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di Michele Paris

L’aggravarsi della crisi nella penisola di Corea e il crescente rischio di un conflitto nucleare sembrano avere approfondito le divisioni tra gli Stati Uniti di Donald Trump e i governi europei. Mentre Washington si apprestava a preparare una durissima proposta di risoluzione alle Nazioni Unite contro la Corea del Nord, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha lanciato infatti un’ipotesi di negoziato sull’esempio di quello che nel 2015 portò allo sblocco dello stallo sul programma nucleare dell’Iran.

La Merkel ha avanzato l’idea nel corso di un’intervista pubblicata nel fine settimana dal Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, elaborando una posizione decisamente più moderata rispetto a quella americana che già aveva esposto a inizio mese durante l’unico dibattito elettorale in diretta televisiva con il leader socialdemocratico, Martin Schulz.

Il formato delle trattative di Vienna sull’Iran, secondo la Merkel, potrebbe essere adottato anche “per risolvere il conflitto nordcoreano”. A esso, “l’Europa e soprattutto la Germania dovrebbero essere pronte a prendervi parte in maniera attiva”, ha spiegato il capo del governo tedesco.

Il modello suggerito dalla Merkel prevedeva negoziati tra i rappresentanti della Repubblica Islamica da una parte e dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) più quelli della Germania dall’altra. L’intesa definitiva, raggiunta a Vienna nel luglio del 2015, è stata descritta dalla Merkel come “un momento importante per la diplomazia”, tanto da essere potenzialmente replicato per la Corea del Nord.

Le parole della cancelliera ribadiscono la volontà del governo di Berlino di proporre sempre più la Germania come potenza in grado di intervenire attivamente nelle questioni internazionali e, come già ricordato, indicano ancora una volta i tracciati divergenti con l’amministrazione Trump, già evidenti fin dall’ingresso alla Casa Bianca del presidente repubblicano.

Gli Stati Uniti devono avere accolto con un certo fastidio l’intervento della Merkel sulla Corea del Nord. L’intervista è arrivata d’altra parte alla vigilia della convocazione del Consiglio di Sicurezza al Palazzo di Vetro, nel quale la risoluzione americana ha dovuto fare già i conti con la ferma opposizione di Russia e Cina a implementare quello che sarebbe un blocco commerciale ed energetico totale nei confronti del regime di Kim Jong-un.

Non solo, il riferimento della Merkel all’accordo sul nucleare iraniano è doppiamente irritante per Washington, visto che Trump e buona parte del suo staff denunciano da tempo i termini sottoscritti a Vienna e, anzi, minacciano di ritirare gli USA dall’intesa alla prima occasione possibile.

La presa di posizione della cancelliera tedesca rischia così di allargare ulteriormente il solco tra gli Stati Uniti e l’Europa. Praticamente tutti i governi del vecchio continuano ad avvertire Washington che un passo indietro sul nucleare di Teheran sarebbe uno sbaglio enorme, in primo luogo perché molte aziende europee hanno ormai gettato le basi per il ritorno sul mercato iraniano.

Trump sembra intenzionato comunque a non certificare nuovamente l’adempienza dell’Iran ai termini dell’accordo di Vienna quando sarà chiamato a farlo per la terza volta a metà ottobre. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) continua in realtà a confermare il comportamento conforme all’intesa da parte di Teheran, ma l’amministrazione repubblicana ha di fatto anticipato che ricorrerà a qualsiasi giustificazione per far naufragare l’accordo.

Una mossa in questa direzione sarebbe basata su scelte di natura puramente strategica, essendo l’Iran uno dei principali ostacoli agli interessi USA in Medio Oriente e al tentativo di impedire l’integrazione euroasiatica in atto, di cui la Repubblica Islamica è appunto uno snodo cruciale.

Inevitabilmente, quindi, il precipitare della crisi nella penisola di Corea dopo il sesto test nucleare del 3 settembre scorso ha finito per sovrapporsi alle tensioni esplose tra le due sponde dell’Atlantico dopo l’arrivo al potere di Donald Trump con la sua agenda ultra-nazionalista.

Sulla questione coreana, i governi europei hanno finora assecondato le dure condanne del regime di Kim provenienti da Washington, ma le rispettive reazioni hanno evidenziato approcci innegabilmente diversi. Se gli USA hanno affermato che il tempo del dialogo è ormai passato e non hanno mai escluso l’opzione militare, inclusa quella nucleare, giungendo anzi talvolta ad ipotizzarla seriamente, l’Europa si è fermata alle sanzioni punitive come strumento per giungere a una qualche soluzione diplomatica.

La stessa Merkel avrebbe già preso iniziative in questo senso, avendo discusso nei giorni scorsi della Corea del Nord con il presidente cinese, Xi Jinping, il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, e, secondo il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, anche con Vladimir Putin.

Il governo tedesco non è comunque l’unico a voler escludere l’uso della forza. L’ambasciatore francese all’ONU, François Delattre, ad esempio, ha detto settimana scorsa all’americana CBS che le sanzioni, “più pesanti risulteranno, più ci renderanno forti nel promuovere una soluzione politica” alla crisi coreana.

Leggermente più sfumata è invece la posizione britannica, dal momento che essa si incrocia con i dilemmi strategici di Londra legati alla “Brexit”. Il rappresentante del governo May alle Nazioni Unite, Matthew Rycroft, ha anch’egli collegato eventuali nuove sanzioni contro il regime di Kim alla necessità di lanciare un’iniziativa diplomatica.

Tuttavia, come ha scritto domenica il Guardian, Downing Street non vuole rompere con l’amministrazione Trump, sulla quale conta per mandare in porto un accordo di libero scambio di importanza fondamentale dopo l’uscita dall’Unione Europea. Nonostante queste apprensioni, anche Londra si oppone sia a un’iniziativa militare contro la Corea del Nord sia all’uscita degli USA dall’intesa sul nucleare iraniano.

Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ad ogni modo, nella giornata di lunedì si è votato su una risoluzione americana ammorbidita, vista l’impossibilità di ottenere l’appoggio di Mosca e Pechino su una versione precedente. In essa, Washington chiedeva tra l’altro l’embargo sulle forniture di greggio alla Corea del Nord, lo stop alle esportazioni di manufatti tessili e sanzioni dirette contro Kim Jong-un.

Russia e Cina non sono evidentemente disposte a forzare il tracollo dell’economia nordcoreana. Da parte dei membri europei del Consiglio di Sicurezza invece, il timore è che un impasse all’ONU possa spingere l’amministrazione Trump ad abbandonare la ricerca del consenso internazionale e ad agire in maniera unilaterale.