Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Mario Lombardo

Tre settimane dopo le dimissioni forzate del leader del Partito Socialista Spagnolo (PSOE), Pedro Sánchez, il “comitato federale” della principale forza di opposizione del paese iberico ha prevedibilmente deciso di assumersi la responsabilità di far nascere a Madrid un nuovo governo di minoranza guidato dal Partito Popolare (PP) di centro-destra dell’attuale primo ministro, Mariano Rajoy.

La presa di posizione dovrebbe mettere fine, almeno per il prossimo futuro, allo stallo politico che dura dalle elezioni del dicembre dello scorso anno, segnate dal tracollo del sistema bipartitico che ha caratterizzato la Spagna post-franchista. In quell’occasione, il PP aveva ottenuto il maggior numero di seggi alla Camera Bassa (Congresso dei Deputati), ma non a sufficienza per continuare a governare da solo.

L’impossibilità di mettere assieme una coalizione di governo aveva portato a un altro voto nel mese di giugno, ma i risultati erano stati sostanzialmente identici, nonostante un qualche incremento dei consensi per il PP e un ulteriore calo del PSOE. Da allora, quest’ultimo partito, reduce dalle due peggiori performance elettorali della propria storia, è stato attraversato da profonde divisioni interne circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di un possibile nuovo governo Rajoy.

L’ormai ex segretario Sánchez aveva resistito alle pressioni della fazione che spingeva per consentire la formazione di un gabinetto di minoranza attraverso l’astensione di almeno una parte della delegazione parlamentare Socialista. Anzi, Sánchez aveva accarezzato l’idea di formare un proprio esecutivo assieme al partito anti-establishment Podemos (Possiamo), sia pure con il necessario sostegno di altre forze politiche minori.

Le resistenze nel PSOE e l’oggettivo indebolimento di entrambi i partiti dopo il secondo voto a giugno avevano tuttavia allontanato questa ipotesi, aprendo la strada a un colpo di mano tra i vertici Socialisti, puntualmente accaduto a inizio ottobre. Con la regia dell’ex primo ministro Felipe González, la destra del PSOE, vale a dire la maggioranza negli organi dirigenziali, tramite una serie di dimissioni studiate a tavolino, aveva sfruttato le norme interne per forzare le dimissioni di Sánchez e impedirgli di sondare iscritti e sostenitori del partito sull’opportunità di far astenere i propri deputati in un voto di fiducia al governo Rajoy.

Il PSOE è stato così affidato a una leadership provvisoria, guidata dal numero uno dei Socialisti nelle Asturie, Javier Fernández, che ha convocato una riunione del comitato federale per domenica scorsa, risoltasi appunto con un voto a favore dell’astensione per consentire la nascita del nuovo esecutivo Rajoy. Il leader dei Popolari dovrebbe iniziare il suo nuovo mandato da capo del governo già nel fine settimana, appena prima cioè della data del 31 ottobre, oltre la quale sarebbe scattato un nuovo scioglimento del Parlamento.

Nel primo voto in aula, che richiede la maggioranza assoluta dei deputati, il premier non sarà in grado di ottenere la fiducia, ma al secondo tentativo sarà sufficiente la maggioranza dei votanti e l’astensione dei Socialisti dovrebbe chiudere formalmente la crisi spagnola.

La crisi del PSOE non si risolverà invece con la decisione dei propri vertici. Sondaggi e manifestazioni di protesta hanno chiarito in questi mesi come la maggioranza degli elettori di questo partito si opponga a qualsiasi collaborazione con il PP, inclusa l’astensione in un voto di fiducia.

Se è probabilmente vero che una terza elezione nell’arco di dodici mesi avrebbe punito ulteriormente i Socialisti, è altrettanto inevitabile che la decisione di domenica costerà cara a un partito che continua a perdere voti a causa del costante spostamento a destra delle proprie posizioni politiche. Proprio questa involuzione è da ricercare tra le ragioni della crisi del PSOE e della situazione inestricabile in cui si è venuto a trovare dopo le due elezioni inconcludenti degli ultimi dieci mesi.

Numerosi dirigenti locali del partito hanno messo in guardia dalla scelta di facilitare la nascita del governo Rajoy. Il leader Socialista catalano, Miquel Iceta, ha fatto riferimento agli episodi di corruzione che hanno coinvolto negli ultimi anni il PP, avvertendo che la “posizione [del PSOE] sarà seriamente danneggiata dall’astensione, soprattutto in assenza di un serio sforzo per formare un governo alternativo”.

Idoia Mendia, segretaria del Partito Socialista nei Paesi Baschi, ha invece fatto notare come il PSOE non abbia nemmeno ottenuto concessioni dal PP in cambio della propria disponibilità a consentire la formazione di un governo di minoranza.

Visti i numeri in parlamento del PP, il quale potrà contare sul sostegno del partito di centro-destra Ciudadanos (Cittadini), sarà sufficiente l’astensione di 11 deputati Socialisti, ma i vertici del PSOE intendono far astenere tutta la propria delegazione. Ciò potrebbe creare seri problemi a molti parlamentari del partito, come quelli che rappresentano la Catalogna, tra i quali pare sia addirittura possibile una scissione o il passaggio nelle fila di Podemos.

Proprio quest’ultima formazione intende capitalizzare al massimo la decisione del PSOE, così da ridurre l’impatto dei problemi interni che essa stessa sta attraversando dopo il risultato relativamente deludente fatto segnare nelle elezioni di giugno.

Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, e altri esponenti del partito hanno infatti già denunciato la nascita di una “grande coalizione” tra il PP e il PSOE, nella speranza di intercettare il maggior numero di elettori Socialisti in vista di un voto che potrebbe non essere comunque troppo lontano, vista l’inevitabile precarietà del gabinetto che sta per insediarsi.

L’astensione nel voto di fiducia in parlamento implica in ogni caso che il PSOE è pronto anche a sostenere alcune iniziative di legge del governo di centro-destra, malgrado il leader ad interim, Javier Fernández, abbia chiarito che non esiste alcuna alleanza con il PP. In un’intervista rilasciata un paio di settimane fa al quotidiano El País, Fernández aveva però spiegato come “opposizione non significhi sempre e necessariamente antagonismo”, bensì fare “ciò che è utile alla popolazione”.

Dove per “popolazione”, il leader Socialista intendeva i poteri forti dentro e fuori i confini spagnoli, vale a dire il vero motore della decisione del suo partito, impegnati da mesi a fare pressioni per favorire la nascita a Madrid di un governo di continuità in grado di proseguire e intensificare le politiche di austerity e di “riforma” del mercato del lavoro già implementate in questi anni da Rajoy e dal Partito Popolare.

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