Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
> Leggi tutto...

di Michele Paris

La vittoria relativamente a sorpresa del Likud del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, nelle elezioni anticipate del 17 marzo scorso sembrava avere spianato la strada all’agevole formazione di un solido governo di coalizione a Tel Aviv. Dopo 42 giorni di negoziati, invece, il premier è riuscito a mettere assieme il suo quarto esecutivo letteralmente a pochi minuti dalla scadenza del mandato esplorativo assegnatogli dal presidente di Israele, oltretutto con una maggioranza nella nuova Knesset (Parlamento) di un solo seggio.

I guai per Netanyahu erano arrivati ad inizio settimana, quando il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, del partito ultra-nazionalista Yisrael Beitenu, aveva annunciato l’intenzione di non far parte del nascente governo.

Se il primo ministro sembrava fino ad allora poter contare su una coalizione che gli garantiva una maggioranza di 67 seggi, sui 120 totali, dopo la rottura con Lieberman si è ritrovato con sei seggi in meno su cui fare affidamento e la prospettiva di creare un gabinetto estremamente debole.

La decisione di Lieberman è stata probabilmente presa in maniera calibrata per infliggere il maggior danno possibile a Netanyahu, il quale, a nemmeno due giorni dall’ultima data utile per la formazione del governo, non ha potuto far altro che ripiegare sulla risicata maggioranza rimastagli.

Fin dalla chiusura delle urne a marzo, in realtà, molti avevano ipotizzato la possibilità di un governo di “unità nazionale” con l’Unione Sionista di centro-sinistra, nonostante le ripetute smentite del suo leader, Isaac Herzog, ma i tempi ristrettissimi a disposizione di Netanyahu per avviare eventuali trattative hanno escluso questa ipotesi. L’Unione Sionista è un’alleanza politica formata alla vigilia del voto tra il Partito Laburista e Hatnuah (“Il Movimento”) del più volte ministro Tzipi Livni.

Con l’uscita di scena di Lieberman, l’unica forza politica in grado di scongiurare una clamorosa rinuncia al mandato per la formazione del governo da parte di Netanyahu è diventata HaBayit HaYehudi (“Casa Ebraica”), il partito religioso di estrema destra del ministro dell’Economia, Naftali Bennett.

In precedenza, Netanyahu aveva già siglato un accordo di governo con il partito di centro-destra Kulanu (“Tutti Noi”) dell’ex compagno di partito, Moshe Kahlon, e con due formazioni ultra-ortodosse, Shas e Giudaismo Unito della Torah. Oltre ai 30 seggi del Likud, questi tre partiti ne portano in dote a Netanyahu altri 23 che, con gli 8 di HaBayit HaYehudi, fanno appunto registrare un totale di 61.

Bennet ha puntualmente sfruttato la situazione di emergenza in cui si è venuto a trovare Netanyahu per estrarre importanti concessioni in cambio del sostegno al governo. Il suo partito avrà il ministero dell’Educazione, che andrà allo stesso Bennett, e quello della Giustizia, occupato dal suo vice, Ayelet Shaked.

“Casa Ebraica” otterrà inoltre la posizione di vice-ministro della Difesa, carica che presiede alle operazioni in Cisgiordania, con prospettive ben poco incoraggianti viste le attitudini di un partito che chiede un’ulteriore espansione degli insediamenti illegali e si dichiara contrario alla creazione di uno stato palestinese.

Il carattere reazionario di un governo che molti commentatori hanno definito come il più a destra della storia di Israele è confermato poi dalle concessioni già fatte da Netanyahu a Shas e Giudaismo Unito della Torah, come l’abrogazione dell’obbligo di leva per gli ultra-ortodossi e di altre iniziative di legge di impronta secolare che erano state adottate dal precedente gabinetto su impulso del partito centrista Yesh Atid dell’ex ministro delle Finanze, Yair Lapid.

