Assange, le “non garanzie” USA

di Michele Paris

Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per...
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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle...
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di Michele Paris

Un articolo pubblicato questa settimana dal New York Times ha rivelato il nome di un secondo cittadino americano finito sulla lista nera di presunti terroristi che il governo degli Stati Uniti intende assassinare extra-giudiziariamente dietro ordine personale del presidente Obama. La notizia è stata diffusa pochi giorni dopo l’apparizione dell’uomo di fronte a un tribunale di Brooklyn, a New York, in seguito al suo arresto avvenuto in Pakistan nel 2014.

Il detenuto risponde al nome di Mohanad Mahmoud Al Farekh, nato in Texas e trasferitosi in giovane età in Giordania assieme alla famiglia. Secondo il governo americano, Farekh aveva frequentato un’università in Canada ed era passato attraverso un processo di radicalizzazione “in parte seguendo i sermoni on-line di Anwar Al Awlaki”.

Quest’ultimo, a quanto è dato sapere, è stato il primo cittadino di passaporto americano ucciso da un drone a seguito di una semplice decisione presa dal governo americano, senza cioè essere accusato formalmente di nessun crimine né, tantomeno, essere passato attraverso un normale processo.

Farekh si sarebbe in ogni caso spostato in Pakistan, dove ha rapidamente scalato le gerarchie di al-Qaeda anche grazie al matrimonio con la figlia di un leader dell’organizzazione fondamentalista. I suoi compiti prevedevano, tra l’altro, la progettazione di attentati terroristici al di fuori dei confini pakistani, rendendosi responsabile perciò di operazioni dirette contro le forze americane di occupazione in Afghanistan.

Per il New York Times, le discussioni all’interno dell’amministrazione Obama sulla sorte di Farekh sarebbero iniziate nel 2012 e nei mesi successivi sia il Pentagono sia la CIA avevano incrementato la sorveglianza dell’uomo nei suoi spostamenti nelle aree tribali del Pakistan, spingendo per l’assassinio.

Qualche perplessità era stata manifestata invece dal dipartimento di Giustizia, a cominciare dal ministro Eric Holder, il quale dubitava del fatto che Farekh rappresentasse “una minaccia imminente per gli Stati Uniti” o fosse un esponente di primo piano di al-Qaeda. Holder riteneva cioè che il cittadino americano potesse essere arrestato e processato negli Stati Uniti.

La ricostruzione della vicenda proposta dal giornale newyorchese mostra però come a salvare la vita di Farekh non siano stati gli scrupoli di componenti dell’amministrazione Obama per il rispetto dei principi costituzionali, bensì ragioni di convenienza politica e dissidi tra le varie agenzie governative.

In particolare, il dibattito attorno alla punizione da somministrare a Farekh era stato influenzato dall’eco delle polemiche attorno all’assassinio di Awlaki nel settembre del 2011 in Yemen.

Nel maggio del 2013, poi, Obama aveva parlato per la prima volta pubblicamente del programma di assassini mirati con i droni, ammettendo l’uccisione di Awlaki e di altri tre cittadini americani, tra cui il figlio sedicenne di Awlaki, Abdulrahman. Questi ultimi non erano sulla lista nera di presunti terroristi ma erano da considerarsi “danni collaterali” dei bombardamenti USA.

Nello stesso intervento, il presidente democratico aveva delineato regole apparentemente più stringenti per l’utilizzo dei droni nel programma di assassini mirati, con l’intenzione non tanto di limitarne l’abuso bensì di istituzionalizzarlo come strumento della “guerra al terrore”.

Tra le norme stabilite da Obama vi era l’assegnazione al Pentagono invece che alla CIA dell’incarico delle operazioni con i droni dirette contro cittadini americani, ufficialmente per consentire agli esponenti del governo di discuterne pubblicamente.

I militari americani non potevano però condurre bombardamenti con i droni in Pakistan, dal momento che questo paese aveva chiesto a Washington di incaricare la CIA, in modo che il governo di Islamabad avrebbe potuto negare di essere a conoscenza delle operazioni che, allo stesso modo, gli USA non avrebbero commentato né smentito.

Il Times riferisce inoltre di parecchio “nervosismo” all’interno dell’amministrazione Obama dopo l’assassinio di Awlaki, a conferma della consapevolezza di molti a Washington che il programma di omicidi mirati di cittadini americani era palesemente illegale e che esso avrebbe potuto giustificare in futuro un’incriminazione per i responsabili, incluso il presidente e il suo ministro della Giustizia.

Ancora più inquietante è il resoconto di un’audizione a porte chiuse al Congresso di esponenti delle forze armate e dell’intelligence nel luglio del 2013. In quell’occasione, vari membri della commissione della Camera dei Rappresentanti per i Servizi Segreti si erano lamentati per il mancato assassinio di Farekh.

Le circostanze che hanno determinato la sorte di Farekh dimostrano così ancora una volta la sostanziale assenza nel panorama politico americano di qualsiasi traccia di impegno per il rispetto dei diritti democratici e costituzionali, minati seriamente dall’implementazione delle misure volte ufficialmente a combattere la “guerra al terrore”.

Le stesse parole pronunciate da Obama circa la necessità di garantire anche ai cittadini americani sospettati di terrorismo un giusto processo sono a dir poco fuorvianti. Questa tesi del presidente si basa infatti su una tristemente nota dichiarazione di Eric Holder del 2012, nella quale il ministro della Giustizia di Obama aveva spazzato via due secoli di interpretazioni dei principi costituzionali, sostenendo che il diritto a un “giusto processo” non corrisponde necessariamente alla garanzia di un “processo giudiziario”.

In questo modo, secondo l’amministrazione democratica guidata da un ex docente di diritto costituzionale, il requisito del “giusto processo” per i cittadini americani nel mirino dei droni sarebbe soddisfatto semplicemente dal processo decisionale che avviene all’interno dell’esecutivo, condotto oltretutto in totale segretezza.

Evidentemente, questa interpretazione è accettata anche dal New York Times, così come da tutti i media ufficiali americani, visto che nell’articolo relativo a Farekh non vi è traccia di un qualche commento critico dei metodi criminali dell’amministrazione Obama, se non nella citazione di un opinione espressa dal vice-direttore legale dell’associazione a difesa dei diritti civili ACLU (American Civil Liberties Union).

L’arresto di Farekh e il fatto che la sua vita sia stata incidentalmente risparmiata non devono dunque illudere sulla predisposizione democratica della classe dirigente d’oltreoceano. Il governo americano continua a operare il proprio programma di assassini mirati in Pakistan, così come in Yemen, in Afghanistan e in Somalia, contro chiunque ritenga necessario eliminare senza alcuna restrizione.

Anzi, lo stesso ministro Holder un paio di anni fa aveva indirizzato una comunicazione al Senato di Washington, ammettendo che, “in circostanze straordinarie”, il presidente avrebbe facoltà di ordinare l’assassinio extra-giudiziario di propri connazionali anche “sul territorio degli Stati Uniti”.

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