USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

L’anniversario dell’uccisione del 18enne di colore Michael Brown da parte di un agente della polizia di Ferguson, nel Missouri, ha innescato a partire dallo scorso fine settimana nuove manifestazioni di protesta nella cittadina alla periferia di St. Louis. Le dimostrazioni contro l’impunità garantita ai membri delle forze dell’ordine responsabili di violenze ai danni della popolazione sono rapidamente sfociate in scontri con la polizia, spingendo lunedì il “county executive” della contea di St. Louis a dichiarare lo stato di emergenza preventivo.

A surriscaldare ulteriormente gli animi è stato il ferimento sempre da parte della polizia di un altro giovane afro-americano nella serata di domenica in circostanze poco chiare. Secondo le autorità, il 18enne Tyrone Harris faceva parte di un gruppo di persone che aveva aperto il fuoco sulla polizia durante una delle manifestazioni pacifiche andate in scena nel week-end.

Gli eventi di queste ore a Ferguson hanno puntualmente riproposto le immagini viste in numerose occasioni durante gli ultimi dodici mesi, caratterizzati da proteste in varie città d’America contro la brutalità della polizia e il degrado economico e sociale in cui è costretta a vivere buona parte della popolazione americana, non solo di colore.

Le forze di polizia sono infatti intervenute in assetto da guerra per disperdere i manifestanti in larghissima misura pacifici, contro i quali hanno usato gas lacrimogeni e pallottole di gomma. Gli arresti sono stati finora più di cento, mentre lo stato di emergenza ha assegnato poteri ancora maggiori ai vertici della polizia della contea di St. Louis per le operazioni in corso a Ferguson, dove sono giunti rinforzi dalle città circostanti.

In maniera inquietante anche se non inedita, lo stato di emergenza decretato dal direttore amministrativo della stessa contea, Steve Stenger, servirebbe a “prevenire crimini”, nonché “danni alle persone e alle proprietà”. Se si pensa che le proteste di questi giorni sono state in gran parte pacifiche e gli episodi di violenza provocati proprio dalla polizia, è facile comprendere il carattere fortemente anti-democratico del provvedimento.

Un’identica dichiarazione dello stato di emergenza preventivo, assieme alla mobilitazione della Guardia Nazionale, era stata peraltro annunciata lo scorso mese di novembre dal governatore democratico del Missouri, Jay Nixon, poco prima che un “Grand Jury” rendesse nota la propria decisione di non incriminare l’agente responsabile della morte di Michael Brown.

Per quanto riguarda il ferimento di Tyrone Harris nel fine settimana, la famiglia di quest’ultimo ha duramente smentito la ricostruzione ufficiale dei fatti proposta dalla polizia. Il giovane manifestante, secondo il padre, era cioè disarmato e stava partecipando a una veglia per ricordare la morte dell’amico Michael Brown.

Due testimoni avrebbero riferito che Harris era stato coinvolto in una disputa tra due gruppi di giovani e, quando i membri di uno di questi ultimi si erano messi a sparare, aveva cercato di mettersi al riparo. A questo punto la polizia avrebbe aperto il fuoco, colpendo Harris tra le otto e le dodici volte.

Per la polizia, al contrario, il giovane era armato ed era una delle sei persone che avevano sparato nella tarda serata di domenica. Dopo avere tentato la fuga, Harris sarebbe stato raggiunto da un’auto senza insegne della polizia con a bordo quattro agenti in borghese.

Lo stesso Harris avrebbe allora fatto fuoco sul veicolo e i suoi occupanti si sarebbero messi all’inseguimento a piedi sparando al giovane e ferendolo in maniera grave. Nessuno dei quattro agenti ha invece riportato ferite in seguito alla presunta sparatoria.

Il padre di Harris ha contestato che il figlio fosse in possesso di una pistola calibro 9, come affermato dalla polizia, visto che a suo dire sull’arma non sarebbero state trovate le sue impronte digitali. I quattro agenti che hanno inseguito Harris non indossavano microcamere né una normale videocamera era installata sulla loro auto, come previsto dalla legge.

Attualmente ricoverato in condizioni critiche, Tyrone Harris è stato incriminato lunedì con dieci capi d’accusa, mentre i quattro agenti che lo hanno colpito sono stati sospesi.

Il degenerare della situazione a Ferguson non è stato ad ogni modo casuale né inaspettato, visto che è dovuto interamente alla reazione preparata dalle forze di polizia a manifestazioni pacifiche e animate dal desiderio di commemorare la morte di Michael Brown. Come è ormai consueto per la polizia delle città americane, gli agenti dispiegati per il controllo dell’ordine nella cittadina del Missouri erano equipaggiati in maniera pesante e supportati da veicoli da guerra.

La militarizzazione delle forze di polizia americane è perfettamente coerente con il livelli di violenza che le caratterizza. Michael Brown è stato infatti solo una delle oltre 1.100 vittime della polizia nel 2014, mentre dal primo gennaio al 10 agosto di quest’anno i morti per mano di agenti delle forze dell’ordine negli Stati Uniti, secondo il sito web killedbypolice.net, sono stati ben 720.

I poliziotti incriminati o, tantomeno, condannati per questi omicidi sono stati al massimo una manciata negli ultimi anni, visto che i loro superiori, i politici e la giustizia USA continuano a fare di tutto per garantire loro la più o meno totale impunità.

Parallelamente, il governo di Washington, oltre a condurre una politica estera criminale e violenta che si riflette inevitabilmente sul fronte domestico, opera un programma di forniture di equipaggiamenti militari destinati ai dipartimenti di polizia locale negli Stati Uniti, tanto che molti di questi ultimi assomigliano sempre più a reparti dell’esercito incaricati di reprimere manifestazioni di protesta e altre forme di dissenso pacifiche contro il sistema.

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