Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Mario Lombardo

Nella giornata di giovedì, i militari ucraini hanno annunciato il ritiro delle armi pesanti dalla “linea di contatto” nel sud-est del paese in seguito alla stessa mossa presa in precedenza dai “ribelli” filo-russi, come previsto dal contenuto degli accordi di Minsk. Questa notizia, assieme alla quasi totale cessazione degli scontri armati, non ha però fatto venir meno il rischio di una conflagrazione di più ampia portata in Europa orientale, almeno a giudicare dalla serie di provocazioni contro Mosca provenienti da Kiev e dai governi occidentali.

Da Londra, ad esempio, il primo ministro conservatore, David Cameron, ha fatto sapere che il suo governo invierà 75 militari in Ucraina con funzioni di “addestratori” delle truppe locali, assieme ad aiuti “non letali”, ufficialmente per contribuire alla resistenza delle forze di Kiev contro le offensive dei separatisti.

L’iniziativa britannica potrebbe servire ad aprire la strada ad altre simili da parte dei paesi europei, come ha confermato l’annuncio fatto mercoledì dal governo polacco, il quale manderà ugualmente in Ucraina alcuni “consiglieri militari”.

Il livello della retorica, poi, è rimasto alto a Londra così come a Washington. Lo stesso Cameron ha ribadito l’intenzione di “mandare a Putin e alla Russia il messaggio più forte possibile che quanto è accaduto è inaccettabile”, così che, “nel caso la tregua non dovesse tenere, ci saranno altre conseguenze, altre sanzioni, altre iniziative”.

Il segretario di Stato USA, John Kerry, è invece tornato ad accusare il Cremlino di fornire appoggio materiale ai “ribelli”, come se Washington e i suoi alleati non stessero da parte loro appoggiando totalmente il regime golpista di Kiev e le formazioni neo-naziste che operano nel sud-est del paese.

Per l’ex senatore democratico, né la Russia né i separatisti avrebbero minimamente rispettato gli impegni presi a Minsk due settimane fa, nonostante abbiano per primi rimosso le armi pesanti dalla linea del fronte, e sarebbero perciò a rischio delle ormai consuete “nuove sanzioni”.

Sempre dalla Gran Bretagna è apparso chiaro come le iniziative di questi giorni siano i primi passi di una strategia per aumentare il coinvolgimento occidentale in Ucraina. Il ministro della Difesa di Londra, Michael Fallon, pur escludendo il ricorso a truppe da combattimento, ha lasciato intendere che il suo governo ha ricevuto richieste di fornitura di ogni genere di equipaggiamenti militari da parte di Kiev e che esse verranno considerate seriamente.

Sul tavolo resta sempre anche l’ipotesi che gli Stati Uniti possano trasferire armi “difensive” al regime ucraino, come avevano riferito alla stampa alcune settimane fa membri dell’amministrazione Obama e, nel corso di un’audizione al Congresso per la sua nomina a segretario alla Difesa, il nuovo numero uno del Pentagono, Ashton Carter.

La realtà dei fatti ha comunque già superato i presunti dubbi occidentali sull’opportunità di fornire armi a Kiev, visto che il presidente ucraino, Petro Poroshenko, a inizio settimana ha fatto sapere di avere firmato accordi di “cooperazione” tecnica e militare con il regime degli Emirati Arabi.

Questa monarchia del Golfo Persico, com’è noto, è un fedelissimo alleato degli Stati Uniti, da cui acquista ingenti quantità di armi, rendendo semplicemente assurda l’ipotesi che abbia potuto agire indipendentemente da Washington nel garantire armi all’Ucraina.

Gli Emirati Arabi, d’altra parte, hanno già svolto un compito simile in Siria, dove hanno garantito armi ed equipaggiamenti vari ai “ribelli” anti-Assad – comprese le formazioni di tendenze fondamentaliste – consentendo agli Stati Uniti e ai loro alleati europei di mantenere la posizione ufficiale di non voler contribuire all’aggravamento della violenza in Siria.