A rappresentare la componente moderata del nuovo governo dovrebbe essere il partito Kulanu, ma il suo leader, che avrà l’incarico di ministro delle Finanze, ha promesso di concentrare i propri sforzi in ambito economico, mentre vari esponenti di spicco di questo movimento fondato lo scorso novembre sono ascrivibili alla fazione dei “falchi” per quanto riguarda le politiche relative alla “sicurezza” di Israele.

Vista la fragilità delle fondamenta su cui poggerà il quarto governo Netanyahu, la stampa israeliana e internazionale ha osservato che l’unica possibilità per evitare nuove elezioni nel breve periodo sarà tentare di allargare l’attuale maggioranza.

Lo stesso Netanyahu, nell’annunciare la nuova coalizione nella tarda serata di mercoledì, ha lasciato intendere che i suoi sforzi andranno precisamente in questa direzione. “Ho detto che 61 è un buon numero”, ha affermato il premier, prima di aggiungere però che “61 è soltanto l’inizio”.

I media di Israele sembrano essere certi che un serio tentativo per ampliare la maggioranza di governo verrà fatto dopo l’approvazione del bilancio per il 2016, prevista per la fine dell’estate. Il quotidiano Haaretz ha poi citato fonti anonime secondo le quali avrebbero già avuto luogo incontri tra esponenti del Likud e dell’Unione Sionista che vedono con favore la nascita di un governo di “unità nazionale”.

La principale formazione di opposizione, che vanta 24 seggi nella Knesset, avrebbe fissato alcuni paletti per garantire il proprio sostegno a Netanyahu, tra cui la ripresa dei negoziati con i palestinesi, l’estromissione di Naftali Bennett e del suo partito dalla coalizione e la creazione di un meccanismo per una leadership condivisa tra l’attuale primo ministro e Isaac Herzog.

Quest’ultimo e il suo entourage continuano però a escludere un accordo di questo genere, visto che rappresenterebbe un clamoroso voltafaccia rispetto a quanto sostenuto in campagna elettorale, con possibili ripercussioni negative al prossimo appuntamento con le urne.

Le circostanze della nascita del prossimo governo di Tel Aviv rivelano in ogni caso il profondo stato di crisi del sistema politico israeliano e, in particolare, della destra, nonostante la presunta forza di un Netanyahu che si appresta a diventare il primo ministro più longevo nella storia del suo paese.

Ciò appare tanto più evidente se si considera che lo stesso Netanyahu aveva sciolto anticipatamente il Parlamento lo scorso dicembre per mettere fine a un governo considerato cronicamente instabile e ottenere un mandato elettorale per crearne uno più solido.

La rottura di Avigdor Lieberman ha contribuito così a evidenziare la fragilità di Netanyahu e le difficoltà in cui si dibatte la classe politica israeliana. Come ha sostenuto qualche giorno fa l’editorialista israeliano Ben Caspit, lo schiaffo dell’ex ministro degli Esteri a Netanyahu potrebbe essere motivato dalla tradizionale rivalità tra i due leader o da ragioni più o meno personali.

Come ad esempio il desiderio di Lieberman di vendicarsi sul premier per il presunto ruolo avuto da quest’ultimo nel favorire un’indagine su alcuni membri del partito Yisrael Beitenu, accusati di corruzione poco prima delle elezioni.

Tuttavia, dietro alla mossa di Lieberman sembra esserci un preciso calcolo politico, legato proprio alla crisi della governance in Israele, accentuata dalle esplosive disuguaglianze sociali e dal crescente isolamento di un paese che agisce regolarmente al di fuori delle norme del diritto internazionale.

Lieberman, le cui ambizioni a diventare prima o poi capo del governo sono note da tempo, ha in definitiva scelto di sganciarsi da Netanyahu, assestandogli nel contempo un grave colpo politico, per evitare di essere trascinato nel declino della destra dominata dal Likud, di cui lo stesso primo ministro è il primo responsabile, e costruirsi un percorso autonomo verso il potere, sia pure sulle stesse fondamenta ideologiche che hanno guidato il suo ormai ex alleato.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy