USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Mario Lombardo

Il governo centrale spagnolo ha messo in chiaro nella giornata di mercoledì di non avere alcuna intenzione di allentare la presa sugli organizzatori del referendum per l’indipendenza della Catalogna, previsto per il prossimo primo di ottobre. Dopo le iniziative e le minacce dei giorni scorsi, mercoledì sono state messe in atto nuove misure repressive che, da un lato, confermano la volontà di Madrid di ricorrere a qualsiasi metodo per fermare il voto e, dall’altro, rischiano di consolidare il sostegno della maggioranza dei catalani per una clamorosa separazione dalla Spagna.

La polizia spagnola ha effettuato 14 arresti di esponenti del governo regionale dopo un blitz che ha riguardato gli uffici di Barcellona della presidenza della Catalogna, del dipartimento dell’Economia, degli Esteri, del Lavoro e degli Affari Sociali.

La personalità più importante in stato di fermo è il segretario generale del ministero regionale dell’Economia e braccio destro del vice-presidente della regione, Josep Maria Jové. L’arresto di quest’ultimo sarebbe collegato alla sua attività nel lancio di siti internet che promuovono il referendum.

Le operazioni del governo di Madrid per impedire il voto potrebbero tuttavia non fermarsi qui. Qualche giorno fa, il procuratore generale spagnolo, José Manuel Maza, si era rifiutato di escludere il possibile arresto dello stesso presidente del governo regionale, Carles Puigdemont.

Martedì, poi, erano stati requisiti documenti relativi al referendum nella sede di una compagnia di spedizioni nella città di Terrassa, a nord-ovest di Barcellona. Il sequestro, portato a termine tra l’opposizione di decine di sostenitori dell’indipendenza, era seguito a quello di oltre 1,5 milioni di volantini e altro materiale propagandistico. Ancora, più di 700 sindaci catalani erano stati incriminati per avere preso parte ai preparativi del referendum.

Sempre mercoledì, si è saputo del sequestro anche di 10 milioni di schede referendarie in un magazzino nei pressi Barcellona, mentre il ministero dell’Interno del governo conservatore del premier Rajoy ha cancellato tutti i permessi dei membri dei reparti della “Guardia Civil” e della polizia nazionale incaricati di contrastare l’organizzazione del voto. La mobilitazione o la disponibilità degli agenti interessati è stata decisa fino al 5 ottobre, anche se, ha assicurato il ministero, potrebbe essere prolungata in caso di necessità.

Le prime manette ai polsi di esponenti politici indipendentisti segnalano una pericolosa escalation nella crisi che sta attraversando il paese iberico, aggravatasi a partire dal via libera formale al referendum da parte del parlamento regionale catalano ai primi di settembre. Le autorità politiche di Barcellona favorevoli all’indipendenza si sono trovate da allora a fare i conti con il fronte compatto del governo centrale e della magistratura, entrambi determinati a impedire un procedimento bollato senza mezzi termini come illegale.

Gli arresti e le perquisizioni di mercoledì hanno subito scatenato nuove proteste di piazza. Secondo i resoconti della stampa, centinaia di manifestanti si sono riuniti di fronte all’ufficio di Josep Maria Jové nel centro di Barcellona, chiedendone la scarcerazione e inneggiando all’indipendenza della Catalogna. Altre proteste sono state segnalate nel capoluogo catalano, spesso segnate da scontri con le forze di polizia.

Il presidente della regione, da parte sua, ha fatto ben poco per calmare gli animi. Puigdemont si è scagliato contro le autorità di Madrid, accusate di avere messo in atto “un’aggressione coordinata” e di avere “un’attitudine totalitaria”. Il leader del Partito Democratico Europeo Catalano (PDeCAT) ha poi sostenuto che il governo Rajoy ha “oltrepassato i confini” democratici e assicurato che il referendum si terrà nonostante gli abusi subiti dai suoi sostenitori.

Il governo Rajoy continua a essere al centro di forti critiche, soprattutto dall’estero, per i metodi repressivi adottati nel tentativo di fermare il referendum. Se la classe dirigente europea è quasi del tutto schierata contro l’indipendenza della Catalogna, sono in molti a ritenere che il ricorso a metodi palesemente anti-democratici non faccia che rafforzare la causa dei separatisti. Un comportamento rischioso, quello del primo ministro, soprattutto alla luce del fatto che i sondaggi sembrano indicare una leggera prevalenza dei contrari all’autodeterminazione della Catalogna.

