Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Fabrizio Casari

Con una distanza di quattro punti percentuali, la Gran Bretagna si concede una distanza definitiva dall’Unione Europea. A determinare la vittoria della Brexit sono stati gli elettori inglesi (in particolare quelli dei piccoli centri e delle campagne), mentre in Scozia e Irlanda ha prevalso il Remain. La specificazione non è un mero dettaglio, dal momento che Edimburgo è già intenzionata a riproporre il referendum sull’uscita dal Regno Unito, proprio con l’intenzione di non voler uscire dalla Ue.

Per alcuni analisti, l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue è l’inizio della fine della UE e, contemporaneamente, anche della stessa Gran Bretagna, ma qui siamo sul terreno delle ipotesi futuribili.

Le conseguenze immediate sono state politiche, con le annunciate dimissioni di Cameron e l’indizione di elezioni il prossimo ottobre; e qui invece si apre uno scenario inquietante, vista l’inconsistenza dei Laburisti e la crescita esponenziale di Farage. Sul piano finanziario la reazione era quella che si prevedeva. Nonostante, infatti, le rassicurazioni di prassi fornite dalle rispettive banche centrali e dai diversi governi, le piazze finanziarie europee sono andate in apnea. Mercati azionari mai così in basso, tracollo delle borse, sterlina ai minimi storici, panico generalizzato nella comunità degli affari. E meno male che si diceva che era tutto sotto controllo.

Va detto che l’uscita della Gran Bretagna dalla UE è una sconfitta per Bruxelles e Berlino oltre che per Londra. La quale, seppure dovrà rinunciare alle clausole commerciali favorevoli tra i paesi membri della UE, avrà mano libera negli scambi con Cina e Russia, oltre che con gli USA, con i quali da sempre ha un rapporto privilegiato. Sarà tutto da dimostrare se sul breve e medio termine non ne ricavi benefici maggiori rispetto ad oggi.

L’Unione Europea, che perde volumi di stati, superficie, popolazione e PIL, subirà un impatto relativo sul piano della stabilità monetaria, dal momento che Londra non era parte dell’Unione Monetaria. Ma sebbene il Regno Unito sia sempre stato un membro particolare della UE, per storia, cultura, modello politico e alleanza militare, indissolubilmente legato agli Stati Uniti più che alla Commissione Europea, non vi sono dubbi che l’aspetto politico rappresenta uno schiaffo violento per la UE.

Il voto della Gran Bretagna è certamente espressione di una vocazione isolazionista che mal digerisce l'idea dell'integrazione europea. Non c'è dubbio che il populismo di destra è riuscito ad intercettare il malessere sociale e veicolarlo contro la dimensione continentale. Ma, parallelamente, non vi sono dubbi che sia anche indicativo di come l'attuale disegno europeo risulti inadeguato e a tratti ostile. La UE ha abbandonato da anni il sentimento federalista proposto dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli. I valori fondamentali che animavano un progetto continentale costruito su un modello socioeconomico includente ed alternativo al monetarismo, sono stati invertiti.

Il “modello renano”, sul quale si basava il progetto sociale europeo è stato seppellito proprio da quel monetarismo che si voleva contrastare e, in preda alle convulsioni isolazioniste dei suoi paesi membri nell’approccio ai grandi temi - dall’immigrazione al dumping sociale - il vecchio continente ha dimostrato solo la sua mancanza d’integrazione culturale e politica. Molti sono i punti dei trattati ignorati o addirittura stravolti in assenza di qualunque presa di posizione dell’Unione e, nello stesso tempo, nessun progetto unitario sul piano della politica estera e di difesa è mai stato prossimo alla costruzione. E sia chiaro: Londra, che oggi esce, è stata soggetto preminente di queste scelte, dunque nel voto sulla Brexit è implicito anche un voto sull’establishment britannico.

Dopo un decennio a trazione tedesca, che ha consentito per Berlino un costante surplus di bilancio ai danni degli altri paesi cui è toccato un surplus di crisi economica, la UE è stata incapace di proporre politiche di crescita, al punto di collocare l’eurozona agli ultimi posti al mondo per la capacità di recupero dei livelli pre-2008. La promessa di generazione di ricchezza diffusa è stata sostituita dalla più grande crisi continentale del mercato del lavoro degli ultimi sessant’anni, a fronte di un arricchimento sproporzionato della Germania, e le regolette sulla misura dei mitilli sono state avvertite come le uniche aree di competenza del Parlamento Europeo.

L’Unione Europea si è rivelata un club esclusivo di banchieri e burocrati, che con le politiche di austerity dall’evidente conseguenza recessiva hanno ridotto in pezzi l’identità sociale ed economica delle popolazioni. Per questo Bruxelles rappresenta oggi un governo ostile agli occhi dei 500 milioni di europei.

E non hanno certo giovato l’applicazione burocratica di norme e regolamenti che, indifferenti al senso delle proporzioni ed anche alla decenza, hanno aperto lo spazio europeo a paesi che, per proporzioni e peso specifico, non possono certo rappresentare i valori e principi su cui la UE venne costruita. Basti pensare all'Ungheria di Orban nelle vesti di presidente di turno della Ue o a Romania o Polonia, che dopo aver inondato di migranti l’intera Europa, rappresentano oggi la voce più intransigente contro l’immigrazione. Peraltro la connessione sentimentale della destra nostalgica con i populismi euroscettici trova proprio nel rifiuto dell'accoglienza dei migranti il cortocircuito decisivo. I festeggiamenti di oggi della Le Pen e camerati vari indicano come sia la distruzione dell'idea di Europa, più che della UE, l'obiettivo finale. E' quindi il momento d'invertire la rotta dell'Europa, prima che essa s'incagli definitivamente sugli scogli del nuovo fascismo.

Certo, si deve riconoscere che Khol e Mitterrand non hanno avuto eredi all’altezza: Merkel, Hollande o Junker - quest’ultimo poi rappresenta una banca off-shore che si fa stato - non sono certo assimilabili alla categoria degli statisti che servirebbero per affrontare una crisi di civiltà come quella che il mondo intero attraversa e che dei valori che indicarono l'unità continentale avrebbe più che mai bisogno. La guerra del capitale contro il lavoro, la progressiva caduta dei livelli di welfare che azzera ogni principio di perequazione interna, l’approfondirsi della contraddizione tra sviluppo e ambiente, i rigurgiti di ideologie autoritarie che si richiamano al nazifascismo e si diffondono in parte del continente, assumono il volto di un epoca buia. Proprio ora servirebbe più Europa.

L’Unione Europea, purtroppo, dichiara invece la sua incapacità di proporre un modello d’interpretazione della realtà e, presa dalla priorità assoluta delle politiche finanziarie, si dimostra incapace di assumere la sfida culturale e politica alle grandi incognite di inizio secolo e di prefigurarne uno sbocco progressista. Viene percepita come uno spazio angusto, soffocante, privo di spinta propulsiva, che mentre aumentano povertà, disoccupazione e disagio, imprigiona l'eurozona nei dettami ideologici dell'ultramonetarismo, che elegge a faro della sua identità il rigore di bilancio.

Per l’Europa, la Brexit può divenire l’occasione per ridurre il peso politico della Germania, unica possibilità di fermare l’effetto domino di una volontà di rottura con la UE che appare difficilmente arrestabile per quanto sbagliata. Serve più Europa proprio per ridisegnare un progetto diverso da quello applicato fino ad ora. Per Londra, in attesa di verificare quanto e come pagherà lo strappo, è il momento di ripetersi il loro vecchio detto che in caso di maltempo sulla Manica, recita: “Il continente è isolato”.

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