USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
> Leggi tutto...

di Michele Paris

Il nuovo Congresso americano e l’amministrazione Obama sono in questi giorni nel pieno di uno scontro che potrebbe determinare le sorti delle già complicate trattative in corso per la risoluzione dell’annosa crisi fabbricata attorno al programma nucleare iraniano. La Casa Bianca sta cioè cercando di ostacolare un paio di iniziative di legge volte a esercitare ancora maggiori pressioni sulla Repubblica Islamica, con il rischio di far naufragare definitivamente i negoziati.

Nel conflitto in atto si sarebbe poi inserito addirittura il Mossad, ovvero il servizio segreto israeliano, il quale, distanziandosi clamorosamente dal primo ministro Netanyahu, sembra avere comunicato alla stessa amministrazione Obama e ad alcuni senatori degli Stati Uniti le proprie preoccupazioni per possibili nuove misure punitive dirette contro Teheran.

La prima bozza di legge in questione è sponsorizzata dai senatori Mark Kirk (repubblicano) e Robert Menendez (democratico) e prevede la riapplicazione immediata di tutte le sanzioni economiche che nell’ultimo anno sono state sospese nell’ambito dei colloqui tra l’Iran e il gruppo dei cosiddetti P5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) nel caso un accordo non dovesse essere raggiunto entro la scadenza fissata al 30 giugno prossimo. Oltretutto, in questa proposta vi è la possibilità di ulteriori sanzioni, da implementare in maniera graduale.

Il presidente Obama ha più volte minacciato di usare il proprio potere di veto per bloccare questa legge, nel caso fosse approvata dal Congresso, e ha ribadito le sue intenzioni ancora nella giornata di martedì.

Se anche il testo della proposta Kirk-Menendez non prevede sanzioni durante i negoziati, l’amministrazione Obama teme a ragione che un nuovo segnale ostile proveniente dal Congresso possa mettere la delegazione iraniana in una posizione insostenibile di fronte alle pressioni dei falchi di Teheran per mettere fine alle trattative sul nucleare.

Dopo un meeting privato tenuto la settimana scorsa tra i vertici democratici, durante il quale pare che Obama abbia avuto uno scambio di vedute sull’Iran piuttosto animato con il senatore Menendez, molti compagni di partito del presidente al Congresso non si sono ancora pronunciati sul sostegno alla legge.

Ad ogni modo, la proposta avrebbe dovuto approdare sul tavolo di una commissione del Senato nella giornata di giovedì per essere discussa ma l’appuntamento è stato rimandato, secondo alcune fonti in attesa che si faccia chiarezza sulla possibilità dei proponenti di contare su una maggioranza sufficiente a neutralizzare l’eventuale veto di Obama.

I senatori Kirk e Menendez si sono anche mostrati disponibili ad attenuare il linguaggio della legge, assegnando maggiore discrezione al presidente sull’applicazione delle sanzioni, così da convincere qualche democratico in più ad appoggiarla.

Inoltre, altri tre senatori repubblicani - Bob Corker, neo-presidente della commissione Esteri, John McCain e Lindsay Graham - hanno partorito una proposta alternativa più moderata per consentire al Congresso di avere voce in capitolo riguardo la vicenda del nucleare iraniano. Questa seconda iniziativa prevede che l’eventuale accordo definitivo che uscirà dai colloqui debba essere ratificato da un voto del Senato americano.

Al momento non è chiaro che livello di appoggio la nuova proposta repubblicana possa ricevere soprattutto dai democratici, ma la Casa Bianca si è già detta contraria anche a quest’ultima, rinnovando la minaccia di veto.

Dietro alla diatriba che sta mettendo di fronte la maggior parte dei membri del Congresso e l’amministrazione Obama ci sono evidentemente fortissime divisioni all’interno della classe dirigente americana attorno al programma nucleare dell’Iran o, piuttosto, sulla natura dei rapporti da tenere con questo paese.

