Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Mario Lombardo

Il governo americano ha intrapreso una nuova serie di iniziative in questi giorni che confermano la ferma intenzione di tenere alta la pressione sulla Corea del Nord e il principale alleato di quest’ultimo paese, ovvero la Cina. Nel pieno dei festeggiamenti in corso a Pyongyang per l’85esimo anno dalla creazione del precursore dell’esercito nordcoreano, mercoledì il comando delle forze armate USA di stanza in Corea del Sud ha deciso di procedere con l’installazione di un sistema di difesa anti-missilistico altamente controverso.

I primi componenti del cosiddetto THAAD (“Difesa d’Area Terminale ad Alta Quota”) sono stati trasportati da alcuni veicoli militari americani nel luogo dove il sistema dovrebbe essere posizionato in territorio sudcoreano in base a quanto stabilito dai governi di Washington e Seoul lo scorso mese di luglio.

Le parti del THAAD posizionate nei pressi della località di Seongju erano arrivate in Corea del Sud a marzo. L’improvvisa accelerazione dei lavori sulle batterie anti-missile è dovuta in primo luogo all’intenzione da parte americana di lanciare un ulteriore segnale minaccioso nei confronti del regime di Kim Jong-un, visto che l’avvio dell’installazione coincide con uno dei momenti più delicati nella storia recente dei rapporti USA-Corea del Nord.

Non solo, l’ordine di procedere con il THAAD è legato alla necessità di mettere il prossimo governo sudcoreano davanti al fatto compiuto, poiché sembra probabile che dalle elezioni presidenziali del 9 maggio prossimo uscirà vincitore il candidato di centro-sinistra, Moon Jae-in, che aveva assunto posizioni relativamente critiche dello stesso sistema anti-missile.

In realtà, con l’approssimarsi del voto il leader del Partito Democratico di Corea ha in parte ammorbidito la sua opposizione al THAAD, giudicandolo accettabile come strumento difensivo se Pyongyang dovesse continuare a minacciare Seoul.

Gli Stati Uniti temono però che un suo successo alle urne possa fare esplodere le proteste contro un piano militare impopolare e di fatto imposto da Washington dietro le spalle dei sudcoreani. Già nella primissima mattinata di mercoledì, i mezzi americani giunti a Seongju con i componenti del THAAD sono stati infatti accolti da migliaia di residenti che hanno cercato di bloccarli, prima dell’intervento della polizia sudcoreana.

La possibilità di installare e rendere operativo il THAAD è stata in ogni caso offerta dalle continue provocazioni della Corea del Nord, anche se questo sistema, al contrario di quanto sostengono i governi di Stati Uniti e Corea del Sud, non è difensivo né è rivolto principalmente a Pyongyang.

L’obiettivo è piuttosto la Cina e, in seconda battuta, la stessa Russia, visto che il THAAD in territorio sudcoreano rischierebbe di neutralizzare il loro deterrente nucleare, soprattutto quello di Pechino, rendendo potenzialmente inefficace una risposta a un eventuale primo attacco americano.

La decisione di questa settimana sul THAAD segue poi l’arrivo nelle acque dell’Asia orientale di varie navi da guerra USA per condurre esercitazioni con le forze non solo della Corea del Sud ma anche del Giappone.

Nella serata di mercoledì è previsto anche il lancio di un missile balistico intercontinentale in grado di portare una testata nucleare, in un test americano che vedrà partire l’ordigno dalla California e atterrare nell’oceano Pacifico. Singolarmente, il test missilistico degli Stati Uniti è della stessa natura di quello che in molti stanno attendendo da Pyongyang e che, se condotto, potrebbe scatenare un attacco militare da parte dell’amministrazione Trump.

Malgrado il livello di tensione alle stelle, in molti ritengono comunque improbabile un attacco militare americano contro la Corea del Nord, così che l’escalation promossa dalla Casa Bianca servirebbe più che altro per esercitare pressioni sia su Pyongyang sia su Pechino, in modo da rimettere in linea il regime di Kim.

A sostegno di questa interpretazione ci sarebbe tra l’altro il rapporto “amichevole” instaurato da Trump con il presidente cinese, Xi Jinping, dopo il recente faccia a faccia nella residenza del presidente americano in Florida. I due hanno discusso telefonicamente della Corea del Nord anche lunedì, nel quadro di una sorta di linea diretta tra le due potenze che per alcuni dovrebbe scongiurare il pericolo di un conflitto nella penisola di Corea.

In realtà, la nuova amministrazione Repubblicana, dietro la spinta dell’apparato militare e della galassia “neo-con”, ha già mostrato di non avere troppi scrupoli nel cercare di imporre i propri interessi strategici, come ha testimoniato il bombardamento dei primi di aprile contro una base aerea delle forze armate siriane.

L’escalation di provocazioni nei confronti della Corea del Nord rischia poi di spingere il livello dello scontro al di là dei limiti entro i quali lo stesso governo cinese può essere in grado di influenzare le decisioni del regime di Pyongyang.

Da Pechino si moltiplicano infatti le dichiarazioni allarmate per la situazione nella penisola di Corea, a conferma che la leva cinese nei confronti di Kim è limitata. I media cinesi ufficiali continuano a pubblicare commenti e editoriali nei quali si mette in guardia dal pericolo di una conflagrazione che potrebbe facilmente sfociare in un conflitto nucleare, come se questo rischio sia da considerare imminente.

Allo stesso tempo, la Cina insiste affinché gli Stati Uniti dimostrino la loro disponibilità a fare qualche concessione alla Corea del Nord in cambio di un segnale da parte di Kim ad astenersi da ulteriori provocazioni e a congelare il proprio programma nucleare e balistico.

Il nodo della crisi coreana resta però difficilmente risolvibile, dal momento che in essa si intrecciano le mire di un governo, come quello americano, spinto da una logica distruttiva che non ammette concessioni o cedimenti agli interessi di altri paesi con il dilemma strategico che caratterizza le azioni della Cina.

Pechino deve cioè muoversi entro margini molto stretti, misurando le pressioni che può esercitare sull’alleato nordcoreano, in modo da non fornire l’occasione per un’aggressione militare americana, con la necessità di preservare il regime di Kim, la cui caduta materializzerebbe l’incubo di vedere le forze armate degli Stati Uniti subito al di là del confine cinese.

Le manovre americane per la penisola di Corea e, di riflesso, per la gestione dei rapporti con la Cina, sembrano comunque dover riservare qualche mossa clamorosa. L’amministrazione Trump continua infatti a mantenere la crisi coreana in cima alla propria agenda, anche attraverso gesti plateali e decisamente insoliti, per non dire senza precedenti, come quello registrato mercoledì.

Il presidente ha convocato tutti e cento i membri del Senato americano alla Casa Bianca, dove sono stati informati della situazione in Corea del Nord, ovvero dei piani di guerra che sembrano essere allo studio. I senatori di entrambi gli schieramenti sono stati ragguagliati dal segretario alla Difesa, generale James Mattis, dal capo di Stato Maggiore, generale Joseph Dunford, dal direttore dell’Intelligence Nazionale, Dan Coats, e dal segretario di Stato, Rex Tillerson.

Il briefing ai senatori presso la Casa Bianca testimonia non solo della gravità degli scenari coreani, ma anche il processo avanzato di deterioramento delle procedure democratiche negli Stati Uniti, con il Congresso di fatto privato del potere di autorizzare azioni militari, decise ormai in completa autonomia dall’esecutivo e dai militari.

La campagna in atto contro la Corea del Nord dovrebbe proseguire infine nella giornata di venerdì, quando lo stesso Tillerson presiederà al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una riunione incentrata sul regime di Kim e il suo programma nucleare.

L’evento, è facile prevedere, fornirà un’ulteriore occasione agli USA per dipingere Pyongyang come una minaccia vitale alla propria sicurezza e a quella del pianeta, mentre la quasi certa proposta di adottare nuove sanzioni punitive, che ostacolino i limitatissimi scambi commerciali della Corea del Nord, finirà per restringere ancor più le opzioni a disposizione del governo cinese.

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