Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

La pesantissima sconfitta patita dal Partito Laburista britannico nelle elezioni di giovedì scorso ha provocato le prevedibili dimissioni del suo leader, Ed Miliband, scatenando immediatamente la corsa alla successione. Per dare un’idea del livello del dibattito interno al partito cui la Gran Bretagna assisterà a breve, nei giorni successivi alla chiusura delle urne un coro di voci ha chiesto il ritorno ai valori “centristi” e alle strategie del “New Labour” di Tony Blair, visto che la punizione impartita dagli elettori sarebbe dovuta a un eccessivo spostamento a sinistra sotto la guida di Miliband.

Personalità profondamente screditate come lo stesso Blair hanno fatto ritorno sui media d’oltremanica per dare lezioni alla leadership laburista uscente sulla linea politica da tenere per risollevare il partito. L’ex premier e potenziale criminale di guerra ha fatto appello in prima persona alla necessità di “rioccupare il centro della politica britannica”, ovvero di fare del “Labour” un partito di destra non solo nel programma ma anche nella retorica, tornando così a promuovere un’agenda apertamente “pro-business” e i propositi di “riforma” (distruzione) del settore pubblico.

La stessa interpretazione del rovescio elettorale laburista è stata data da uno degli architetti del “New Labour”, l’ex ministro per le Attività Produttive, Peter Mandelson, secondo il quale il partito ha sbagliato nel presentarsi in campagna elettorale “a favore dei poveri” e contro i ricchi, “ignorando completamente quella vasta parte della popolazione che si trova nel mezzo”.

Il riferimento a una classe media trascurata nasconde in realtà un rimprovero per non avere corteggiato a sufficienza o non avere dato abbastanza rassicurazioni al business britannico circa l’affidabilità del Partito Laburista nel continuare il percorso intrapreso dai conservatori, anche di fronte a una forte opposizione popolare e alle crescenti tensioni sociali causate dalle politiche del governo.

L’elenco dei fautori del “New Labour” che hanno rialzato la testa in seguito al fallimento della dirigenza Miliband include molti nomi, da Alan Johnson a Ben Bradshaw fino all’ex Cancelliere dello Scacchiere (Ministro delle Finanze), Alistair Darling.

Per quest’ultimo, sarebbe stato un errore anche ripudiare l’esperienza dei 13 anni di governo di Blair e Gordon Brown, come ha fatto Miliband. Darling ha tralasciato però di ricordare come i laburisti furono sonoramente sconfitti anche nelle elezioni del 2010 sull’ondata di repulsione per le politiche ultra-liberiste e guerrafondaie dei due ex primi ministri che egli stesso vorrebbe ora rilanciare per il partito.

Questo punto di vista è stato adottato anche da uno dei presunti favoriti per la successione a Miliband, il 36enne di origine nigeriana Chuka Umunna, già osannato da parte della stampa britannica come “l’Obama laburista”. In un articolo firmato da egli stesso e apparso domenica sul Guardian, il ministro-ombra per le Attività Produttive ha affermato che il partito ha “parlato alla nostra base elettorale ma non all’ambiziosa classe media”, dando così l’impressione di “non essere dalla parte di coloro che se la stanno cavando bene”.

L’analisi della sconfitta fatta da Umunna rivela in maniera esemplare il processo di spostamento a destra attraversato dal Partito Laburista britannico. A differenza di quanto sostenuto dall’astro nascente del “Labour”, gli elettori hanno voltato le spalle al partito non perché troppo a sinistra, bensì precisamente per la virtuale indistinguibilità di esso dai conservatori, tanto più dopo il decennio a guida Tony Blair.

Il tentativo di Miliband di dare un’immagine di “sinistra” al suo partito nel pieno dell’orgia neo-liberista avanzata dal governo di coalizione conservatore-liberaldemocratico non ha convinto in nessun modo l’elettorato teoricamente di riferimento dei laburisti e ha prodotto un risultato ancora peggiore rispetto alle precedenti elezioni.

Gli sforzi per mascherare questa realtà sono significativamente evidenti nella ragione fornita per spiegare il dilagare del Partito Nazionale Scozzese (SNP) che in Scozia ha quasi completamente spazzato via i laburisti. Lo stesso Umunna, come la gran parte dei media e dei politici britannici, ha infatti attribuito questo fenomeno alla crescita di un sentimento nazionalista con “profonde radici culturali”.

Molto più semplicemente, l’SNP ha capitalizzato una campagna elettorale basata su un appello marcatamente anti-austerity, sia pure quasi esclusivamente retorico, al contrario di Miliband e i laburisti che si sono limitati tutt’al più a promettere un alleggerimento delle devastanti politiche anti-sociali dei “Tories”, pur impegnandosi a mantenere una condotta “responsabile” sulle questioni di bilancio.

I laburisti, in sostanza, hanno cercato di cavalcare in maniera decisamente limitata il malcontento verso il governo tra le classi più disagiate che hanno pagato le politiche di austerity di questi anni, pur mettendosi in competizione con i conservatori nel garantire la prosecuzione del rigore, in modo da ingraziarsi gli ambienti della City che, peraltro, hanno continuato a puntare su Cameron.

Le ragioni del rovescio decretato dalle urne per il “Labour” sono così sostanzialmente simili a quelle che hanno determinato la quasi estinzione politica del Partito Liberal Democratico britannico. I “Lib-Dem”, solitamenti accreditati di posizioni relativamente più a sinistra dei labursiti, hanno pagato a carissimo prezzo la partecipazione al governo guidato dai conservatori in questi cinque anni, vedendo ridotta la propria delegazione al parlamento di Londra a una manciata di deputati contro i 57 conquistati nel 2010.

Per quanto riguarda la successione a Ed Miliband, in ogni caso, i media britannici hanno snocciolato vari nomi di probabili candidati. Per il Daily Telegraph, ad esempio, oltre al già citato Chuka Umunna i favoriti sarebbero il ministro-ombra della Sanità, Andy Burnham, il ministro-ombra dell’Interno nonché moglie del trombato di lusso Ed Balls, Yvette Cooper, e Dan Jarvis, ex ufficiale delle forze speciali considerato come possibile opzione al di fuori dell’establishment tradizionale del partito. Alla competizione parteciperà inoltre anche Liz Kendall, 43enne ex ministro-ombra della Sanità e fedelissima di Tony Blair.

In aggiunta, scrive sempre il Telegraph, ci potrebbero essere svariati altri candidati con pochissime chances di successo ma che parteciparanno alla corsa per la guida del partito solo per mettersi in luce e ottenere uno degli incarichi nel governo-ombra una volta insediata la nuova leadership.

Al di là delle posizioni propagandate dagli aspiranti leader laburisti, l’esito della sfida interna che sta per prendere il via risulterà con ogni probabilità in un ulteriore spostamento a destra del baricentro del partito e, di conseguenza, anche del panorama politico britannico.

Ciò sembra essere confermato dalle intenzioni di uno dei favoriti, Andy Burnham, 45enne con origini nella “working-class” dei sobborghi di Liverpool. Burnham è considerato tra gli esponenti della “sinistra” laburista, tuttavia, secondo i suoi alleati nel partito, la sua campagna per la leadership si baserà su un’agenda “inclusiva”, cioè su un appello al business in pieno stile “New Labour”.

I tempi per il procedimento che porterà alla sostituzione del dimissinario Miliband e della sua vice, Harriet Harman, verranno decisi dal Comitato Nazionale Esecutivo del partito che prevede di riunirsi già all’inizio della prossima settimana.

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