Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Mario Lombardo

Da alcune settimane, un nuovo grave scandalo giudiziario sta sconvolgendo la politica della Corea del Sud, con la presidente del paese del nord-est asiatico, Park Geun-hye, sempre più vicina a essere clamorosamente rimossa dal proprio incarico. Il coinvolgimento della presidente in una vicenda legale fatta di estorsioni e pressioni indebite ai massimi livelli dello stato e dell’economia ha scatenato proteste con una partecipazione popolare mai vista nella storia sudcoreana, tanto da convincere il Parlamento ad avviare un procedimento di impeachment e la stessa Park ad accogliere, almeno in parte, gli inviti a fare un passo indietro.

Le accuse - che la presidente continua a respingere - hanno a che fare con una vicenda dai contorni oscuri che ruota attorno alla figura di una sua stretta consigliera, Choi Soon-sil, che non ricopre però cariche ufficiali né nel governo né nell’ufficio di Park Geun-hye. Choi Soon-sil è la figlia del deceduto Choi Tae-min, fondatore di un culto pseudo-cristiano e amico intimo del padre dell’attuale presidente, l’ex dittatore sudcoreano Park Chung-hee, assassinato dal capo dei servizi segreti del suo paese nel 1979.

Choi Tae-min era sospettato di esercitare una profonda influenza su Park Chung-hee, utilizzando il suo rapporto con quest’ultimo per ottenere favori e somme in denaro da personalità pubbliche e uomini d’affari. Questi stessi crimini sarebbero stati commessi anche dalla figlia, Choi Soon-sil, la quale aveva instaurato un rapporto simile con la presidente in carica.

Secondo i magistrati sudcoreani, Park Geun-hye avrebbe favorito il versamento di centinaia di migliaia di dollari a organizzazioni e aziende fondate o vicine a Choi Soon-sil da parte di compagnie come Samsung e Hyundai. Inoltre, l’amica e confidente della presidente avrebbe avuto accesso a documenti governativi riservati senza averne l’autorizzazione e influito su decisioni prese da Park in merito a nomine importanti e all’avvio di dispendiose opere pubbliche.

Insediata alla guida della Corea del Sud nel 2013, la presidente del partito conservatore Saenuri aveva visto crollare rapidamente la sua popolarità nel paese, in primo luogo a causa dell’implementazione di politiche che hanno aggravato il precariato nel mondo del lavoro e peggiorato le condizioni di vita delle classe più disagiate.

Inoltre, Park Geun-hye non è mai stata in grado di stabilire un rapporto di fiducia con i sudcoreani, mostrandosi fin troppo distaccata e lontana dai bisogni della gente comune. Prima dello scandalo in atto, l’immagine della presidente aveva già subito un grave colpo in seguito a un incidente che provocò l’affondamento di un traghetto nell’aprile del 2014 e la morte di oltre 300 persone, tra cui numerosi studenti in gita scolastica.

Sulla presidente sono dunque andate crescendo le pressioni in seguito all’arresto di Choi Soon-sil. I propositi di rimanere al proprio posto, nonostante l’allargamento dell’inchiesta e gli inviti a dimettersi fatti anche da esponenti del suo partito, hanno iniziato a vacillare dopo che, una decina di giorni fa, la procura di Seoul aveva definito Park Geun-hye “complice” della sua consigliera.

La presidente si è scusata in più di un’occasione in diretta televisiva per avere scelto con poco giudizio i propri collaboratori, ma, oltre a essersi rifiutata di dimettersi, ha sempre respinto le richieste degli investigatori di essere interrogata sui fatti. In qualità di presidente, Park Geun-hye gode dell’immunità e potrebbe essere incriminata ufficialmente solo se venisse rimossa con un voto del parlamento o dovesse cedere alle pressioni e farsi da parte in maniera volontaria.

La posizione di Park è sembrata comunque ammorbidirsi nella giornata di martedì, quando in un nuovo intervento pubblico si è detta disposta ad accettare un piano approvato dal parlamento sudcoreano per “abbreviare” il suo mandato, la cui scadenza naturale è prevista per il febbraio 2018.

In questo modo, la presidente ha però escluso le dimissioni immediate e, secondo alcuni, starebbe cercando di prendere tempo, forse per evitare un voto sull’impeachment che i partiti di opposizione hanno da tempo messo nell’agenda parlamentare. Proprio la dichiarazione di martedì di Park ha riacceso il dibattito politico a Seoul, con qualche deputato del partito di governo favorevole alla rimozione della presidente che ha mostrato quanto meno di voler rallentare il procedimento.

