Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

Con un’iniziativa di grande coraggio, i dipendenti di Fiat-Chrysler (FCA) negli Stati Uniti hanno respinto in maniera molto netta il nuovo contratto di lavoro recentemente negoziato tra la dirigenza della compagnia e il sindacato autombilistico UAW. La bocciatura potrebbe segnare una tappa importante nella mobilitazione dei lavoratori americani in questo settore dopo decenni di sconfitte e pesanti concessioni, anche se i vertici del sindacato sono già al lavoro per aggirare l’opposizione incontrata nelle fabbriche e far digerire un contratto che soddisfi, in primo luogo, le esigenze dell’azienda.

La proposta di contratto era stata annunciata a metà settembre nel corso di un’eccezionale conferenza stampa congiunta tra l’amministratore delegato di FCA, Sergio Marchionne, e il presidente di UAW, Dennis Williams. In quell’occasione, entrambi avevano sottolineato come l’azienda e il sindacato avessero una visione sostanzialmente identica e, evidentemente, divergente da quella dei 36 mila dipendenti.

Il contratto era stato poi sottoposto ai leader delle sezioni locali del sindacato e il voto tra i lavoratori organizzato in fretta e furia, in modo da impedire una lettura integrale del testo e l’allargarsi del dibattito sui contenuti.

Nelle ultime due settimane, però, i lavoratori di un impianto dopo l’altro in tutti gli Stati Uniti hanno sonoramente bocciato il contratto promosso da UAW, sia pure di fronte alle pressioni dello stesso sindacato, dei vertici dell’azienda, dei politici e dei media ufficiali. I dati definitivi sono stati diffusi giovedì. I “no” sono stati complessivamente il 65%, anche se in alcune fabbriche la percentuale ha superato agevolmente il 70% e in almeno due casi addirittura l’80%.

Soltanto in pochissimi impianti a prevalere è stato il “sì”, tra cui uno solo tra quelli ritenuti più importanti, il Warren Truck, nell’area metropolitana di Detroit. Qui, tuttavia, molti lavoratori hanno chiesto un riconteggio dopo avere denunciato scorrettezze nelle operazioni di voto.

Ad ogni modo, era dal 1982 che i lavoratori di Fiat-Chrysler e, in precedenza, di Chrysler, non respingevano un contratto negoziato da UAW. Già nel 2011, peraltro, gli operai specializzati di Chrysler avevano bocciato la proposta di contratto ma il sindacato, andando contro le sue stesse regole, aveva deciso ugualmente la ratifica.

L’esito registrato quest’anno è l’inevitabile risultato dei malumori diffusi tra la grande maggioranza degli iscritti dopo anni in cui UAW ha collaborato con l’azienda nell’implementare condizioni di lavoro sempre più dure, così come ripetuti attacchi alla sicurezza economica e alla certezza di una dignitosa copertura sanitaria.

Inoltre, i lavoratori di FCA, ma anche quelli di Ford e General Motors (GM), non vedono un adeguamento dei loro stipendi da un decennio, nonostante le tre compagnie siedano su una montagna di profitti dopo la ristrutturazione promossa dall’amministrazione Obama nel 2009.

La bocciatura del contratto è dunque la conseguenza di una serie di fattori che hanno contribuito al peggioramente delle condizioni di vita dei lavoratori, non solo nel settore dell’auto. I giornali americani hanno però evidenziato come a far pendere l’ago della bilancia per il “no” sia stato il mancato rispetto della promessa, fatta da UAW nel 2011, di mettere un tetto al numero di lavoratori con il livello più basso di retribuzione.

In FCA, in particolare, questi ultimi costituiscono ben il 40% della forza lavoro e percepiscono tra i 16 e i 18 dollari l’ora, contro i 28,5 di quelli in azienda da prima del 2007. Nel contratto da poco negoziato, UAW e FCA si erano accordati per un percorso pluriennale per portare gradualmente gli stipendi più bassi a un massimo di 25 dollari, senza eliminare l’odiato sistema dei “due livelli” ma, di fatto, istituendone un altro con vari livelli retributivi.

