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di Michele Paris

Il voto finale del Congresso americano sulla nuova legge del sistema sanitario, che dovrebbe rimpiazzare la riforma approvata durante la presidenza Obama nel 2010 (“Obamacare”), dopo gli sviluppi dei giorni scorsi continua a sembrare una vera e propria corsa a ostacoli. Con la leadership del Partito Repubblicano già in grave difficoltà nel mettere assieme i 50 voti necessari al Senato per licenziare il pacchetto approvato dalla Camera dei Rappresentanti ai primi di maggio, l’improvviso forfait per motivi di salute del senatore dell’Arizona, John McCain, ha determinato un nuovo ritardo di un iter legislativo sempre più complicato.

Al momento, due senatori repubblicani hanno manifestato apertamente l’intenzione di votare contro la legge voluta dal presidente Trump: la “centrista” Susan Collins e il “libertario” di estrema destra, Rand Paul.

La prima teme conseguenze disastrose per la propria carriera politica a causa degli attacchi senza precedenti contenuti nella nuova legge al programma di assistenza pubblico “Medicaid”, destinato ai redditi più bassi. Il secondo, al contrario, reputa la cosiddetta “Better Care Reconciliation Act” troppo poco incisiva nell’eliminare i cambiamenti introdotti nel settore sanitario da “Obamacare”.

Due sono esattamente i voti che i repubblicani al Senato possono permettersi di perdere per riuscire a mandare in porto la legge. Come ha spiegato la stessa senatrice Collins, però, sarebbero almeno altri dieci i senatori del suo partito indecisi o con forti riserve sulla misura, così che, con o senza la presenza a Washington di McCain, il rinvio del voto in aula sarebbe stato comunque inevitabile questa settimana.

Un altro colpo mortale alla legislazione sanitaria potrebbe arrivare nei prossimi giorni con la nuova analisi dell’Ufficio per il Budget del Congresso, vale a dire l’organo indipendente che valuta l’impatto delle leggi americane in discussione. Questo ufficio si era già espresso sulla legge, spiegando che essa provocherebbe la perdita di qualsiasi copertura sanitaria per 22 milioni di americani nel prossimo decennio, ma è stato sollecitato a dare un altro parere dopo la recente introduzione di alcuni emendamenti nel tentativo di convincere qualche senatore indeciso.

La modifica principale è stata presentata dal senatore del Texas, Ted Cruz, anch’egli vicino alle tendenze “libertarie” nel Partito Repubblicano. Il cuore della sua proposta prevede la creazione di piani sanitari economici e virtualmente senza nessuno dei servizi fondamentali offerti ai sottoscrittori delle polizze, come previsto invece da “Obamacare”, teoricamente per evitare che la prevista impennata del costo delle assicurazioni sanitarie provochi un crollo nel numero degli americani con qualche copertura.

La nuova analisi della legge da parte dell’Ufficio per il Budget del Congresso non dovrebbe scostarsi di molto da quella offerta per la versione precedente del Senato e potrebbe dunque complicare ancor più gli equilibri in casa repubblicana.

Il leader di maggioranza al Senato, Mitch McConnell, aveva già dovuto rimandare il voto in aula sulla legge sanitaria nel mese di giugno e ancora ai primi di luglio per la mancanza dei voti necessari all’approvazione. Nel corso delle settimane successive la situazione non è cambiata di molto, con l’ala moderata del partito preoccupata soprattutto per gli effetti devastanti dei tagli a Medicaid e gli esponenti dell’estrema destra che chiedono in sostanza di consegnare totalmente il sistema sanitario americano agli interessi privati.

Nei prossimi giorni proseguiranno le trattative nella maggioranza repubblicana per trovare un difficile compromesso e consegnare almeno un successo legislativo a un’amministrazione Trump in gravissimo affanno sul fronte interno. Già alcuni membri del Congresso repubblicani sembrano vedere tuttavia come inevitabile un negoziato con l’opposizione democratica per giungere a un qualche risultato nell’ambito della riforma sanitaria.

Il Partito Democratico ha finora opposto un’opposizione compatta alle varie versioni della legge circolate al Congresso, ma la sua leadership al Congresso non ha escluso trattative con i repubblicani, quanto meno per apportare modifiche a “Obamacare”. I principi tutt’altro che progressisti che hanno ispirato quest’ultima legge – riduzione dei costi sanitari e sistema di copertura incentrato sulle compagnie private – sono d’altra parte il punto di partenza di quella promossa dall’amministrazione Trump. Qualsiasi accordo “bipartisan” non farebbe perciò che peggiorare la legge del 2010 attualmente in vigore.

La determinazione con cui i repubblicani e la Casa Bianca continuano a cercare di mandare in porto una legge che ha già fatto registrare una serie di umiliazioni per il partito e sembra un autentico rompicapo quasi impossibile da sciogliere è motivata da vari fattori.

Il primo è già stato ricordato in precedenza e ha a che fare con la necessità di Trump di offrire un primo risultato ai propri sostenitori con l’adozione di un provvedimento promesso in campagna elettorale. Ciò appare ancora più urgente alla luce di due dinamiche, cioè l’addensarsi di nuvole sempre più minacciose sulla presidenza a causa del cosiddetto “Russiagate” e la crescente impopolarità della stessa legge sanitaria man mano che gli americani ne conoscono i contorni.

L’altro elemento che spiega l’ansia dei repubblicani e dell’amministrazione Trump di mettere mano nuovamente al settore sanitario americano è lo smantellamento di Medicaid. Nella legge allo studio sono annunciati tagli per poco meno di 800 miliardi di dollari a questo programma popolare da qui al 2026, ovvero più di un quarto del finanziamento totale, da ottenere in primo luogo cancellando l’espansione della copertura attraverso di esso prevista da “Obamacare”.

“Trumpcare” trasformerebbe inoltre un programma pubblico che copre oggi 75 milioni di americani poveri e disabili in base alle necessità in un piano con stanziamenti fissi e limitati da erogare ai singoli stati. Il risultato sarebbe inevitabilmente una riduzione del numero dei beneficiari, assieme al taglio delle prestazioni offerte e al probabile aumento dei contributi richiesti a coloro che continueranno a ricevere assistenza.

Il drastico ridimensionamento di Medicaid in quanto voce di spesa tra le più consistenti del bilancio federale è – in un modo o nell’altro – nel mirino da tempo della classe politica americana, soprattutto della destra repubblicana. L’approvazione della legge sanitaria voluta da Trump rappresenterebbe perciò il primo assalto di vasta portata a questo programma pubblico e aprirebbe la strada a ulteriori attacchi allo stesso Medicaid, ma anche ad altri creati negli anni Sessanta e durante il “New Deal” rooseveltiano, come Medicare e Social Security.

Le difficoltà nel superare le divisioni interne al Partito Repubblicano e giungere all’approvazione della legge sanitaria dipendono proprio dal carattere ultra-reazionario di quest’ultima e dalla vastissima opposizione popolare che essa incontra.

In questo quadro, perciò, neanche le menzogne spudorate dei repubblicani sul contenuto della legge, a cominciare da quelle del presidente Trump, riusciranno con ogni probabilità a limitare i danni politici a cui andranno incontro i promotori della nuova contro-rivoluzione sanitaria, sempre che essa, alla fine, riesca a superare ostacoli che appaiono oggi quasi insormontabili.