I tre principali partiti di opposizione di centro-sinistra, tra cui quello Democratico, hanno invece ribadito la volontà di procedere con l’impeachment dopo un vertice tenuto mercoledì. Il voto in parlamento dovrebbe avere luogo venerdì e alle opposizioni serviranno almeno 28 voti dei deputati del partito Saenuri di governo per vedere approvata la loro mozione contro la presidente.

I media sudocoreani hanno stimato in una quarantina il numero dei parlamentari della maggioranza disposti a votare contro Park, ma l’apertura al compromesso mostrata da quest’ultima martedì potrebbe avere convinto qualcuno a fare marcia indietro, mettendo in dubbio l’esito del voto di venerdì.

Il discorso della presidente ha dato invece animo ai suoi fedelissimi in parlamento, così che il leader della delegazione del partito Saenuri, Chung Jin-suk, ha ipotizzato un accordo con l’opposizione che prevederebbe le dimissioni di Park Geun-hye entro il 30 aprile prossimo. Hwang Young-cheul, portavoce della fazione favorevole all’impeachment nello stesso partito di maggioranza che chiede invece un’uscita di scena più rapida, si è detto a sua volta disponibile a cercare un’intesa sul percorso da seguire. Ma se ciò non dovesse avvenire entro una settimana, il suo gruppo intende unirsi all’opposizione in un eventuale secondo voto per l’impeachment che dovrebbe tenersi il 9 dicembre, ultimo giorno della sessione legislativa in corso.

Se il procedimento di impeachment dovesse essere avviato, la Costituzione della Corea del Sud prevede che i poteri del presidente siano immediatamente sospesi e trasferiti al primo ministro. La decisione finale spetta però alla Corte Costituzionale, la quale ha sei mesi di tempo per deliberare sulla sorte del capo dello stato.

Se almeno sei dei nove giudici che la compongono dovessero ratificare l’impeachment, Park sarebbe formalmente rimossa dal suo incarico e entro 60 giorni dovrebbero tenersi nuove elezioni presidenziali. Se, al contrario, la Corte dovesse ritenerla innocente, riotterrebbe tutti i suoi poteri, come accadde nel 2004 all’allora presidente, Roo Moo-hyun, finora unico capo di stato sudcoreano ad avere subito una procedura di impeachment, prosciolto dall’accusa di avere violato la neutralità richiesta dal suo incarico dopo che aveva lanciato un appello a votare per il suo partito nelle elezioni parlamentari.

Comunque vadano le cose in parlamento nei prossimi giorni, i commentatori sudcoreani sembrano vedere come inevitabili elezioni presidenziali anticipate nei prossimi mesi, possibilmente già ad aprile. Molto dipenderà però dalle decisioni del partito di maggioranza, al cui interno lo scandalo che coinvolge Park ha provocato gravi spaccature, grosso modo tra coloro che ne chiedono le dimissioni per evitare un ulteriore sprofondamento del Saenuri nel gradimento degli elettori e quanti preferirebbero un rinvio della prova con le urne proprio a causa dell’impreparazione del partito.

La stessa opposizione non naviga peraltro in acque migliori, visto che soprattutto il Partito Democratico continua a scontare le politiche impopolari adottate durante i mandati dei presidenti Roh Moo-hyun (2003-2008) e Kim Dae-jung (1998-2003), segnati dalla ristrutturazione in senso liberista dell’economia e da livelli di crescita decisamente modesti.

Mentre i possibili candidati alla successione di Park Geun-hye nel suo partito sono ancora lontani dall’essere individuati, anche se da tempo si parla del segretario generale uscente delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, negli ultimi mesi sono salite le quotazioni del numero uno del Partito Democratico, Moon Jae-in, già sconfitto dall’attuale presidente nelle elezioni del dicembre 2012.

La crisi politica in Corea del Sud e l’ondata di manifestazioni di piazza per chiedere le dimissioni di Park Geun-hye sono ad ogni modo motivate non solo dallo scandalo in cui la presidente è coinvolta, ma anche dalle conseguenze su milioni di giovani e lavoratori degli affanni dell’economia e delle misure adottate per farvi fronte. La crescita economica sudcoreana continua a far segnare tassi nettamente inferiori rispetto al periodo pre-crisi e la disoccupazione giovanile è attorno all’8,5%, ovvero altissima per gli standard di questo paese.

Quello che sta accadendo a Seoul rischia infine di intrecciarsi alle questioni geopolitiche della regione asiatica nord-orientale. La perenne crisi attorno al programma nucleare della Corea del Nord, assieme e ancor più alla rivalità tra Cina e Stati Uniti, potrebbero infatti precipitare nei prossimi mesi in concomitanza con l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump.

Ciò lascerebbe Washington a interrogarsi circa i riflessi sui propri interessi strategici di un alleato costretto a fare i conti con uno stallo politico prolungato e, possibilmente, con un pericoloso vuoto di potere ai vertici stessi dello stato.

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