Un’altra deliberata provocazione nei confronti di Mosca è stata registrata martedì, con alcuni veicoli armati americani che hanno partecipato a una sfilata militare a Narva, in Estonia, letteralmente a poche centinaia di metri dal confine russo.

I governi di Estonia, Lettonia e Lituania stanno mostrando i livelli più elevati di isteria anti-russa a partire dall’esplosione della crisi ucraina, pur non essendo esposti ad alcun rischio di invasione da parte di Mosca.

Già lo scorso autunno, lo stesso presidente americano Obama durante una vista in Estonia aveva promesso il totale sostegno americano ai paesi baltici, assieme all’aumento delle truppe NATO dispiegate sul loro territorio, confermando come questi paesi rappresentino uno degli avamposti principali nella strategia di accerchiamento della Russia.

Il ribaltamento della realtà proposto dai governi occidentali in relazione alla situazione in Ucraina richiede una costante attività di propaganda da parte dei vari leader e della stampa ufficiale. A questo scopo, significativo è apparso mercoledì l’intervento del comandanete delle forze NATO in Europa, generale Philip Breedlove, di fronte a una commissione della Camera dei Rappresentanti di Washington.

Breedlove ha sostenuto che lo scenario in Ucraina “continua a peggiorare giorno dopo giorno” e gli sforzi occidentali nel contenere l’intervento della Russia stanno producendo pochi risultati. In seguito, il generale americano ha affermato che il successo di Putin nel destabilizzare l’Ucraina potrebbe incoraggiare il presidente russo a “seminare divisioni altrove”, con una strategia volta a “indebolire politicamente la NATO e a espandere l’influenza di Mosca nella regione”.

Con un metodo ben consolidato, Breedlove ha così attribuito ai propri rivali l’atteggiamento del suo stesso governo, delineando in sostanza la strategia messa in atto non dal Cremlino, bensì dagli USA e dai loro alleati in Europa. Questi ultimi hanno infatti provocato il rovesciamento del governo legittimo di Kiev, con la relativa inevitabile creazione di un’area di destabilizzazione alle porte della Russia, al fine di ampliare l’influenza occidentale nell’ex blocco sovietico.

Breedlove ha poi mantenuto un atteggiamento ambiguo sulla possibilità di fornire armi a Kiev, riflettendo le reali preoccupazioni del governo americano per le conseguenze di una decisione che minaccia di trascinare ancor più la Russia nel conflitto ucraino.

In questo senso, le indicazioni ricavate dalle parole di Breedlove si aggiungono ad altri spunti provenienti da più parti negli ultimi mesi che suggeriscono l’intenzione occidentale di cercare di imbrigliare Mosca in una guerra di logoramento in Ucraina che, unitamente alle sanzioni e alla guerra economica in atto con il crollo pilotato del prezzo del petrolio, dovrebbe annientare le resistenze della Russia e le sue ambizioni a giocare un ruolo paritario con la prima potenza del pianeta.

In questo modo, almeno nelle intenzioni, gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero alimentare un conflitto di relativamente bassa intensità in Ucraina, con la possibilità teorica di continuare a espandere la presenza della NATO in Europa orientale senza il rischio di una guerra aperta, potenzialmente combattuta con armi nucleari.

Le manovre americane per rimediare all’ennesimo fallimento della propria politica estera rischiano però di aggravare il conflitto, tanto più che allo scenario già estremamente fragile dal punto di vista militare si deve aggiungere la drammatica situazione economica dell’Ucraina che lascia intravedere una possibile destabilizzazione del regime stesso.

La crisi ucraina provocata interamente da Washington e Berlino, infine, ha avuto come diretta conseguenza la crescita di potenti formazioni politiche e paramilitari neo-naziste, su cui l’Occidente e Kiev hanno contato per reprimere la legittima opposizione nelle regioni filo-russe. Questi gruppi rappresentano la fazione del regime più contraria a una risoluzione pacifica del conflitto, visto che continuano a manifestare una profonda opposizione a qualsiasi accordo con Mosca o con i “ribelli” del Donbass.

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