moderato Ennahda, anche se la mancanza di una maggioranza assoluta aveva costretto quest’ultimo a entrare in una coalizione con altre due formazioni: il partito social-democratico Ettakatol e quello secolare dello stesso Marzouki (Congresso per la Repubblica o CPR).

Il governo guidato da Ennahda, con la supervisione di Marzouki come presidente ad interim, ha messo in atto politiche economiche liberiste che hanno finito addirittura per peggiorare la situazione della maggior parte dei tunisini, mentre allo stesso tempo le forze islamiste nel paese hanno acquistato progressivamene maggiore fiducia.

Il gabinetto di transizione è poi precipitato in una crisi irreversibile nel 2013 in seguito agli assassini ad opera di militanti islamici di Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi, due politici appartenenti ad altrettanti partiti facenti parte della coalizione di sinistra Fronte Popolare.

La rabbia per queste morti si è così saldata con quella dovuta al persistente stato di disagio di giovani, lavoratori e disoccupati, spingendo la classe dirigente ad avviare una sorta di “dialogo nazionale” per cercare di calmare gli animi nel paese. Ciò si è tradotto in un accordo politico tra le forze al potere e, principalmente, il partito Nidaa Tounes di Essebsi, con il risultato che il governo islamista ha rassegnato le proprie dimissioni all’inizio del 2014 per lasciare spazio a un esecutivo di “tecnici”.

Nidaa Tounes e il neo-presidente hanno così sfruttato la disillusione dei tunisini dopo quasi quattro anni di promesse rivoluzionarie mancate, conquistando, oltre alla presidenza in questi giorni, il 38% dei consensi e 86 seggi sui 217 che formano il parlamento unicamerale di Tunisi nelle elezioni di ottobre.

Il partito di Essebsi è stato fondato soltanto nel giugno del 2012 e vede tra i propri esponenti di spicco ex membri del partito di Ben Ali messo fuori legge (Raggruppamento Costituzionale Democratico o RCD), ma anche politici secolari di “sinistra” e sostenitori dell’ex dittatore Habib Bourguiba. Nidaa Tounes è inoltre appoggiato sia dal principale sindacato tunisino (UGTT) sia dall’associazione degli imprenditori (UTICA) e individua nell’anti-islamismo il proprio principale collante.

Il programma economico del partito include misure che dovrebbero teoricamente stimolare la crescita come privatizzazioni, taglio dei sussidi statali e dei servizi sociali, ma anche un rafforzamento dei poteri dello stato per il mantenimento dell’ordine pubblico, soprattutto in vista di possibili nuove manifestazioni di protesta nel paese.

Lo scarso entusiasmo mostrato dai tunisini nel secondo turno delle elezioni presidenziali è apparso comunque evidente anche dal livello di astensione, attestatosi secondo l’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni attorno al 41%. Significativamente, l’affluenza più bassa (43,6%) è stata registrata nel distretto elettorale di Sidi Bouzid, nel centro del paese, da dove nel 2011 partirono le proteste che avrebbero dato vita alla rivoluzione.

Le impressioni di molti elettori raccolte dai media occidentali hanno fatto trasparire più di una preoccupazione per i precedenti di Essebsi, anche se a prevalere è sembrata essere la sfiducia nei confronti di Marzouki, identificato con i più che deludenti governi post-rivoluzionari e, almeno in parte, con gli islamisti di cui il suo partito era alleato.

Il presidente eletto, da parte sua, ha ricoperto molte cariche importanti in mezzo secolo di carriera politica. Ad esempio, Essebsi è stato ministro dell’Interno, della Difesa e degli Esteri durante il regime repressivo di Bourguiba, mentre sotto Ben Ali è stato tra l’altro presidente della Camera dei Deputati. Il suo curriculum non gli aveva però impedito di essere nominato primo ministro ad interim a fine febbraio 2011 dopo la cacciata di Ben Ali.

Essebsi, così come Nidaa Tounes, ha in ogni caso raccolto molti consensi tra la borghesia urbana tunisina, preoccupata per l’assenza di un potere centrale forte in grado di tenere a bada il malcontento tra le classi più disagiate e di implementare misure economiche che diano un qualche impulso al business privato.

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