L’altra questione scottante prevista dal nuovo contratto e fortemente avversata dai lavoratori è poi la fine dell’assistenza sanitaria garantita dall’azienda. FCA e UAW avevano concordato un piano per il trasferimento di tutti i lavoratori su un fondo cooperativo gestito dal sindacato stesso e che da qualche tempo offre l’assistenza sanitaria ai pensionati del settore automobilistico.

Questa soluzione, che comporta un aumento delle spese sostenute dai lavoratori e un peggioramento di quantità e qualità delle cure, è particolarmente gradita all’azienda, poiché permetterebbe di risparmiare sensibilmente sui costi sanitari per i dipendenti.

Tanto più che la riforma sanitaria di Obama prevede a breve una super-tassa a carico delle aziende sui cosiddetti piani assicurativi “Cadillac”, ovvero quelli più costosi ma che, in realtà, forniscono ai lavoratori e alle loro famiglie nient’altro che coperture adeguate.

Ancora, se il nuovo contratto prevede una generica promessa da parte di FCA di investire 5,3 miliardi di dollari negli impianti in territorio americano nei prossimi cinque anni, a prevalere sono state le giustificate preoccupazioni per i progetti dichiarati dell’azienda di stravolgere le linee di produzione in varie fabbriche, con la minaccia di trasferire alcuni modelli in Messico.

I lavoratori hanno così rimandato al mittente la proprosta di contratto, facendo prevalere la solidarietà e il desiderio di lottare per condizioni complessivamente migliori su incentivi offerti per piegare la loro resistenza. Tra di essi ci sono un bonus di tremila dollari legato alla ratifica del contratto e altre somme una tantum vincolate al raggiungimento di obiettivi di qualità e produzione, nonché ai profitti dell’azienda.

Senza dubbio scosso dal risultato del voto, il presidente di UAW, Dennis Williams, ha incontrato giovedì i rappresentanti sindacali delle varie fabbriche FCA per pianificare le prossime mosse. A detta degli osservatori, sarebbero possibili tre opzioni: il ritorno al tavolo delle trattative con Marchionne, la proclamazione di uno sciopero per fare sfogare la rabbia dei lavoratori o il congelamento dell’accordo con FCA per passare al negoziato con Ford o GM.

In tutti e tre i casi, l’intenzione di UAW non è in nessun modo quella di ottenere un contratto sensibilmente migliore, bensì di conquistare un qualche spazio di manovra per forzare un nuovo voto e ottenere un’approvazione tramite un mix di intimidazioni, minacce di chiusure e licenziamenti, propaganda e, tutt’al più, qualche concessione trascurabile.

Il negoziato con Ford e GM potrebbe in particolare produrre un contratto leggermente più favorevole ai lavoratori, viste le migliori condizioni economiche di queste due compagnie rispetto a FCA e il numero minore di dipendenti al livello retributivo più basso di cui dispongono.

In ogni caso, numerosi editoriali apparsi nei giorni scorsi sui giornali “mainstream” d’oltreoceano hanno mostrato sorpresa se non sbalordimento per la presa di posizione dei lavoratori contro UAW. In particolare, l’apprensione riguarda il possibile contagio della rivolta contro UAW ai lavoratori di Ford e GM e, più in generale, per la crescente incapacità da parte dei sindacati di svolgere le funzioni a loro assegnate nel sistema capitalistico e che consistono nel contenimento del conflitto sociale e nel dissipare le resistenze all’implementazione delle decisioni di azionisti e dirigenti.

Il quotidiano Detroit News, ad esempio, ha riassunto l’attitudine della classe dirigente USA verso i dipendenti dell’industria automobilistica, messi in guardia dal fare “richieste eccessive”. Williams, al contrario, avrebbe compreso come la soluzione più idonea alla questione del contratto, “senza mettere l’azienda a rischio”, sia “un aumento moderato degli stipendi unito alla condivisione dei profitti”.

Dove UAW avrebbe sbagliato, in definitiva, non è nell’assecondare sostanzialmente le esigenze dei vertici della compagnia contro gli interessi dei suoi iscritti, ma nell’avere orchestrato un’inefficace operazione di propaganda per “vendere” l’accordo, lasciando spazio agli oppositori che hanno dominato il dibattito, specialmente sui social media.

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