USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

La distanza tra i propositi dei governi e delle istituzioni europee sul trattamento dei migranti provenienti da paesi in guerra e le loro azioni è notoriamente abissale e un nuovo esempio dell’assenza di scrupoli in questo ambito si è avuto nei giorni scorsi durante la conferenza internazionale di Bruxelles sugli aiuti finanziari da destinare all’Afghanistan.

Nel corso del summit è emerso che l’Unione Europea ha imposto un accordo al governo di Kabul per costringerlo e ricevere un numero illimitato di migranti afgani, le cui richieste di asilo nel vecchio continente sono o saranno respinte. Se le autorità UE hanno smentito che dall’accordo di rimpatrio dei migranti dipenda lo stanziamento degli aiuti all’Afghanistan, quello che è accaduto a Bruxelles indica precisamente l’esistenza di questa sorta di ricatto nei confronti di Kabul.

Già la settimana scorsa, il Guardian aveva pubblicato un “memorandum” datato 3 marzo 2016 e indirizzato dalla Commissione Europea al Comitato dei Rappresentanti Permanenti sulla questione dei migranti afgani in vista del vertice di Bruxelles. In questo documento si diceva chiaramente come almeno una parte degli aiuti debba dipendere dalle “politiche del governo [afgano] sull’emigrazione”, sui rimpatri e sull’implementazione dell’accordo, denominato “Joint Way Forward”.

Nello stesso memorandum si leggeva inoltre che lo stanziamento di fondi all’Afghanistan durante la conferenza “dovrebbe essere usato come incentivo… per l’adozione dell’accordo Joint Way Forward”. L’imposizione al governo di Kabul dell’accettazione di decine se non centinaia di migliaia di migranti, fuggiti dal paese in guerra, come condizione per l’erogazione di aiuti finanziari vitali è resa ancora più odiosa dal fatto che la stessa Unione Europea riconosce esplicitamente la gravità della situazione nel paese centro-asiatico.

Con oltre 196 mila domande nel 2015, quella afgana è la seconda nazionalità più numerosa tra i migranti richiedenti asilo in Europa. Il testo dell’accordo Afghanistan-UE non indica il numero dei rimpatri, ma stabilisce che ogni singolo volo diretto a Kabul con migranti deportati forzatamente non debba superare i 50 passeggeri.

Non ci sono tuttavia limiti al numero di voli che possono essere organizzati dagli aeroporti europei diretti in Afghanistan con questo carico. Le previsioni devono essere comunque per un flusso ingente, visto che allo studio ci sarebbe addirittura la costruzione di un terminal presso l’aeroporto internazionale di Kabul appositamente dedicato alla ricezione dei migranti rimpatriati.

L’accordo prevede la deportazione anche di donne e bambini, così come di afgani nati o cresciuti in paesi come Iran e Pakistan. Costoro, nel caso fossero deportati in Afghanistan, oltre ai pericoli legati alla guerra, si ritroverebbero in un paese che di fatto non conoscono e, senza contatti in una società estranea, a fare i conti con difficoltà enormi nel trovare una sistemazione e un lavoro per sopravvivere.

I dati relativi ai migranti afgani indicano che tra il 50 e il 60% delle richieste di asilo di coloro che sono giunti in Europa nel 2015 sono state respinte. Questi numeri danno l’idea della portata dei rimpatri che potrebbero iniziare a breve, mettendo con ogni probabilità in crisi un governo afgano che, ad esempio, nel corso del 2016 ha dovuto ricevere solo 5 mila migranti che hanno lasciato volontariamente l’Europa.

Gli stessi membri della delegazione afgana presenti a Bruxelles hanno lasciato intendere che l’accordo rientra in una sorta di scambio con l’UE per l’ottenimento di fondi destinati a integrare entrate domestiche che, secondo i dati della Banca Mondiale, ammontano ad appena il 10,4% del PIL.

L’UE non ha in ogni caso lasciato molta scelta al governo di Kabul, tanto che il ministro afgano per i rifugiati e i rimpatri, Sayed Hussain Alemi Balkhi, si sarebbe rifiutato di sottoscrivere personalmente l’accordo sulle deportazioni, lasciando il compito di firmarlo al suo vice. Per l’esperta dei fenomeni migratori di stanza a Kabul, Liza Schuster, non c’è stata poi nessuna trasparenza nei negoziati sul Joint Way Forward, né l’UE ha ritenuto di dovere consultare o informare organizzazioni che si occupano di migranti o di diritti umani.

Poco sorprendentemente, l’imbarazzante accordo non è stato discusso pubblicamente durante la conferenza di Bruxelles. Qui sono stati promessi 3,75 miliardi di dollari in aiuti per lo “sviluppo” dell’Afghanistan e il summit è stato caratterizzato da ridicoli interventi che hanno celebrato i presunti miglioramenti della situazione economica e della sicurezza nel paese occupato dal 2001.

Come ha ricordato giovedì il New York Times, mentre alla conferenza si discuteva dei miglioramenti dell’Afghanistan, nel paese “veniva messa in discussione anche la sola idea di poter mettere al sicuro [dalla guerriglia Talebana] anche i principali centri urbani”. Infatti, proprio nei giorni scorsi i Talebani avevano iniziato una nuova offensiva nel nord dell’Afghanistan, riprendendo temporaneamente il controllo della città di Kunduz che già era caduta nelle mani degli “insorti” dodici mesi fa.

Nella provincia meridionale di Helmand alcuni dei distretti che erano ancora nelle mani del governo sono stati inoltri conquistati dai Talebani. Ad oggi, questi ultimi controllano una porzione di territorio afgano mai così ampia dall’invasione americana nell’autunno di quindici anni fa.

L’accordo sui rimpatri con l’Afghanistan contraddice dunque tutti i principi stabiliti dall’Europa per garantire che i migranti non vengano rimandati in paesi dove la loro incolumità potrebbe essere messa a rischio. A ciò va aggiunto anche che la situazione economica di questo paese è a dir poco disastrata, con il dato ufficiale della disoccupazione, decisamente sottostimato, attorno al 35%.

L’Unione Europea e i governi che ne fanno parte non riconoscono tuttavia la legittimità di quelli che definiscono “migranti economici”, anche se la devastazione economica nei paesi d’origine è spesso o quasi sempre la diretta conseguenza delle politiche occidentali e, nel caso dell’Afghanistan, di un’invasione militare a cui in molti in Europa hanno partecipato.

L’intenzione di Bruxelles è quella di sfuggire alle proprie responsabilità e di limitare al massimo e in tutti i modi il numero di migranti presenti nel continente. L’accordo raggiunto o imposto all’Afghanistan rientra in una strategia inaugurata con il vergognoso trattato stipulato mesi fa con la Turchia, a cui sono stati promessi sei miliardi di euro in cambio della consegna dei rifugiati siriani giunti in Europa, senza alcun interesse per il loro trattamento.

In seguito sono stati studiati possibili ulteriori accordi per limitare i flussi migratori, anche con paesi i cui regimi sono notoriamente repressivi e vengono regolarmente condannati a livello internazionale, tra cui l’Etiopia e, addirittura l’Eritrea e il Sudan.

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