Una questione, quest’ultima, che è indissolubilmente legata all’offensiva degli Stati Uniti in Medio Oriente per l’avanzamento dei propri interessi strategici e che, appunto, non può prescindere dal chiarimento delle relazioni con la Repubblica Islamica. Né il Congresso né la Casa Bianca, peraltro, appaiono interessati a riconoscere il ruolo pienamente indipendente che Teheran ambisce a svolgere nella regione, dal momento che entrambi intendono in qualche modo attrarre questo paese nell’orbita dell’imperialismo USA.

Le differenze, perciò, risiedono nelle modalità con cui raggiungere il medesimo l’obiettivo. Da un lato - alla Casa Bianca - si sta cercando in questo frangente di percorrere la strada del dialogo, soprattutto alla luce della disponibilità e della predisposizione moderatamente filo-occidentale e marcatamente neo-liberista del governo guidato dal presidente Hassan Rouhani.

Dall’altro - al Congresso - la prevalenza delle tendenze “neocon” fa in modo che si prediliga la linea dura, ricorrendo a metodi che, in ultima analisi, non possono che condurre a uno scontro armato o, idealmente, al cambio di regime a Teheran.

Significativa dell’attitudine di molti deputati e senatori a Washington è stata una recente dichiarazione rilasciata alla stampa dallo stesso Menendez. L’ex presidente democratico della commissione Esteri del Senato, ribaltando la realtà degli ultimi mesi di negoziati, ha criticato l’amministrazione Obama per avere assecondato eccessivamente gli iraniani “su tutti gli elementi chiave” delle trattative.

Al contrario, dopo il raggiungimento dell’accordo ad interim a Ginevra nel novembre 2013, che ha dato vita al cosiddetto “Piano di Azione Congiunto” per raggiungere un’intesa definitiva, è l’Iran ad avere fatto le concessioni più importanti, ricevendo in cambio solo un lievissimo e molto parziale allentamento delle sanzioni.

La questione del nucleare di Teheran si sovrappone poi alle tesissime relazioni degli Stati Uniti con il governo di Israele. Come già anticipato, i vertici dell’intelligence di Tel Aviv hanno sostanzialmente sconfessato il proprio governo, allineandosi alle posizioni di quello americano circa la necessità di evitare altre provocazioni nei confronti di Teheran per scongiurare il fallimento dei negoziati.

Mentre Netanhyanu avrebbe dato il proprio sostegno alla proposta Kirk-Menendez, il Mossad si è adoperato per far conoscere la propria opinione sul nucleare iraniano ai politici americani. Mercoledì, quindi, il segretario di Stato USA, John Kerry, ha provocato più di un malumore all’interno del governo israeliano, rivelando che un esponente dell’intelligence di questo paese ha paragonato l’eventuale adozione di nuove sanzioni al “lancio di una granata sul processo” di distensione sanzionato dall’accordo transitorio di Ginevra.

La notizia dell’iniziativa del Mossad è stata riportata giovedì dall’agenzia di stampa Bloomberg, la quale ha poi raccontato di come l’intelligence di Israele già settimana scorsa avesse avvicinato una delegazione di senatori americani di entrambi i partiti in visita nel paese per invitare alla cautela sulla questione delle sanzioni.

La disputa, però, si è fatta se possibile ancora più complicata dopo che, in risposta alle minacce di veto di Obama e alle stesse indicazioni del Mossad, lo “speaker” della Camera dei Deputati di Washington, il repubblicano John Boehner, ha invitato Netanyahu a parlare di fronte a una sessione congiunta del Congresso il prossimo 11 febbraio.

Il premier del Likud, è facile prevederlo, a poche settimane dalle elezioni in Israele avrà così a disposizione una piattaforma straordinaria per attaccare l’Iran e dare il proprio appoggio a nuove sanzioni proprio mentre il dibattito sull’argomento sarà in pieno svolgimento negli Stati Uniti, mettendo in imbarazzo un’amministrazione Obama impegnata nella nuova fase di negoziati che sembrano essere sempre più appesi a un filo.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Assange, complotto in pausa

di Michele Paris

L’unico aspetto positivo dell’opinione espressa martedì dall’Alta Corte britannica sull’estradizione di Julian Assange è che il fondatore di WikiLeaks non verrà consegnato nelle prossime ore alla “giustizia” americana. La decisione presa dai due giudici del tribunale di Londra segna infatti una nuova tappa della...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy