Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
> Leggi tutto...

di Mario Lombardo

A partire dal 23 maggio scorso, sull’isola di Mindanao, nelle Filippine meridionali, è in vigore la legge marziale in seguito a un’offensiva contro la città di Marawi, attribuita ad alcuni gruppi che da tempo combattono contro il governo centrale di Manila e che avrebbero più o meno ufficialmente dichiarato la propria affiliazione allo Stato Islamico (ISIS).

Il provvedimento firmato dal presidente filippino, Rodrigo Duterte, ha determinato di fatto la sostituzione dell’autorità civile con quella delle forze armate, peggiorando la situazione dei diritti democratici già estremamente precaria nel paese-arcipelago del sud-est asiatico. La vicenda ha però anche un risvolto strategico non meno significativo, dal momento che si inserisce tutt’altro che casualmente nelle manovre di Duterte di svincolarsi dall’alleato americano per instaurare rapporti più stretti e proficui con paesi come Russia e, soprattutto, Cina.

Il conflitto a Mindanao, dove vive una forte minoranza musulmana, è esploso in seguito a un attacco dai contorni non del tutto chiari e condotto da formazioni fondamentaliste armate nella città di Marawi. La notizia dell’offensiva era stata accompagnata da alcuni dettagli che si sono in seguito rivelati non veri, come ad esempio la decapitazione del capo della polizia della città, l’occupazione del municipio e la distruzione di tre scuole.

L’atmosfera di isteria creata attorno all’attacco e il panico rapidamente diffusosi non solo a Mindanao ma in tutte le Filippine per il possibile radicamento dell’ISIS nel paese ha alla fine spinto il presidente Duterte a firmare il decreto per l’introduzione sull’isola della legge marziale.

Le ricostruzioni degli eventi accaduti il 23 maggio scorso indicano però come il presidente filippino sia stato in sostanza messo sotto pressione dai vertici militari per adottare una misura estrema sulla quale il governo civile sembra avere avuto poco o nessun controllo.

Significativamente, la crisi è esplosa mentre Duterte si trovava a Mosca nel corso di una visita con Vladimir Putin per discutere di una possibile partnership in ambito militare tra le Filippine e la Russia. Su iniziativa del ministro della Difesa, Delfin Lorenzana, il presidente aveva dovuto interrompere la trasferta russa per fare ritorno in patria e dichiarare la legge marziale.

Qualche commentatore ha evidenziato come i fatti delle ultime settimane nelle Filippine abbiano in qualche modo ridimensionato la posizione di Duterte, mettendo nel contempo i militari, tradizionalmente legati agli Stati Uniti, al centro delle vicende del paese.

Lo stesso presidente ha dato questa impressione nel fine settimana, quando è apparso in una conferenza stampa a Manila affiancato da Lorenzana e dal capo delle forze armate filippine. Con la solita schiettezza che contraddistingue le sue uscite pubbliche, Duterte ha affermato di non essere a conoscenza della presenza a Mindanao di un contingente delle forze speciali USA, impegnato nelle operazioni militari con i soldati del suo paese, né di averne mai chiesto l’intervento.

Quest’ultima notizia era circolata dopo che alcuni giornalisti locali avevano appunto documentato il dispiegamento di truppe americane in territorio filippino, negato invece dai militari filippini. Duterte, da parte sua, ha dovuto anche ammettere i legami molto stretti tra i vertici militari dei due paesi, lasciando intendere l’influenza delle forze armate filippine e, di conseguenza, di quelle americane sul governo civile di Manila. Sui fatti di Mindanao, il presidente ha poi riconosciuto la sostanziale cessione dei suoi poteri al ministero della Difesa, avvenuta con l’adozione della legge marziale.

Il ministro Lorenzana ha in seguito spiegato anche come alcuni “consiglieri” militari americani fossero aggregati ai comandi militari filippini già prima del 23 maggio. Una rivelazione, quest’ultima, che ha fatto dubitare in molti della natura dell’offensiva dei gruppi presumibilmente affiliati all’ISIS a Marawi, poiché il contrattacco delle forze armate di Manila potrebbe essere stato studiato preventivamente con Washington per costringere Duterte a dichiarare lo stato di emergenza.

I due gruppi principali impegnati nel conflitto a Marawi sono Abu Sayyaf e Maute. Il primo è protagonista di attentati, rapimenti, estorsioni e assassini da oltre due decenni e tre anni fa aveva dichiarato la propria adesione allo Stato Islamico. Il secondo affonda anch’esso le radici nel radicalismo islamista ma, secondo alcuni, le sue azioni si intreccerebbero con le lotte di potere, spesso sanguinose, tra le più influenti famiglie filippine, tanto da far ipotizzare che la crisi a Mindanao sia esplosa principalmente per questioni legate a queste vicende o agli scontri che spesso vengono registrati con le forze armate di Manila.

Se rimangono forti dubbi sui fatti di Mindanao e sulle motivazioni che hanno portato alla legge marziale, è fuori discussione che il governo americano abbia quanto meno preso l’occasione per fare pressioni sul presidente filippino. Duterte, fin dalla sua elezione nel 2016, ha intrapreso un percorso di riorientamento strategico, rompendo nettamente con la linea seguita dal suo predecessore, il fedelissimo di Washington, Benigno Aquino.

Duterte aveva da subito ammorbidito i toni nei confronti di Pechino e avviato un processo di distensione per consentire alle Filippine di sfruttare le opportunità in ambito economico e commerciale offerte dai progetti di sviluppo cinesi. Il dialogo tra Pechino e Manila si è poi allargato all’ambito militare e proprio questa evoluzione ha fatto suonare l’allarme decisivo a Washington.

Le Filippine sono infatti uno dei cardini della strategia americana di contenimento della Cina e la perdita di Manila metterebbe a repentaglio il già complicato sforzo degli USA per conservare la propria declinante influenza in Asia orientale.

Le mosse di Duterte, allargatesi nei mesi scorsi anche alla Russia, restano comunque controverse in patria e, soprattutto, sezioni della classe dirigente filippina, rappresentate anche da esponenti dello stesso governo, vedono con estremo sospetto un allontanamento dagli Stati Uniti. I vertici militari sono tradizionalmente l’apparato di potere più filo-americano nelle Filippine e quanto sta accadendo sull’isola di Mindanao in questi giorni può essere quindi collegato ai tentativi delle forze armate di richiamare all’ordine il presidente e distoglierlo dalle sirene cinesi e russe.

La presenza delle forze speciali USA in territorio filippino all’insaputa di Duterte è d’altra parte un messaggio chiarissimo e fin troppo ovvio, visto che, nelle fasi finali dell’amministrazione Aquino, Washington e Manila avevano sottoscritto un controverso accordo di cooperazione militare che garantiva, tra l’altro, la permanenza di truppe americane nel paese-arcipelago, sia pure ufficialmente su base temporanea.

La collaborazione propagandata tra i militari filippini e quelli americani nella guerra ai gruppi affiliati all’ISIS serve anche a dimostrare che solo Washington può essere considerato un alleato affidabile contro la minaccia terroristica. Ciò è ancora più chiaro se si considera che recentemente l’amministrazione Duterte aveva sondato la Cina per la possibile fornitura di equipaggiamenti militari destinati precisamente alla lotta contro milizie armate ribelli.

Se Duterte sarà in grado di resistere alle pressioni con cui sta facendo i conti o se riuscirà a mantenere aperto un canale privilegiato con Mosca e Pechino è ancora tutto da verificare. Per il momento, la minaccia dell’ISIS a Mindanao continua a essere mantenuta a un livello elevato anche se relativamente sotto controllo.

Coerentemente con la poca chiarezza delle vicende in corso, martedì sono giunte informazioni contrastanti sullo stato dei combattimenti. I vertici militari delle Filippine hanno confermato l’arretramento delle forze fondamentaliste, le quali controllerebbero non più del 20% di Marawi, mentre lo Stato Islamico, per mezzo della sua agenzia di stampa Amaq, ha invece affermato che le milizie che opererebbero a suo nome nelle Filippine hanno messo le mani su oltre i due terzi della città sull’isola di Mindanao.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy