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di Michele Paris

Da almeno un decennio, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti opera in maniera sostanzialmente segreta un programma per l’utilizzo di velivoli senza pilota (droni) sul territorio americano. La notizia è trapelata la scorsa settimana in seguito all’accoglimento di una richiesta presentata dalla Federazione degli Scienziati Americani in base a quanto previsto dalla legge sulla Libertà di Informazione.

La rivelazione del dispiegamento di droni, con compiti di monitoraggio e non solo, da parte del Pentagono è contenuta in un rapporto sull’argomento, stilato lo scorso anno dall’ufficio del cosiddetto “ispettore generale” del Dipartimento della Difesa, ovvero l’organo indipendente incaricato di sorvegliare i programmi e le operazioni dei militari negli USA.

Il rapporto non chiarisce del tutto le modalità dell’impiego dei droni del Pentagono sul fronte domestico, ma indica “meno di venti” occasioni in cui questi velivoli sono stati richiesti tra il 2006 e il 2015 da altre agenzie governative e da autorità locali o federali. Non in tutti i casi le richieste sono state approvate.

Delle richieste accolte ne vengono elencate e spiegate nove, sei delle quali relative all’ultimo anno, a conferma del sempre più frequente ricorso ai droni negli Stati Uniti. In alcuni casi, i droni sono stati utilizzati nel corso di disastri naturali, come inondazioni, mentre altre volte hanno preso parte a esercitazioni, sempre per far fronte a catastrofi ambientali, così da testare il livello di coordinamento tra i militari e agenzie o forze dell’ordine locali, statali e federali.

Le conclusioni del rapporto dell’ispettore generale del Pentagono sono prevedibilmente rassicuranti, visto che l’uso dei droni sarebbe avvenuto nel pieno rispetto della legge. Le ragioni del programma avrebbero poi ufficialmente a che fare esclusivamente con la protezione e la sicurezza dei cittadini americani.

Le recenti rivelazioni sui droni rappresentano piuttosto un altro passo nel processo di rafforzamento dei poteri di controllo sulla popolazione da parte del complesso della sicurezza nazionale negli Stati Uniti. Per quanto riguarda i velivoli senza pilota, il programma dei militari si aggiunge inoltre a quelli già noti dell’FBI e di altre agenzie governative.

L’impiego dei droni descritto nel rapporto in questione, se anche dovesse essere avvenuto finora nei limiti indicati, è con ogni probabilità solo un’anticipazione di quanto potrebbe accadere nel prossimo futuro. Già nel 2012, ad esempio, un rapporto del Pentagono destinato al Congresso di Washington indicava più di cento basi adatte a ospitare droni militari sul territorio americano. In maniera inquietante, la ragione principale di questa possibile espansione era la necessità di addestrare piloti a distanza, visto il crescente utilizzo di droni all’estero nell’ambito del programma di assassini mirati del governo.

Il rapporto reso noto nei giorni scorsi ripropone poi la legittimità delle operazioni militari all’interno degli Stati Uniti, di fatto proibite dal Posse Comitatus Acts del 1878. La legge originale prevedeva in realtà alcune eccezioni e le amministrazioni Bush e Obama ne hanno poi ulteriormente indebolito il dettato. Come nel 2002, quando per la prima volta in assoluto era stato creato un Comando Settentrionale, responsabile delle operazioni militari in territorio USA, sia pure a “sostegno” delle autorità civili. Proprio a questo Comando fu attribuita nel 2006 la responsabilità di promuovere la cooperazione dei militari con le agenzie domestiche, all’interno della quale vi era appunto l’incoraggiamento all’utilizzo dei droni sul fronte domestico.

Le norme che dovrebbero ispirare questa collaborazione sono descritte in un apposito programma, denominato “Defense Support of Civilian Authorities” (DSCA), il quale prevede l’intervento dei militari negli USA, tra l’altro, in caso di “emergenze” o “eventi speciali”.

Il collegamento a “emergenze” relative a episodi di “terrorismo” è evidente e, per quanto riguarda i droni, va ugualmente riferito ai precedenti dell’amministrazione Obama in questo ambito. Secondo il parere legale del Dipartimento di Giustizia, il presidente degli Stati Uniti ha infatti la facoltà di ordinare l’eliminazione fisica, in qualsiasi parte del pianeta e senza alcun procedimento giudiziario, di chiunque venga considerato come una minaccia.

Se al momento non vi sono prove di pareri legali o prese di posizione ufficiali di esponenti del governo circa la validità di questa politica sul territorio americano, nel 2013 l’allora ministro della Giustizia, Eric Holder, in una lettera indirizzata a un senatore Repubblicano non si era sentito di escludere la possibilità che il presidente, “in circostanze eccezionali”, avesse il potere di “autorizzare l’uso della forza militare in maniera letale” anche all’interno degli Stati Uniti.

Svariati giornali americani hanno provato ad assicurare che le regole stabilite dal Pentagono forniscono garanzie sufficienti a evitare abusi circa l’impiego dei droni sul suolo statunitense. Ad autorizzare eventuali missioni con scopi di sorveglianza o per altre ragioni deve essere ad esempio il segretario alla Difesa, mentre gli stessi velivoli senza pilota non possono essere dotati di armi, a meno che le operazioni non siano di prova o di addestramento.

Queste norme sono però prodotte internamente al Dipartimento della Difesa e non sono sanzionate da una legge del Congresso, essendo quindi esposte ad agevoli variazioni. Sul fronte legale, in ogni caso, la direzione intrapresa da Washington in questo ambito prefigura un’ulteriore erosione dei diritti democratici e della privacy dei cittadini.

Le conseguenze dell’integrazione tra militari e agenzie domestiche negli Stati Uniti, infine, si sono già potute osservare in varie occasioni negli ultimi anni, segnati da una deriva marcatamente repressiva. Le forze di polizia locali sono state infatti fornite di equipaggiamenti militari provenienti dal Pentagono e impiegati solitamente in teatri di guerra.

Con questi mezzi a disposizione, le forze dell’ordine sono intervenute in varie occasioni per soffocare manifestazioni di protesta, come nei casi di Ferguson, nel Missouri, o di Baltimora, dopo gli omicidi di cittadini di colore disarmati commessi da agenti di polizia. In entrambi i casi, il governo aveva impiegato dei droni con funzioni di sorveglianza, così come contro i manifestanti era intervenuta la Guardia Nazionale, ovvero la forza fatta di riservisti sotto il comando del Dipartimento della Difesa.

Proprio questi eventi hanno chiarito come le misure di rafforzamento dell’apparato della sicurezza nazionale USA da oltre un decennio e la crescente militarizzazione delle agenzie operanti sul suolo domestico non sono rivolte tanto a contrastare la minaccia del terrorismo, quanto a soffocare agitazioni e possibili rivolte in un paese segnato sempre più da tensioni sociali pronte a esplodere in qualsiasi momento.