In un clima di forti tensioni sociali e con un’economia che è lontanissima dal ritorno ai livelli pre-crisi, a Madrid si è però deciso di mettere in campo ogni mezzo per bloccare l’iniziativa referendaria. La consultazione del primo ottobre potrebbe in effetti risolversi a favore della permanenza della Catalogna nel quadro statale spagnolo o, comunque, anche un esito favorevole ai separatisti potrebbe non portare a breve all’indipendenza della regione, aprendo la strada piuttosto a un qualche negoziato.

Il timore è tuttavia quello che un cedimento da parte del governo centrale possa innescare un movimento centrifugo che la classe politica di Madrid riuscirebbe difficilmente a controllare. Oltre a ciò, influisce anche l’effetto rovinoso che il distacco da Madrid avrebbe sull’economia sia del futuro nuovo stato catalano sia della Spagna, a cui la regione nord-orientale contribuisce oggi per circa un quinto del PIL. Da qui deriva dunque la determinazione di Rajoy nel soffocare le spinte separatiste.

Se i partiti politici nazionali spagnoli all’opposizione si erano finora mostrati in parte più cauti nell’affrontare la crisi catalana, pur rimanendo contrari al referendum e ancora di più all’indipendenza, con l’avvicinarsi della data del voto e dopo avere preso atto dell’ostinazione di Barcellona, sembra essere in corso un certo compattamento attorno alle posizioni del governo.

A segnalare questa evoluzione è stato ad esempio un recentissimo editoriale del quotidiano filo-socialista El País. L’articolo ha parlato di “minaccia all’unità” della Spagna e, significativamente, “all’armonia sociale”, per poi accusare i separatisti di “agire in maniera irresponsabile, togliendo legittimità alle istituzioni, abusando della buona fede di chi sostiene la democrazia e approfittando delle garanzie offerte da uno stato di diritto”.

Per il giornale, quindi, il governo centrale “ha l’obbligo di agire fermamente e di usare tutti i mezzi legali per difendere la Costituzione” spagnola. Il procedimento in atto in Catalogna sarebbe del tutto illegale per El País, come ha stabilito la stessa Corte Costituzione spagnola, la quale subito dopo il voto del parlamento regionale sul referendum aveva imposto la sospensione dei preparativi per il voto.

Lo stesso Partito Socialista (PSOE) sembra avere lasciato intendere in questi giorni di essere disposto a valutare l’imposizione di una sorta di “opzione nucleare” nei confronti del governo regionale catalano, vale a dire il ricorso all’articolo 155 della Costituzione spagnola.

Questo articolo, di cui si sta discutendo sulla stampa e nella classe politica spagnola, permetterebbe al governo centrale di sospendere di fatto l’autonomia della Catalogna, con il trasferimento appunto dei relativi poteri a Madrid. L’implementazione dell’articolo 155 non è mai stata registrata in Spagna a partire dal 1978 e anche la sola ipotesi di un’azione di questo genere chiarisce a sufficienza la gravità della situazione attuale nel paese iberico.

Ancora durante l’estate, i leader del PSOE si erano detti contrari all’applicazione dell’articolo 155, mai esclusa invece dal governo e dai vertici del Partito Popolare (PP). Sempre il quotidiano El País, citando un portavoce del direttivo socialista, ha scritto invece martedì che il partito è ora “aperto a ogni scenario”, anche se l’articolo 155 resta un’opzione “non auspicabile”.

Il parziale cambiamento di rotta del PSOE, se confermato, potrebbe così rafforzare la posizione del governo Rajoy, il quale, nel caso dovesse decidere alla fine di procedere con la sospensione dell’autonomia della Catalogna, avrebbe evidentemente bisogno del più ampio appoggio politico possibile.

Il presidente della regione catalana Puigdemont ha peraltro già accusato Madrid di avere sospeso “di fatto” l’autonomia catalana e di avere imposto uno stato di emergenza con le ultime iniziative. A segnalare un’evoluzione in questo senso è d’altra parte la conferma del ministro delle Finanze spagnolo, Cristóbal Montoro, dell’assunzione del controllo delle finanze catalane da parte di Madrid, come aveva già stabilito nel fine settimana il governo Rajoy.

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